Roma, Agosto 2013 - di Claudia Bernardini – Ogni mattina di questa
anomala estate romana ci si trova convogliati nel flusso della stessa
routine, le stesse situazioni, lo stesso disagio, attese interminabili
per dare l’assalto ad uno dei pochi autobus in circolazione, mentre il
tempo passa e sei maledettamente in ritardo; ti trovi accalcato uno
sull’altra, nel disagio di quel contatto forzato, in una calura umana
che ti disfa, ti stropiccia, ti rende sciatto anche nel tuo vestito
migliore.
Nonostante disagi e disservizi con l’estate si guadagna finalmente
una tregua dagli scioperi settimanali e dai suicidi sotto la metro, 12
dall’inizio dell’anno, una media di 1 ogni due settimane ed è strano
come alla fine ci si scopra assuefatti, ci si abitua a tutto,
scoprendosi cinici anche difronte ad un gesto estremo, che dovrebbe al
contrario essere un allarme sociale del livello di disperazione. Mentre
entri in quel fiume di gente transumante e ti riversi in strada nello
strenuo tentativo di arrivare in qualche dove, ti accorgi che la tua
piccola quotidianità supera qualsiasi considerazione, e anche la
platealità di un gesto estremo, finisce col diventare un fastidio. Alla
fine ti scopri anestetizzato in ogni tua emotività fino ad entrare nella
più asoluta indifferenza.
Il senso di solitudine tra migliaia di viaggiatori è totale, gli
sguardi sono assenti, gli occhi fissano punti indefiniti dove i pensieri
si rincorrono lontani; ci si estranea per un chatting compulsivo alla
ricerca di un messaggio che riempia quell’indifferenza, in un vuoto
senza fine mentre la contiguità forzosa con altri corpi che violano il
tuo spazio vitale, stride ancor più con quella totale incomunicabilità.
Da quando l’egida delle crisi economica è calata come una coltre di
nubi minacciose sulle nostre vite, anche il sole che per l’Italia era
una delle poche certezze, con gli spaghetti e il mandolino, sembra
timidamente far capolino tra un diluvio, una grandinata e una tromba
d’aria. Qualcosa è cambiato e di questo tutti siamo consapevoli, anche
quando non si è perso il lavoro e la vita prosegue nella solita consueta
normalità, il borsellino si svuota inspiegabilmente prima di arrivare a
fine mese.
Nella Capitale dalla sera alla mattina il biglietto per una corsa è
aumentato del 50% facendo ricalcolare tutti i budget familiari che a
fine anno, hanno ridefinito la tabella degli acquisti consentiti.
Attraversando le vie urbane ci si rende conto che negozi storici,
botteghe di artigiani da generazioni, piccoli commercianti sono
scomparsi ridisegnando il tessuto commerciale delle vie cittadine che
cambia di settimana in settimana in un vortice di aperture, chiusure
mentre alcuni locali entrano in stallo e i cartelli di affittasi e
vendesi, ingialliscono in locali rimasti ormai vuoti. Di fatto qualche
sviluppo c’è stato ma a favore di un tessuto commerciale proprio dei
periodi post bellici, si è assistito alla ricomparsa dei “monti di
pietà” che oggi chiamiamo “compro oro” (pagamento in contanti), sale
gioco con slot machine in concorrenza con l’imperversare del gioco on
line, catene di locali per il riciclaggio di denari di dubbia
provenienza e una vera e propria colonizzazione, sulla falsa riga della
Coca cola in tutte le parti del mondo, di venditori di Kebab, che se
dovessimo fare un censimento potremmo assumere come piatto nazionale
accanto alle tradizionali pasta e pizza. Ma se una guerra c’è stata si è
trattato di un conflitto silente, uno strano attacco all’economia
sociale, in cui a macchia di leopardo alcuni sono scivolati nel
tritacarne di meccanismi perversi di una tassazione che ha dilaniato gli
imprenditori onesti e la mancanza di liquidità, a cui è sopravvissuto
solo chi aveva attività delocalizzate all’estero, e se vittime ha fatto
si è trattato dello spargimento di sangue di chi non ce l’ha fatta, e
per dignità ha preferito farla finita, piuttosto che assistere impotente
alla disperazione di famiglie rimaste senza uno stipendio . Alcune
classi hanno mantenuto le loro entrate ma l’egida della crisi e gli
aumenti di bollette, tasse e benzina hanno fatto tirare il cordone della
borsa anche durante i saldi di fine stagione. Il censimento di 127.000
milionari nella sola Roma rende consapevoli di una redistribuzione della
ricchezza che i meccanismi della crisi tendono sempre più ad
esasperare.
