Giornata nera a Piazza Affari per il titolo dell'istituto senese. E crescono i timori su un rinvio dell'aumento di capitale necessario per restituire gli aiuti pubblici
Giornata
nerissima oggi in Borsa per il Monte dei Paschi di Siena, il cui titolo è
arrivato a perdere più del 5 per cento. Il motivo dello scivolone va cercato
nella battaglia che si sta combattendo in questi giorni tra il management e gli
azionisti per salvare l'istituto di credito dalla nazionalizzazione. Tutto
nasce dalla proposta di aumento di capitale avanzata dai nuovi vertici del
Monte, il presidente Alessandro Profumo e l'amministratore delegato Fabrizio
Viola. I due manager hanno deciso di varare l'operazione il più presto
possibile, al fine di rimborsare i 4 miliardi di aiuti pubblici ricevuti (i
cosiddetti Monti Bond), scongiurando così la statalizzazione.
L'aumento di capitiale è stato così programmato nella prima finestra disponibile, a gennaio. Per effettuarlo, però, serve il via libera dell’assemblea dei soci, che si riunirà il 27 dicembre. E il verdetto non è scontato, anzi. Perché per la prima volta nella storia, la banca senese e la sua Fondazione di riferimento, che resta per il momento la prima azionista con il 33,5 per cento del capitale, si trovano su barricate opposte.
L'aumento di capitiale è stato così programmato nella prima finestra disponibile, a gennaio. Per effettuarlo, però, serve il via libera dell’assemblea dei soci, che si riunirà il 27 dicembre. E il verdetto non è scontato, anzi. Perché per la prima volta nella storia, la banca senese e la sua Fondazione di riferimento, che resta per il momento la prima azionista con il 33,5 per cento del capitale, si trovano su barricate opposte.
Da
una parte c’è la banca che ha già messo insieme un consorzio di garanzia per
l’aumento: il pool di banche (l’unica italiana è Mediobanca) ha infatti firmato
un contratto in base al quale si impegnato a sottoscrivere l’eventuale inoptato
(ovvero la parte di aumento non coperta dai soci). Il contratto scade però alla
fine di gennaio, dopo di che sarebbe più complicato portare a termine
l’operazione.
Dall’altra
parte della barricata c’è la
Fondazione guidata da Antonella Mansi, che ha bisogno di
tempo per trovare compratori della sua quota nel Monte, al fine di rafforzare
il patrimonio e ripagare i circa 350 milioni di debiti con le banche contratti
a suo tempo per partecipare al finanziamento dello sciagurato acquisto di
Antonveneta. Vendere sul mercato, però, diventa difficile con un aumento di
capitale in pista che deprezza il valore del titolo. Di qui l'impasse, che sta
facendo crollare il titolo. Ma chi sta vendendo, in Borsa? Non la Fondazione che, su
sollecitazione della Consob, ha oggi assicurato di non aver ridotto la sua
partecipazione.
Nello
stesso comunicato ha sottolineato di non avere preso ancora nessuna decisione
sull'aumento di capitale ribadendo di non voler «rinunciare al proprio ruolo di
azionista storico». Ma c’è un problema: se il debito dovesse superare il 70 per
cento del valore di mercato del pacchetto Mps posseduto dalla Fondazione, in
base agli accordi sottoscritti le banche creditrici potranno appropriarsi delle
azioni in garanzia. E diventare dunque nuovi soci del Monte.
Per
evitare uno scontro frontale all’assemblea del 27 dicembre, sarebbe sceso in
campo il numero uno di Confindustria, Giorgio Squinzi (amico di famiglia della
Mansi, ex presidente di Confindustria Toscana, e secondo alcuni fra gli
artefici della sua ascesa a Palazzo Sansedoni), che negli ultimi giorni
starebbe facendo da mediatore fra l’ente senese e l’amministratore delegato
della banca, Fabrizio Viola. Il tentativo di trovare una quadratura del cerchio
da parte di Squinzi passa attraverso due alternative: rinviare l’aumento di
capitale che Profumo vorrebbe varare a gennaio, rivalutandone dunque tempi e
modalità, oppure studiare un modo per preservare il patrimonio e saldare i
debiti con le banche creditrici nonostante l’aumento di capitale a gennaio.
Missione molto difficile, considerando la raffica di vendite sul titolo a
Piazza Affari.
I
problemi non finiscono qui. Se anche dovesse passare la proposta di varare la
ricapitalizzazione a gennaio, chi ci metterà i soldi? Escludendo la Fondazione , è difficile
scommettere sulla Unicoop Firenze, che nelle ultime settimane ha ridotto la sua
partecipazione dal 2,7 all'1,7 per cento e che si prepara a sganciare anche le
quote residue del suo pacchetto, uscendo definitivamente dal capitale. E
nemmeno è scontata l’adesione della famiglia Aleotti, a capo della
multinazionale farmaceutica Menarini, che fra l’altro deve fare i conti con un
nuovo filone dell’inchiesta giudiziaria aperta sul gruppo nel 2010 dalla
procura di Firenze. I pm accusano i figli del patron Alberto Aleotti di aver
reimpiegato in operazioni finanziarie del 2012 capitali provento di illeciti,
rinnovando obbligazioni emesse da società da loro amministrate per un valore complessivo
di 120 milioni di euro. Gli unici ad avere dichiarato la loro disponibilità a
partecipare all’aumento di capitale, almeno finora, sono i francesi di Axa, che
comunque si limiteranno a investire il necessario per mantenere la quota
attuale. Nulla di più.
La
partita del tandem Profumo-Viola si fa dunque sempre più complicata. E la
nazionalizzazione, sempre più vicina.
(Fonte)
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