Perchè questo accostamento di Alfano con una delle più conosciuta maschera italiane? perchè Arlecchino viene definito come uno che ne combina di tutti i colori, inventa imbrogli e burle a spese dei padroni dei quali è a servizio, ma non gliene va bene una.
Gaffe, scandali e rapimenti: Alfano “combina guai”
Dal caso Shalabayeva a Yara, fino al commissariamento di Reggio Calabria dell’amico Scopellitti
Angelino Alfano, ministro dell’Interno del governo Renzi, ha superato la soglia dei 400 giorni al Viminale. E la media di scandali e polemiche legate al delicato ruolo ricoperto ha ormai assunto una cadenza periodica. In sostanza, ogni tre mesi Alfano viene trascinato sui giornali per critiche da parte della magistratura, per accuse da parte di funzionari di polizia o persino rimproveri per il commissariamento di comuni sciolti per mafia, come nel caso di Reggio Calabria. Non solo. Alfano è stato spesso accusato di assenteismo al ministero, per colpa della troppa attenzione alla gestione del suo partito, Nuovo Centrodestra. L’ultima controversia sull’operato del numero uno del Viminale riguarda in queste ore il caso di Yara Gambirasio, dopo l’arresto del presunto assassino e gli attacchi della procura di Bergamo. A metterli in fila si tratta di numerosi incidenti in un solo anno di mandato, anche se le varie richieste di dimissioni da parte di società civile e politica sono sempre state rispedite al mittente. Da questo punto di vista il governo Letta e quello Renzi (Alfano era al Viminale anche con l'ex allievo di Nino Andreatta) sono in perfetta continuità.
Quando Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov, fu prelevata nella sua casa di Roma (qui il racconto dell'irruzione, ndr) dalle nostre forze dell’ordine, alla fine di maggio del 2013, Alfano era diventato ministro dell’Interno da appena un mese. Il leader di Nuovo Centrodestra si difese dalle accuse di essere stato coinvolto nell’operazione, sotto gli ordini dell’ambasciatore Andrian Yelemessov. Lo fece anche di fronte al parlamento dicendo: «Non sapevo, formalmente è stato tutto corretto». Sul caso indagata da qualche mese la procura di Perugia. Ma soprattutto fu Giuseppe Procaccini,all’epoca capo di Gabinetto del ministero dell’Interno, a tirarlo in ballo, sostenendo che «Alfano sapesse che i kazaki cercavano il dissidente Ablyazov, anche se ignorava il coinvolgimento della moglie e della figlia».
Sempre nei suoi primi mesi di mandato al Viminale Alfano fu anche investito della nomina del nuovo capo della Polizia di Stato. Dopo la morte di Antonio Manganelli, marzo del 2013, il posto è rimasto vacante per oltre due mesi. Alessandro Pansa verrà nominato solo il 31 maggio, scatenando le ire dei sindacati di polizia che ritennero il vuoto di potere “inaccettabile” e anche pericoloso per la sicurezza nazionale. Per di più Alfano sostenne in quella nomina la candidatura del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, per cui si sarebbe speso in prima persona persino Silvio Berlusconi, ex presidente del Consiglio. Peccato che proprio Pecoraro fosse il firmatario del decreto di espulsione per la Shalabayeva e sua figlia.
Quando nell’estate del 2013 esplode pure lo scandalo Unipol Fonsai che porta in carcere il re dei costruttori di Milano Salvatore Ligresti, per qualche giorno anche la poltrona di Alfano, come quella del ministro di Grazia e Giustizia Annamaria Cancellieri, vacillò. Il motivo stava tutto nella stretta vicinanza tra i Ligresti e lo stesso Alfano, il quale parlava spesso di case con Don Salvatore nelle telefonate dell’inchiesta su Premafin. Del resto, il leader di Ncd abita da anni in via delle Tre Madonne a Roma, uno stabile della famiglia Ligresti, dove hanno appartamenti anche esponenti della famiglia La Russa o dell’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu.
Nelle stanze della procura di Milano gira da anni un diktat: «Acqua in bocca». Il massimo riserbo deve essere garantito su tutti i casi. Soprattutto, negli ultimi mesi, in relazione alla spettacolare rapina avvenuta presso la gioielleria Frank Muller in via della Spiga nel febbraio del 2013. Il caso è complesso, delicato e i primi arresti arrivarono solo sei mesi dopo il delitto. Gli inquirenti tacciono, fino a che a Milano non torna lo “sciagurato” Alfano che a metà di gennaio di quest’anno si presenta in Prefettura e annuncia un successo: «Chiunque compia rapine o furti deve sapere che lo Stato è più forte». E intanto rivela che due moldavi e due romeni erano stati arrestati nell’ambito dell’indagini sulla rapina in via della Spiga, svelando dettagli delle indagini.
Nel marzo 2014 si decide se prorogare o meno il commissariamento del comune di Reggio Calabria sciolto per infiltrazioni mafiose. Rosi Bindi, presidente della Commissione Antimafia, approfitta di un’audizione della stessa commissione, per chiedere al ministro Alfano delucidazioni in merito. Il numero uno del Viminale ribatte che quella non era la sede adatta per discutere della proroga. Il sospetto, però, tra gli esponenti del Partito Democratico, fu che Alfano non volesse prendere decisioni in merito per non destabilizzare il suo partito, Nuovo Centrodestra, e i rapporti con Giuseppe Scopellitti, ex sindaco della città condannato a sei anni per falso e abuso d’ufficio, poi candidato alle elezioni europee di fine maggio.
E adesso arriviamo ai giorni nostri. Dopo aver insistito per anni sulla presunzione di innocenza di Silvio Berlusconi, poi condannato per frode fiscale agli inizi di agosto del 2013, Angelino Alfano ha deciso il 16 giugno di esternare la sua soddisfazione per l’arresto del presunto assassino di Yara Gambirasio, la 14 bergamasca, barbaramente uccisa il 26 novembre del 2010. È stato Alfano infatti a rivelare con un comunicato stampa che c’era stato un fermo a Clusone e i misteri sul caso Gambirasio erano stati risolti. Esternazioni che hanno indispettito la procura di Bergamo. «Era nostra intenzione mantenere il massimo riserbo anche a tutela dell’indagato in relazione al quale esiste la presunzione di innocenza», si legge in una nota del procuratore Francesco Dettori. Pronta la risposta del ministro, accusato da più parti di essere stato quantomeno intempestivo. «Non ho divulgato dettagli e non credo che il procuratore ce l’abbia con me. Piuttosto si dovrebbe chiedere chi ha inondato i mass media di informazioni e dettagli, certamente non è stato il governo». L’ennesima difesa per un ministro dell’Interno che in pochi mesi ha collezionato incidenti su incidenti e mai si è dimostrato così vicino alla Procura e agli investigatori in altri casi di corruzione e malversazione che hanno coinvolto il mondo della politica, anzitutto di centrodestra.
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