Dopo le
prime reazioni positive (se non entusiaste), ai vertici del Pdl si inizia a
capire che il comunicato del Quirinale sulla sentenza Mediaset e sui suoi
effetti non è stata affatto una vittoria. Lo stesso Berlusconi, da Arcore, ha
lasciato trapelare la sua ‘delusione’ dopo
essersi consultato con i suoi avvocati. Perché? Vediamo, punto per punto, cosa
c’è in quel comunicato e come va interpretato.
Partiamo dagli elementi positivi per
Berlusconi: ce ne sono? E se sì, quali?
«Sì, ci sono tre o quattro frasi che vanno incontro a lui e a
alla sua parte»
Quali?
Primo: «È legittimo che si manifestino riserve e dissensi
rispetto alle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione ed è comprensibile che
emergano – soprattutto nell’area del Pdl – turbamento e preoccupazione per la
condanna a una pena detentiva di personalità che ha guidato il governo e che è
per di più rimasto leader incontrastato di una formazione politica di
innegabile importanza». Questo passaggio viene considerato uno ’sdoganamento’
della liceità delle critiche alla sentenza e come un riconoscimento del ruolo
politico di Berlusconi. Il Pdl ci teneva molto a sancire che il processo al suo
leader non è un processo qualunque, non è una questione solo personale, uguale
a tante altre.
Poi?
Poi c’è la frase sul
carcere: «Va ribadito che la normativa vigente esclude che Silvio Berlusconi
debba espiare in carcere la pena detentiva irrogatagli e sancisce precise
alternative, che possono essere modulate tenendo conto delle esigenze del caso
concreto». Un passaggio che fa molto discutere, visto che la legge attribuisce
ai giudici di sorveglianza la possibilità di
offrire pene alternative ma non li obbliga in
questo senso. Le pressioni del Quirinale nei confronti del potere giudiziario,
in questa frase, sono abbastanza evidenti.
Basta così?
No, naturalmente. C’è
il passaggio sulla grazia, quello che nel Pdl alcuni interpretano come
’spiraglio’: «Ad ogni domanda in tal senso, tocca al presidente della
Repubblica far corrispondere un esame obbiettivo e rigoroso – sulla base
dell’istruttoria condotta dal ministro della Giustizia – per verificare se
emergano valutazioni e sussistano condizioni che senza toccare la sostanza e la
legittimità della sentenza passata in giudicato, possono motivare un eventuale
atto di clemenza individuale che incida sull’esecuzione della pena principale».
Questo punto viene interpretato in modo diverso da diversi osservatori: secondo
alcuni, è quasi un’offerta di clemenza nel caso il Cavaliere presentasse
domanda; secondo altri, invece, è una botta per Silvio, perché chiunque può
chiedere la grazia («ad ogni domanda») e in questo caso non ci saranno corsie
preferenziali, ci sarà la consueta «istruttoria» in via Arenula. Quanto a
«esaminarla obiettivamente», questo è un atto dovuto.
Qual è l’interpretazione giusta?
Solo Napolitano
conosce le intenzioni di se stesso. Tuttavia un fatto è indubbio: il Quirinale
ha escluso di muoversi autonomamente per la grazia e, di fronte a un’eventuale
richiesta in questo senso del condannato, questa sarà incardinata nella normale
procedura di passaggio prima al ministero, poi al Colle medesimo.
E qui iniziano le note negative per il Cavaliere.
Esatto, perché intanto
la condanna della Cassazione deve essere applicata, ha detto il Presidente
della Repubblica: «Di qualsiasi sentenza definitiva, e del conseguente obbligo
di applicarla, non può che prendersi atto» e «non deve mai violarsi il limite
del riconoscimento del principio della divisione dei poteri e della funzione
essenziale di controllo della legalità che spetta alla magistratura nella sua
indipendenza».
Punto importante?
Sì, perché prima di
tutto difende la magistratura dagli attacchi sconsiderati del Cavaliere e dei
suoi; poi risponde negativamente alla richiesta immediata di ‘agibilità politica’
che sottragga oggi Berlusconi alle conseguenze della sentenza. Questa richiesta
era l’obiettivo fondamentale delle pressioni del Cavaliere sul Quirinale e
l’attacco è andato a vuoto. La sentenza c’è, dice Napolitano: potete criticarla
finché vi pare («esercizio della libertà di opinione e del diritto di critica»)
ma intanto bisogna «prenderne atto», con il «conseguente obbligo di
applicarla», almeno in attesa dell’iter della eventuale domanda di grazia.
Quindi?
Quindi a metà ottobre,
come previsto, il Senato può fare decadere Berlusconi e questi può essere messo
ai domiciliari. Non è una buona notizia per l’ex premier. Tra l’altro, è da
notare come il Quirinale abbia precisato che anche un eventuale «atto di
clemenza individuale» inciderebbe sulla «esecuzione della pena principale»:
come dire che le pene accessorie (ad esempio, l’interdizione dai pubblici
uffici) potrebbero rimanere escluse da questa ‘clemenza’.
Insomma, niente ‘agibilità politica’.
