“Fine della recessione”. Ma i dati Istat smentiscono Saccomanni, Letta e Giovannini
“La recessione è finita, credo che l’economia entrerà in ripresa,
siamo a un punto di svolta”. Fabrizio Saccomanni, ministro
dell’Economia. (Ex direttore generale di Bankitalia, dimessosi subito dopo la nomina a ministro).
“Nel secondo trimestre il Pil avrà ancora un segno meno, ma nel terzo
e nel quarto si potrà avere un segno positivo. A quel punto potremmo
dire che la recessione che ormai dura da due anni è finita”. Enrico
Giovannini, ministro del Lavoro. (Ex Presidente Istat, dimessosi subito dopo la nomina a ministro).
“I segnali ci sono tutti e indicano che siamo ad un passo dal
possibile, cioè dall’inversione di rotta e dall’uscita dalla crisi più
drammatica e buia che le attuali generazioni abbiano mai vissuto”.
Enrico Letta, presidente del Consiglio.
Dichiarazioni ottimiste, decisamente troppo ottimiste vista l’attuale
situazione economica italiana. E infatti vengono prontamente smentite
dai dati ufficiali Istat, Bankitalia e FMI. La luce in fondo al tunnel,
in realtà, è ancora molto, molto lontana.
Nel secondo trimestre del 2013 il Pil prosegue con un calo dello 0,2%
rispetto al primo trimestre e del 2% rispetto allo stesso periodo del
2012. Pil in calo costante già da 8 trimestri consecutivi,”una
situazione mai verificatasi a partire dall’inizio delle serie storiche
comparabili, nel primo trimestre del 1990″, evidenzia il bollettino
Istat. Dati infausti, che segnalano una pesante recessione della nostra
economia e che non danno speranze di ripresa a breve senza riforme
strutturali.
I tre Nostradamus si sono subito difesi dichiarando che le previsioni
erano “troppo pessimistiche”, risultato della stagnazione politica dei
mesi successivi alle elezioni politiche. Sarà, ma per l’ennesima volta
assistiamo a proclami in pompa magna ma all’orizzonte non si vedono
ancora provvedimenti di peso in grado di riformare il Paese e di
invertire la spirale recessiva, e dello stesso avviso è anche la
Commissione europea, la quale ci fa notare che “l’Italia ha ancora più
bisogno di trovare la strada per la crescita e per farlo deve mantenere
il passo delle riforme economiche”.
Riforme economiche fondamentali e sostanziali, e non le solite
manovre emergenziali della durata di pochi anni, che il Paese aspetta da
almeno un ventennio, come quella fiscale, quella del lavoro, delle
pensioni, della pubblica amministrazione, della burocrazia. Ma il mantra
è sempre il solito “I soldi non ci sono, il debito non può aumentare,
il patto di stabilità va rispettato”. E così andiamo avanti ad annunci e
rinvii. Siamo ad agosto e ancora non si sa che destino avranno a
settembre Imu e aumento Iva.
Le risorse si potrebbero trovare eccome, se ce ne fosse davvero la
volontà. In Italia esiste un unico modo di reperire fondi finanziari:
alzare tasse e imposte. Ma la pressione fiscale, ormai, ha raggiunto
livelli insostenibili. Ora come non mai è necessario un serio taglio di
spesa pubblica.
“Non si possono tagliare welfare state, sanità, scuola eccetera,
eccetera, eccetera”, sono le motivazione più diffuse quando si prova a
parlare di spending review. E fanno sempre effetto. Peccato che in
Italia circa il 60% degli 800 miliardi di spesa pubblica totale NON
riguardi il Welfare, anzi venga considerata addirittura spesa
improduttiva.
Numerose sono le inchieste che rivelano l’uso sconsiderato dei fondi
pubblici italiani, che non riguardano solamente i finanziamenti ai
partiti, le spese della “Casta di Montecitorio”, le auto blu, esche
spesso utilizzate in campagna elettorale per creare consenso
nell’opinione pubblica, importanti sì, ma assolutamente demagogiche.
Anche se fossero totalmente aboliti, le risorse recuperate sarebbero
insufficienti a qualsiasi manovra finanziaria. Nel caso dei
finanziamenti ai partiti, dati alla mano, con l’abolizione totale si
andrebbero a recuperare circa 500 milioni di euro in un quinquennio. Con
il taglio del 50% degli stipendi dei politici, circa 1 miliardo in 5
anni.
I provvedimenti necessari alla ripresa dell’economia, ora, sono
altri. Ad esempio si potrebbero rivedere i meccanismi dei sussidi alle
imprese, pubbliche e private, che ammontano a circa 40 miliardi di euro
all’anno, che potrebbero andare a compensare un’abolizione almeno
parziale, se non addirittura totale dell’IRAP.
Si potrebbe pensare anche ad una revisione del sistema degli
ammortizzatori sociali, della cassa integrazione e dei sussidi
disoccupazione, strumenti spesso abusati in barba a ogni legislazione e
che soprattutto non vengono garantiti a tutti i lavoratori ma solo a una
quota di eletti piuttosto bassa se comparata al totale dei dipendenti
italiani, che negli ultimi 4 anni di crisi sono costati ben 80 miliardi
di euro ai contribuenti. E, a scanso di equivoci, per riforma non si
intende l’abolizione totale, ma una razionalizzazione delle risorse e
l’implementazione di un efficiente sistema di controlli anti-frode, per
esempio.
Un’altra necessaria riforma riguarda l’ipertrofica Pubblica
Amministrazione, che conta più di 3,5 milioni di dipendenti, decisamente
superiore alla media UE e che succhia circa il 50% del Pil italiano.
Solo per fare un piccolo esempio, iniziando ad utilizzare software open
source la PA potrebbe tagliare 3 miliardi di euro all’anno, senza alcuno
sforzo. E tante altre sono le manovre potenziali che si potrebbero
attuare, con conseguenti risparmi sia in termini finanziari, sia in
termini di efficienza burocratica.
Si potrebbe iniziare da queste qui, cari Letta, Saccomanni, e
Giovannini. Sia mai che cominciando davvero ad operare le doverose
riforme, possiate trovare la giusta strada per rimettere in piedi il
Paese e dichiarare, questa volta per davvero, la fine della recessione
economica.
(Fonte)
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