06 maggio, 2013 - Cara
signora Kyenge, dal momento del suo giuramento come ministro della
repubblica italiana lei ha dimostrato che non le piacciamo.
Legittimo,
per carità, ma per coerenza uno non dovrebbe accettare di governare un
popolo che non ama. Perché, vede, da noi, in Italia, esistono delle
regole di buona educazione.
Magari superate, ma che a noi piacciono
ancora. E una di queste regole prevede che, se si va a casa degli altri,
si chieda permesso, si entri e ci si adegui alle regole della casa.
Certo, saranno atteggiamenti che Lei non condivide. Per questo Lei è
arrivata e ha cominciato a dettare regole nuove a chi la ospita. Non mi
piace cosa mangiate, come parlate, cosa dite, i vostri quadri appesi
alle pareti, i colori dei muri, gli infissi.
Non Le piace nulla.
E,
dunque, tra andarsene in un Paese che le piace di più e cambiare il
nostro, Lei ha scelto la seconda opzione
.
Vede, caro ministro, noi avremo tanti difetti, anzi tantissimi. Ma siamo
legati alla nostra civiltà, plurimillenaria. Ha presente quei sassi,
quei muri rotti che costellano i nostri paesaggi? Noi li chiamiamo
reperti archeologici.
E ci siamo affezionati. Come siamo affezionati
alla nostra lingua, alla nostra cultura. E non siamo contenti quando una
persona che ospitiamo arriva e ci dice che noi dobbiamo cambiare.
Perché siamo noi che dobbiamo adattarci a chi arriva e non viceversa.
Curiosa idea. Rispettabile ma curiosa.
Così come il suo intervento per chiarire che lei non è una persona di colore. Brava. Abbiamo pensato che, finalmente, fosse arrivato un ministro che se ne fregava dei luoghi comuni del politicamente corretto.
Macché. Solo una breve illusione. Perché subito dopo ha aggiunto che
Lei non è di colore, ma nera.
Ecco, vede caro ministro, ci rendiamo
conto che la vicinanza con i politici italiani – quelli che considerano
il congiuntivo come un nemico da abbattere e chiedono “te cosa fai
domani?” – non agevoli la padronanza della lingua italiana. Ma il nero,
al di là dell’onanismo intellettuale se deve essere considerato un
colore o un non-colore, nell’accezione comune è un colore. E allora cosa
vuol dire che Lei è nera ma non di colore? Nera è una camicia, un’auto.
Ma Lei è una persona, non un oggetto. E, in italiano, lei è negra. E
non c’è nessuna offesa, nessuna accezione negativa nel termine. Certo, è
offensivo negli Stati Uniti d’America. Ma a noi che ci frega?
Non siamo
in America. Forse Lei è stata tratta in inganno dalla sua collega
Bonino, convinta che la nostra capitale sia Washington e che, quindi,
dobbiamo adeguarci alla lingua d’Oltreoceano e alle decisioni delle loro
Corti. Ma non è così.
Se Lei avesse avuto voglia di informarsi sulla
nostra cultura, avrebbe scoperto che una delle più belle canzoni
antirazziste, interpretata da Fausto Leali, si intitola “Angeli negri”.
Non neri, ma negri. “Anche se la Vergine è bianca, disegna un angioletto
negro”.
Perché vede, signora, gli italiani sono tutt’altro che razzisti. Troppo abituati ad essere invasi da spagnoli, francesi, austriaci e ad essere guidati da inglesi e americani per potersi permettere la xenofobia.
Ma
il razzismo cresce, adesso, per i comportamenti dei paladini del
politicamente corretto. Cresce quando le case popolari vengono negate
agli italiani poveri, figli e nipoti di chi ha pagato le tasse
permettendo la costruzione di quelle stesse case, per assegnarle a
stranieri appena arrivati e che nulla han fatto per questo Paese.
Cresce
quando si tagliano i fondi per il trasporto pubblico a Torino e si
regalano 5 milioni agli zingari (che non hanno fatto assolutamente nulla
per averne diritto).
Cresce quando nelle scuole i bambini italiani
devono rinunciare alla festa di Natale per non infastidire i bambini di
altre religioni o quando devono rinunciare al prosciutto in mensa perché
altri non vogliono mangiarlo.
Ecco, caro ministro, prima di lanciarsi
in iniziative che andranno in senso contrario ad ogni integrazione ed
interazione, provi a pensare a tutto questo. E se proprio non Le piace
come siamo fatti, può sempre scegliersi popoli migliori del nostro.
(Fonte)
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