Esatto, o quanto meno
non garantita dal Quirinale. Che anzi si è un po’ irritato con chi gliel’ha
chiesta: «Sono stato da parecchi giorni, chiamato in causa in modo spesso
pressante e animoso per risposte o “soluzioni” che dovrei e potrei dare a
garanzia di un normale svolgimento, nel prossimo futuro, della dialettica
democratica e della competizione politica». E a questo proposito c’è un altro
passaggio importante, forse un po’ sottovalutato nei primi commenti.
Quale?
Quello in cui
Napolitano dice: «Toccherà a Silvio Berlusconi e al suo partito decidere circa
l’ulteriore svolgimento – nei modi che risulteranno legittimamente possibili –
della funzione di guida finora a lui attribuita».
Che cosa significa?
Che la «dialettica
democratica e la competizione politica» di cui sopra non subiscono alcun
‘vulnus’ dalla condanna e dalla eventuale decadenza parlamentare di Berlusconi,
perché la sua parte politica può benissimo scegliersi un altro leader con piena
‘agibilità ‘. Quindi Napolitano si sottrae al ricatto secondo il quale una
condanna di Berlusconi ‘impedirebbe’ al Pdl di concorrere al gioco democratico,
come sostenevano i falchi del Cavaliere. In altre parole e in sintesi: inutile
che mi tiriate per la giacchetta, dice Napolitano al Pdl, primo perché delle
sentenze si può solo «prendere atto», secondo perché potete benissimo correre
alle elezioni con un altro candidato premier, possibilmente a piede libero.
E qui si viene alla parte meno giudiziaria e più politica del
messaggio di Napolitano.
Esatto. È con questa
che del resto il Quirinale ha voluto aprire la nota, preservando e coccolando
il governo Letta: «La preoccupazione fondamentale, comune alla stragrande
maggioranza degli italiani, è lo sviluppo di un’azione di governo che guidi il
paese sulla via di un deciso rilancio dell’economia (..) Fatale invece sarebbe
una crisi del governo faticosamente formatosi da poco più di 100 giorni».
Bell’invasione di campo: il Colle non dovrebbe essere sopra
le parti?
Sì: Napolitano non
nasconde più in alcun modo che questo è il ’suo’ governo. A questo sì che
tiene, non all’agibilità politica di Berlusconi. E per difenderlo, in un altro
passaggio toglie al Cavaliere pure l’arma ‘finale’ che lui si stava preparando,
cioè le elezioni.
Quale passaggio?
Quando se la prende
con chi «agita, in contrapposizione alla sentenza, ipotesi arbitrarie e
impraticabili di scioglimento delle Camere». Una specie di avvertimento
preventivo a Berlusconi: inutile che minacci di far cadere Letta (magari per
sciogliere le Camere e così sospendere l’iter della tua decadenza, come
proponeva Nitto Palma), perché io tanto le Camere non le sciolgo.
C’ è altro, nella nota?
C’è l’inevitabile
invito alla ‘pacificazione’: «Tutte le forze politiche dovrebbero concorrere
allo sviluppo di una competizione per l’alternanza nella guida del paese che
superi le distorsioni da tempo riconosciute di uno scontro distruttivo, e
faciliti quell’ascolto reciproco e quelle possibilità di convergenza che
l’interesse generale del paese richiede». Uno scenario piuttosto improbabile,
se B. va ai domiciliari e viene espulso dal Senato.
In sintesi, si può dire che Napolitano ha dato un colpo al
cerchio e uno alla botte?
Fino a un certo punto.
Lo fa, certo, quando dice che «si deve procedere in un clima di comune
consapevolezza degli imperativi della giustizia e delle esigenze complessive
del paese»: cioè che da un lato bisogna rispettare lo Stato di diritto,
dall’altro bisogna evitare la guerra civile. Però complessivamente da questa
partita sul Colle Berlusconi esce più sconfitto che vincitore: nessuna
‘agibilità politica’ promessa dal Quirinale, nessun riferimento a una possibile
amnistia da varare alle Camere e la conferma che la sentenza della Cassazione
va applicata in attesa di una domanda di grazia il cui esito è molto dubbio. Il
Cavaliere invece ha fretta, perché fra due mesi potrebbe essere ai domiciliari
e senza più alcuno scudo parlamentare che lo difenda da altre eventuali
condanne, a iniziare dall’appello del Rubygate, o da provvedimenti giudiziari restrittivi
che possono provenire da altre inchieste in corso (corruzione De Gregorio a
Napoli, corruzione giudiziaria di Tarantini a Bari, corruzione giudiziaria dei
testimoni dello stesso Rubygate se la Procura riterrà di procedere dopo l’invio
degli atti dal Tribunale).
Ma allora perché Gelmini, Gasparri e Cicchitto hanno
applaudito alla nota del Quirinale?
Due le ipotesi: o non
l’hanno capita o più semplicemente hanno cercato di far passare una sconfitta
per una mezza vittoria, per motivi mediatici. Ma poche ore dopo le loro
dichiarazioni quasi entusiaste, come si diceva, Berlusconi si detto deluso. I
suoi avvocati, probabilmente, gli hanno spiegato come stanno davvero le cose.
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