Depositato il documento della sentenza della Corte d'Appello che a giugno ha condannato a 18 anni il magnate svizzero Schmidheiny per le migliaia di vittime
Quando tutto il mondo sapeva che la produzione del cemento-amianto era pericolosa e cancerogena, in Italia si continuò a lavorare negli stabilimenti senza precauzioni per almeno una decennio. Ed è "grazie all'opera di disinformazione consapevolmente promossa" da Stephan Schmidheiny che questo è potuto accadere. Lo scrivono i giudici della Corte d'Appello di Torino nelle 800 pagine - depositate oggi - in cui motivano la sentenza dello scorso 3 giugno, che ha visto la condanna del magnate svizzero a 18 anni di reclusione per le migliaia di vittime degli stabilimenti Eternit.
"Stephan Schmidheiny utilizzò il seminario di Neuss del 1976 per impedire che i numerosi settori delle collettività ancora interessati a utilizzare i manufatti di cemento-amianto divenissero pienamente consapevoli dell'elevata nocività delle fibre sprigionate da quel materiale e pretendessero degli interventi che, se eseguiti, avrebbero reso di fatto impossibile e comunque troppo oneroso l'esercizio delle attività produttiva - scrivono i giudici -. A questo fine egli aveva ideato di realizzare un'opera di disinformazione diretta a creare l'erronea convinzione che sarebbe stato sufficiente rispettare i 'valori limite di soglia' (peraltro indicati in modo inappropriato anche in relazione alle conoscenze già allora disponibili e mai vermanete perseguiti con atti coerenti) per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro e delle aree a essi vicine".
E ancora scrivono i giudici: "Trascorsero quasi dieci anni da allora fino a quando non fu più possibile nascondere la pericolosità delle fibre di amianto e gli stabilimenti furono costretti a chiudere. Il fenomeno epidemico si è così dilatato nel tempo con modalità che inducono a concludere come l'evento disastro non sia ancora consumato per intero".
Nelle motivazioni si spiega anche che l'altro imputato, il barone belga De Cartier, era responsabile e se non fosse morto lo scorso anno la sua condanna in primo grado sarebbe stata confermata.
L'aumento da 16 a 18 anni della pena per Schmidheiny è invece dovuta alla condizione ambientale dei siti di Bagnoli e Rubiera, dove le conseguenze del disastro ambientale continuano a farsi sentire.
(Fonte)
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