Di giornale in giornale di trasmissione in trasmissione lo “spread”,
il “debito” e la “crisi” sono entrati come una Trinità, un atto di fede
da accettare senza comprenderne le reali ragioni, un peccato originale
che si è insinuato nella nostra mente, come un mantra che giorno dopo
giorno tutto giustifica calandoci seppur consapevolmente in una
inesorabile impotenza.
Stazione della Metro di Piramide: una giapponesina delicata,
cappellino di paglia per proteggere l’incarnato di porcellana, camicina
fiorata dalle tinte pastello, guantini bianchi a rete con una cartina in
mano è ferma alla banchina e aspetta il suo turno per entrare, famelico
un gruppetto di ragazzette travestite da turiste, la accerchiano le
mani corrono lungo i vestiti , come simulando un accalcamento per
guadagnare l’ingresso nella metro. Nel parapiglia una mano furtiva apre
la zip della tracolla e cerca tra gli oggetti posti in preciso ordine.
La giapponesina solleva le braccia ed educatamente quasi sommessamente
lancia un “ooohhhh”, l’azione si conclude con un nulla di fatto, chi era
intorno accortosi inizia a rumoreggiare, le ragazze scappano alla
chiusura della porta e dal vetro inveiscono contro la giapponesina causa
di una inutile esposizione al rischio del “branco”. Il vagone sembra
animarsi di nuova vita, un sussulto, un ansimo come un paziente in stato
comatoso che trasale l’ultimo respiro….ma poi tutto si placa e gli
sguardi si perdono di nuovo nel vuoto.
Hanno aperto un nuovo bar all’isolato del quartiere in cui vivo, due
settimane fa entro per colazione e scherzosamente saluto in inglese, ho
la valigia e una fisionomia non proprio mediterranea, la mia goliardia
mi è costata cinque euro per cornetto e cappuccino, mi lamento e con
rimostranza faccio presente che nella tabella dei prezzi esposti nulla
giustifica quella richiesta, si è trattato di un banale errore mi
dicono, la confusione, la fila….l’incomprensione linguistica. Il turismo
potrebbe essere una straordinaria risorsa, il nostro giacimento di
preziosi, ma non si possono gestire le folle di turisti senza
organizzarne la logistica, i servizi, l’accesso a monumenti e musei e
senza sviluppare soprattutto una cultura dell’accoglienza a discapito
del più facile raggiro. Da anni se ne parla ma nessuno fa niente, una
rapida ricerca in rete e si riesce ad organizzare un viaggio in Papuasia
ma raggiungere mete italiane diventa spesso impossibile o con costi non
proponibili.
Sindrome della “rana bollita” così Noam Chomsky professore emerito di
linguistica al Massachusetts Institute of Technology definiva questo
aspetto del fenomeno da lui definito la “fabbrica del consenso”.
Immaginate un pentolone pieno d’acqua se una rana venisse scaraventata
direttamente nell’acqua a 50° darebbe un forte colpo di zampe,
balzerebbe con tutte le sue forze subito fuori dal recipiente e
scivolerebbe via in quel gesto estremo di salvezza. Immaginate ora che
la rana nuoti invece tranquillamente nella stessa pentola ma stavolta
con acqua fredda, il fuoco è acceso sotto la pentola e riscalda pian
piano molto lentamente l’acqua. La rana nuota piacevolmente nell’acqua
che ora è tiepida ma la piccolissima variazione quasi impercettibile non
la mette in ansia e tranquillamente continua a nuotare in
quell’ambiente anomalo. Ben presto la temperatura sale e l’acqua diventa
calda.
