Tempi difficili per gli abitanti indigeni della più grande democrazia del Sudamerica…non subivano una tale aggressione ai loro diritti fondamentali sin dai giorni bui della dittatura militare, quando i popoli indigeni erano considerati un “ostacolo al progresso” e le loro terre furono aperte a imponenti progetti disviluppo industriale.
Da un lato, una Presidente intransigente, con una visione unilaterale dello sviluppo orientata a trasformare l’Amazzonia in unpolo industriale capace di sostenere la velocecrescita economica del Brasile. Dall’altro, 238 tribù determinate a difendere i diritti costituzionali faticosamente conquistati, e a proteggere le loro terre e i loro mezzi di sostentamento per le generazioni future. Forse non è un caso se, dalla caduta della dittatura del 1985, Dilma Rousseff è l’unico Presidente brasiliano a non aver mai incontrato una rappresentanza indigena.
La battaglia, a cui nei giorni scorsi si è unito in massa anche il movimento studentesco Passe Livre (Mpl), è per la legalità e per il diritto all’autodeterminazione, caposaldo della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni. “L’attuale governo sta cercando di imporci il suo stile colonialista e dominatore… […] Con progetti di legge e decreti, molti dei quali incostituzionali, ha causato danni irreversibili ai popoli indigeni” ha dichiarato Coiab, l’organismo di coordinamento delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana.
Uno dei progetti di legge in discussione vuole proibire l’espansione dei territori indigeni, e colpirà in particolare le tribù che vivono nelle zone agricole meridionali e centro-occidentali. Qui iconflitti per la terra sono più forti e violenti, e alcuni politici, membri della potente lobby agricola del Brasile, possiedono allevamenti su terre indigene che dovrebbero essere restituite agli indiani. Molti di questi politici oggi riforniscono di canna da zucchero la fiorente industria brasiliana dei biocarburanti. I Guarani del Mato Grosso do Sul vivono accampati ai margini delle strade o in riserve sovraffollate. Quando, stanchi di aspettare l’intervento delle autorità federali, decidono di rioccupare la terra ancestrale, i loro leader sono sistematicamente attaccati e assassinati dai sicari degli allevatori.
Un altro emendamento costituzionale vorrebbe dare al congresso (dominato dalla lobby agricola e mineraria) il potere di partecipare al processo di demarcazione della terraindigena, compromettendo o ritardando così ulteriormente la protezione dei territori. Se la proposta passerà, il lupo sarà messo a guardia delle pecore.
Contemporaneamente, più a nord, nello stato amazzonico di Roraima, ricco di minerali, alcuni politici stanno appoggiando un progetto di legge sull’attività estrattiva che, se approvato dal Congresso, aprirà per la prima volta i territori indigeni allo sfruttamento minerario su larga scala. Sulla sola terra del popolo Yanomami, il territorio indigeno forestale più grande del mondo,pendono 654 richieste di concessioni minerarie. Davi Kopenawa, portavoce degli Yanomami, ha detto a Survival International che le miniere “distruggeranno i ruscelli e i fiumi, uccideranno il pesce, l’ambiente… e anche noi!”.
E se in Amazzonia il controverso programma di costruzione di dighe idroelettriche fornirà energia a basso costo alle compagnie minerarie pronte a lavorare nei territori indigeni, allo stesso tempo distruggerà le terre e i mezzi di sostentamento di migliaia dei suoi abitanti nativi.
L’impunità regna sovrana quasi ovunque. Taglialegna e coloni invadono anche i territori formalmente riconosciuti correndo ben pochi rischi di essere arrestati. Gli Awá, una delle ultime tribù di cacciatori-raccoglitori nomadi rimaste in Brasile, hanno già perso il 31% della loro foresta. Dei 450 membri della tribù, circa 100 sono dispersi e sono costretti alla fuga costante nel disperato tentativo di evitare le motoseghe e le armi da fuoco.
Frustrati per non essere stati consultati e arrabbiati per gli attentati ai loro diritti, i popoli indigeni del Brasile stanno reagendo: occupano il Congresso e i cantieri delle dighe, bloccano le linee ferroviarie, reclamato loro terra sacra, fanno lo sciopero della fame, e si suicidano.
Da quando in Brasile è entrata in vigore la costituzione del 1988, le conquiste sono state molte: i popoli indigeni hanno ottenuto il diritto esclusivo e “originario” sulle loro terre e la maggior parte dei territori che si trovano in Amazzonia sono stati riconosciuti; la popolazione di molte comunità sta crescendo, e le organizzazioni indigene che lavorano per difendersi autonomamente sono sempre più numerose e più forti. Tuttavia, tutte queste conquiste oggi sono a rischio.
Recentemente è stato casualmente ritrovato lo storico rapporto Figueiredo, che documenta glispaventosi crimini commessi contro i popoli tribali del Brasile tra gli anni ‘40 e ‘60. Quelle pagine intrise di sangue avrebbero dovuto scuotere le coscienze della classe dirigente mettendo fine a questa crisi umanitaria, ma di fronte alle violenze dilaganti, all’assassinio continuo degli indigeni e alla caparbia negazione dei loro diritti, restiamo attoniti e indignati.
Il Brasile si prepara ad ospitare la Coppa del Mondo di calcio e le Olimpiadi, e sta cercando di ottenere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: il suo grado di rispetto dei diritti umani sarà valutato attentamente. Nei decenni scorsi, la pressione internazionale e l’opinione pubblica hanno giocato un ruolo chiave nel sostenere i diritti dei popoli indigeni – epossono fare moltissimo anche in questo caso.
di Fiona Watson, Survival International (traduzione di Elena Pozzi)
Foto: © José Cruz/ABr
(Fonte)
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