Lavorare in Cina per 44 giorni e tornare in Italia con 70 o 80 mila euro sul proprio conto corrente. E’ possibile grazie alle risorse pagate dal Governo in favore dei poveri. Qualche mese fa in parlamento ci si stracciava la vesti per il taglio ai fondi della cooperazione allo sviluppo. Per poi approvarli con la benda sugli occhi.
Ed è così che dalla Farnesina partivano esperti in missione
all’estero. E i costi? Molto alti. Partono, come riporta il Fatto Quotidiano,
dai cinquecento euro per finire ai mille euro al giorno. Lo Stato a questo
settore destina poche risorse.
Negli ultimi anni infatti sono stati tagliati i contributi
diretti dell’80%, e sono stati chiusi anche molti uffici anche con
finanziamenti già erogati. Le Regioni aspettano da anni di vedersi restituire
milioni di euro anticipati come crediti d’aiuto. Le Ong a corto di fondi
richiamano i volontari. Gli uffici tecnici per la cooperazione all’estero
chiudono.
A Roma però accade che vanno e vengono come il nulla stormi
di consulenti pagati a peso d’oro. Il quadro missioni della Direzione Generale
parla chiaro: esiste un professore di economia da inviare per quattro mesi in
Ghana dove il 28% della popolazione vive sotto la soglia di povertà di 1,25
dollari. A lui però verranno dati 70 mila euro per svolgere non meglio
precisare attività di supporto privato.
Scorrendo meglio troviamo che un capo progetto che lavora in
Senegal, Paese dal reddito pro capite di due dollari al giorno, ottiene per un
anno di lavoro 180 mila euro. In pratica il denaro per acquistare un
appartamento nuovo di zecca. Un forestale che va a lavorare in Mozambico invece
prende 11- 12 mila euro al mese.
Il problema principale è che esperti non si diventa ma si
viene nominati. Ad attribuire gli incarichi ci sono gli Uffici della Dgcs, la
direzione che coordina, gestisce e realizza tutte le attività internazionali
dello Stato italiano dirette al sostegno dei paesi in via di sviluppo: ospedali,
scuole, strade, interventi umanitari d’emergenza tutti finanziati con fondi
italiani.
Come si diventa allora esperti? La figura nasce con la legge
n. 49/1987, quella che a parole tutti i governi vorrebbero riformare (compreso
quello attuale) e poi mollano il colpo. Esordisce come “legge speciale”, tale
cioè da derogare le applicazioni giuridico-finanziarie imposte dalla contabilità
generale dello Stato, le norme su assegnazione di incarichi, trasparenza e la tracciabilità
dei flussi finanziari. Da qui sembra discendere anche la discrezionalità di
selezionare chi inviare in missione come “personale di supporto e assistenza
tecnica”.
Ce ne sono di due tipi: quelli assunti presso le Unità
tecniche centrali e quelli esterni. I primi sono stati inizialmente inseriti a
termine con contratti individuali di diritto privato e retribuzioni lorde fino
ai 73mila euro che possono arrotondare con le missioni all’estero. La loro
carriera da professionisti privati è finita nel marzo 2012 atterrando sul
velluto della previdenza pubblica: i contratti sono stati trasformati a tempo
indeterminato, nonostante l’età media di 63 anni. Fino al 2011 gli esperti Utc
non erano pensionabili e non era raro incontrare ultraottantenni che
ancora operavano negli uffici della Farnesina.Però qualcuno è riuscito a farne
un vero e proprio mestiere anno dopo anno. Utilizzando il sistema delle
missioni brevi o lunghe ha girato il mondo e messo via una bella somma di
denaro.
Conoscere i nomi non è affatto facile. Infatti nell’area
trasparenza del sito della Dgcs c’è una sezione incarichi ma è ferma a due
anni. Non riporta curriculum e motivo dell’incarico. Arginare la
discrezionalità delle assegnazioni e aprire il più possibile la partecipazione
alle selezioni tre anni fa è diventato un obiettivo fondamentale. Sono stati
messi alcuni paletti ed è stata valorizzata l’esperienza sul campo.
Perché nel frattempo, attraverso un’indagine della Procura
di Roma, si è scoperto che non tutti gli esperti sono onesti. Ventinove di
loro dichiaravano residenze fittizie in Italia per intascare indennità da
150-390 euro al giorno cui non avevano diritto perché regolarmente residenti
nei paesi di destinazione.
Si andava da compensi tra i 10mila e gli oltre 300mila euro,
frutto di varie missioni cumulate.
Una storia di cui ormai gli italiani non si meravigliano
più. Anche perché nel 2012 siamo riusciti a spendere 1,3 miliardi affidando
300mila incarichi. Ma ancora non si era arrivati a perlustrare il fondo
della Repubblica delle consulenze: far soccorre chi campa con un
dollaro da consulenti privati che paga anche mille volte di più. Col paradosso
che un giorno di missione in meno riempie la pancia a migliaia di disperati.
(Fonte)
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