I movimenti della rana diventano sempre più lenti, inizia a far
fatica ma nulla la mette in allarme, nessuno spavento. L’acqua è
diventata ora troppo calda e rende sgradevole quella permanenza ma ora
la rana indebolita da quel lungo nuotare in quella trappola, non ha più
la forza di reagire. L’unica possibilità rimasta è di sopportare,
immobile senza far nulla nel disperato tentativo di risparmiare le
energie residue, ma la temperatura continua inesorabile a salire fin
quando la rana finisce, semplicemente bollita. La nostra situazione di
stallo ci ha resi passivi, osservatori attoniti mentre il mondo sembra
infiammarsi in ogni dove. Il sequestro delle merci di un ambulante,
Mohamed Bouazizi fu l’innesco di un fuoco di proteste, che dalla
tunisia, incendiò, a partire dalla fine del 2010, tutti i Paesi del
Maghreb per spingersi fino alla penisola arabica e al medio oriente,
dando origine al fenomeno che conosciamo come “primavera araba”. Sempre
nel 2010 in Grecia si svolsero una serie di manifestazioni contro le
politiche di austerità del governo; nel 2011 milioni di persone in India
scesero in piazza contro la corruzione, nello stesso anno a Madrid gli
indignados occuparono Puerta del Sol mentre oltre oceano iniziò la
diffusione in tutto il mondo del movimento Newyorkese di Occupy Wall
Street. All’inizio dell’anno successivo i Russi scesero in piazza per
protestare contro i brogli che portarono alla rielezione di Putin. Lo
scorso maggio in Turchia la protesta per l’abbattimento degli alberi del
parco Gezi si trasforma in una rivolta contro le politiche del governo
Erdogan; a distanza di un mese divampa la protesta contro la corruzione e
gli sprechi in Brasile innescata dall’aumento del prezzo del biglietto
dell’autobus. Lo scorso mese milioni di persone tornano in piazza Tahir a
il Cairo per protestare contro la politica espressione del potere dei
Fratelli musulmani del presidente Morsi, che viene deposto in soli tre
giorni dall’esercito unitosi alla rivolta. Un panorama mondiale
incandescente in cui banali inneschi di protesta: il sequestro delle
merci di un ambulante, un aumento del biglietto dell’autobus, il taglio
di alcuni alberi diventano la miccia per l’esplosione della
rivendicazione di ben altri disagi. Sebbene non esista apparentemente un
filo di connessione tra la serie innumerevole di tali eventi, l’enorme
disagio sociale , l’aspettativa di una vita migliore, il rispetto di
diritti fondamentali che dovrebbero essere garantiti da governi
democratici sembrano essere gli slogan che da nord a sud, da est a ovest
fanno riversare fiumi di popolazioni in strada alla ricerca di un
cambiamento. Il fenomeno della globalizzazione che non ha risparmiato
nessuno dagli eschimesi, agli aborigeri australiani promossa anche
attraverso l’accesso alla comunicazione globale ha slatentizzato a
livello planetario, complice la rete internet, i fenomeni di corruzione
disvelando l’asservimento dei governi democratici ai poteri forti
dell’alta finanza e delle banche a scapito delle politiche sociali.
L’apertura delle politiche nazionali ai mercati planetari era stata
fatta accettare nella speranza di una concomitante diffusione di
giustizia, equità sociale e libertà, aspettative ben presto deluse da
governi incapaci di mantenere il timone verso politiche di sviluppo e
progresso mantenendo l’attenzione alle istanze sociali.
C’è da chiedersi
se non si stia assistendo alla crisi di un intero sistema, del modello
politico democratico, che sposato il liberismo di mercato su scala
globalizzata, ha reso lo strumento politico una maschera di facciata. In
Italia nessun politico assumerebbe mai decisioni oggi che vadano contro
il “sistema” fosse anche perchè si troverebbe di fatto solo a lottare
contro i mulini a vento e ne pagherebbe il prezzo della propria
poltrona. Come nel teatro dell’assurdo, il dramma è che siamo tutti
consapevoli di questo ma nessuno ha il coraggio di parlare o fare nulla,
continuiamo a galleggiare in un’acqua diventata oramai più di un
disagio ma non riusciamo più a muoverci, perché non vediamo vie di
uscita, alternative…o meglio dovremo inventare qualcosa di nuovo, e
nessuno finora a livello “globale” c’è riuscito…bella sfida!! La paura è
che l’unica alternativa possibile sia distruggere tutto per ricreare e
ricostruire daccapo, e difronte a questo diventiamo tutti paralizzati,
inermi, passivi….in attesa.
(Fonte)
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