Oggi è tutto un gran parlare di “responsabilità”, la parola magica con cui si perpetua lo status quo.
Lo fa il Corrierone con l’editoriale di Ostellino, lo fa ovviamente
Enrico Letta di ritorno dalla City, lo fa come sempre il presidente
Napolitano, lo fanno un po’ tutti quelli affezionati a questo governo e
alle lorde intese che lo sorreggono.
Si tratta, ovviamente, di un ricatto: o ci teniamo questo esecutivo o
chissà quali catastrofi annienteranno il Paese, dalle aste deserte dei
Bot giù giù fino all’invasione delle cavallette.
Un ricatto neppure in buona fede, peraltro.
Sono infatti bastati pochi mesi per capire che questo governo non è
in grado di decidere altro che rinvii – sulle cose concrete, reali – e
che la sua unica funzione è garantire la sopravvivenza dei suoi
azionisti: quella giudiziaria di Berlusconi e quella nel Palazzo
dell’establishment piddino (che aveva puntato a quest’obiettivo fin dal
giorno dei 101).
In sostanza, siamo al potere fondato sulla paura (di quello che
potrebbe succedere dopo) e sull’immobilismo (ogni ipotesi di decisione
viene bloccata dai veti reciproci, quindi rinviata).
Decisamente la condizione e lo spirito migliore per riformare il
Paese, correggerne le storture più gravi e provare a portarlo fuori da
una crisi che è tanto economica quanto ormai interiorizzata come stato
d’animo dei più.
La chiamano responsabilità ma è il suo contrario, insomma: è
sigillare la pentola a pressione con un coperchio senza valvole, facendo
finta che prima o poi non scoppi.
Il bello è che lo sanno pure, anche se fanno finta di no.
(Fonte)
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