Un governo occulto che di fatto gestiva il siderurgico riconducibili alla prorietà che hanno dunque partecipato alla commissione dei reati contestati dalla Procura di Taranto. Sono stati fermati a Milano
6 settembre 2013 - Una struttura ombra che rispondeva direttamente alla famiglia Riva e governava il siderurgico inquinando Taranto. Tornano le manette all'Ilva: la guardia di Finanza ha arrestato questa mattina cinque dirigenti dello stabilimento con le accuse di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la pubblica incolumità in relazione al testo unico ambientale.
"Il provvedimento è scaturito da approfondimenti investigativi all'esito dei quali è stato ipotizzato che da anni, e precisamente dal 1995, ossia fin dal momento dell'insediamento del Gruppo Riva a Taranto - spiega la Guardia di Finanza - determinati soggetti di diretta derivazione della proprietà (cosiddetti "fiduciari") tenevano sotto stretto controllo lo stabilimento tarantino, avendo il compito effettivo di verificare l'operato dei dipendenti, assicurandosi che fossero rispettate le logiche aziendali".
A firmare l'ordinanza che ha portato in carcere Alfredo Ceriani (69 anni), Giovanni Rebaioli (65), Agostino Pastorino (60), Enrico Bessone (45) e ai domiciliari Lanfranco Legnani (74) è stata il gip Patrizia Todisco. "Il fiduciario - sostiene a Finanza - ha rappresentato una figura di 'governo', che dettava disposizioni su tutte le decisioni da adottare all'interno dello stabilimento pur non avendo, nella maggior parte dei casi, responsabilità "ufficiali"; dallo stesso dipendevano anche le decisioni dei vari capi-area. Gli accertamenti svolti - dicono le fiamme Gialle - hanno dimostrato che presso lo stabilimento siderurgico tarantino, la proprietà aveva ideato, creato e strutturato, una 'governance' di tipo parallelo, un vero e proprio 'governo-ombra' che si avvaleva di: personale dipendente da altri stabilimenti Ilva o società appartenenti allo stesso Gruppo; personale dipendente direttamente dalla Riva Fire spa; consulenti esterni (solitamente attraverso società in accomandita semplice), sia inquadrati che non nell'organigramma aziendale del Gruppo Riva".
Il nuovo filone d'inchiesta sullo stabilimento tarantino è nato da un approfondimento dell'inchiesta madre, quella che ha portato l'estate scorsa al sequestro degli impianti dell'area a caldo e all'arresto di alcuni appartenenti alla famiglia proprietaria dell'acciaieria. L'esistenza di un governo "occulto" gestiva l'Ilva era stata descritta dal tribunale del Riesame di Taranto motivando la decisione di rigettare i ricorsi di Riva Fire e Riva Forni Elettrici contro il sequestro di beni per 8,1 miliardi di euro disposto dal gip Todisco.
Secondo i giudici tarantini, i fiduciari "hanno esercitato un penetrante dominio su Ilva spa, pur avendo cessato dalla cariche rivestite in seno a tale compagine societaria, dettando dall'esterno le linee della politica aziendale" e concorrendo quindi alla commissione dei reati contestati dalla Procura. Negli ultimi mesi i finanzieri hanno ascoltato decine di persone tra dirigenti dell'Ilva, sindacalisti e dipendenti dello stabilimento per definire il ruolo dei presunti componenti del 'governo fantasma'.
In una intercettazione telefonica, l'ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso riferisce a Fabio Riva che un dirigente della fabbrica si lamentava dell'atteggiamento prevaricatore di uno dei fiduciari dei Riva dell'area ghisa, Pastorino, che di fatto impartiva ordini scavalcandolo nel ruolo.
I 'fiduciari' dell'Ilva erano inseriti "in una struttura di tipo piramidale con, alla base, i dipendenti e, al vertice, la proprietà", si legge poi nelle carte dell'inchiesta. Per gli inquirenti quella struttura si componeva di quattro fasce in cui erano inseriti gli uomini di fiducia. Al vertice c'era Legnani, che figurava quale direttore-ombra, poi c'erano i 'fiduciari apicali', fascia che comprendeva "persone molto vicine alla famiglia Riva" con la quale intrattenevano rapporti quotidiani; tra questi Ceriani, Rebaioli e Pastorino. Quindi c'erano i 'fiduciari intermedi', che avevano compiti tecnico-operativi e ai quali venivano conferiti incarichi ufficiali con delega (tra questi anche Bessone. L'ultima fascia della struttura comprendeva i 'fiduciari base', cioé tecnici che nei vari reparti eseguivano gli ordini degli 'apicali'.
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