Il dissidente preoccupa il presidente Nazarbayev
anche se la sua influenza sulla debole e frammentata opposizione kazaka
sembra limitata. Non solo Eni: idrocarburi e infrastrutture, i nostri
interessi ad Astana.
[Carta di Laura Canali - per ingrandirla clicca qui]
La vicenda di Ablyazov, il dissidente kazako la cui moglie e figlia sono state espulse dall'Italia,
va interpretata tenendo presente il quadro politico interno kazako: è
legata alla competizione relativa alla futura successione dell'attuale
presidente. Come il suo omologo uzbeko, Nazarbayev è in carica dal 1991:
nominato "leader della nazione" nel 2010 e rieletto presidente nel 2011
con il 95% dei suffragi, Nazarbayev non si è mai espresso sulla sua
eventuale successione. Questo alimenta la rivalità tra gli aspiranti
alla carica, anche se i papabili sembrano essere due: il genero
Kulibayev - oligarca nominato capo del potente fondo sovrano
Samruk-Kasyna - e l'ex primo ministro Massimov, ora capo dello staff
presidenziale.
Nonostante sia in esilio e accusato di reati finanziari in patria e all'estero, Ablyazov viene
percepito da Nazarbayev come un pericoloso rivale politico. Nel 2002
Ablyazov sfidò apertamente l'attuale presidente fondando il Movimento
Scelta Democratica, che potenzialmente disponeva di una notevole
influenza politica ed economica in quanto composto da ricchissimi
magnati ed esponenti dell'oligarchia economica kazaka. Negli anni
dell'esilio londinese, Ablyazov ha foraggiato economicamente il partito
Alga! (Avanti), privo di riconoscimento legale in Kazakistan.
Tuttavia, l'influenza di Ablyazov sulla debole e frammentata opposizione politica kazaka
appare limitata: la stabilità politica interna rappresenta una
precondizione essenziale per mantenere gli elevati livelli di crescita
economica, ragione che lascia prevedere un'evoluzione fondata sulla
sostanziale continuità con l'attuale amministrazione presidenziale.
La vicenda che coinvolge Ablyazov ha messo in luce l'importanza strategica delle relazioni tra Italia e Kazakistan.
Se nei primi anni Novanta gli interessi italiani erano focalizzati
sullo sfruttamento delle consistenti riserve di gas e petrolio, con il
passare degli anni il Kazakistan ha progressivamente assunto il ruolo di
partner privilegiato per l'Italia nell'Asia centrale post-sovietica,
sviluppando un'intensa cooperazione anche in ambito politico e della
sicurezza.
Politicamente parlando, Roma ed Astana hanno intessuto solidi rapporti politico-diplomatici,
facilitati dalla presenza nella capitale kazaka dell'unica ambasciata
italiana nella regione oltre a quella di Tashkent in Uzbekistan. Durante
la visita del presidente Nazarbayev a Roma nel 2009, le relazioni
bilaterali vennero suggellate dalla stipula del Trattato di partenariato
strategico e dall'adozione di protocolli d'intesa
economico-commerciali. In materia di sicurezza, nel 2012 è stato siglato
un importante accordo sulla cooperazione militare che prevede
l'acquisizione da parte del governo kazako di equipaggiamento militare
all'avanguardia, di sistemi di comunicazione e di sorveglianza. Inoltre,
l'accordo intergovernativo per il transito sul suolo kazako di
personale e materiale militare italiano - attraverso le linee aeree e
ferroviarie - risponde alle esigenze logistiche del ritiro
dall'Afghanistan - previsto entro il 2014 - del contingente italiano
inquadrato nelle truppe Nato.
La felice combinazione tra stabilità politica, disponibilità di idrocarburi e crescita economica sostenuta
ha rappresentato un irresistibile polo d'attrazione per gli
investimenti italiani: il settore energetico (Eni, Saipem, Rosetti,
Bonatti) e quello delle infrastrutture (costruzioni ed edilizia, Renco,
Impregilo, Italcementi e il Gruppo Salini-Todini, impegnata nel progetto
di realizzazione del corridoio stradale Europa-Cina) catalizzano la
maggior parte degli investimenti. Nel 2012 l’interscambio commerciale
con il Kazakistan ha raggiunto i 5,5 mld di euro (+28% sul 2011):
secondo i dati kazaki l’Italia si conferma nel 2012 terzo partner
commerciale del paese, dopo Cina e Russia.
Gli interessi strategici italiani in Kazakistan si concentrano nel settore degli idrocarburi,
dove l'Eni ha acquisito nel corso degli anni un ruolo strategico.
L'avvio della produzione nel giacimento petrolifero offshore di Kashagan
nel bacino del Caspio e del ricco giacimento di gas e condensati di
Karachaganak (Kazakistan occidentale) rappresentano la punta di diamante
della politica della compagnia energetica italiana nell'ex repubblica
sovietica.
Entro quest'anno dovrebbe finalmente entrare in produzione il giacimento “gigante” di Kashagan
- che conterrebbe oltre 10 miliardi di barili di riserve recuperabili -
dopo continui rinvii dovuti al lievitare dei costi (30 miliardi in più
rispetto alla stima iniziale, escludendo i costi aggiuntivi relativi
alle fasi successive) e a problemi burocratici con la controparte
kazaka.
L'Eni detiene una quota del 16,8% all'interno del consorzio di sfruttamento,
composto da alcune delle maggiori compagnie energetiche internazionali
(Exxon, Shell, Total e la kazaka KazMunaiGas) che posseggono quote di
partecipazione analoghe. Con l'avvio della produzione di Kashagan, il
Cane a 6 zampe rafforzerebbe ulteriormente la sua posizione nello
scacchiere energetico internazionale: secondo la compagnia italiana, dai
200 mila barili al giorno della prima fase si passerebbe ai 370 mila
nel 2014, sino a raggiungere 1,5 milioni di barili al giorno nelle fasi
successive.
L'individuazione della rotta di esportazione del petrolio di Kashagan sarà
una decisione strategica di notevole rilevanza geopolitica: per il
momento Eni sostiene l'opzione dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Cehyan - che
già trasporta petrolio azero e kazako verso i mercati europei -
infrastruttura nella quale detiene il 5% e che rappresenta il tassello
del Kazakh Caspian Transport System, sostenuto dall'Unione Europea come
corridoio di diversificazione energetica.
Un'altra opzione sarebbe quella di utilizzare l'oleodotto esistente CPC
- che trasporta petrolio kazaco da Tengiz al porto russo di
Novorossiysk sul Mar Nero - dove Eni detiene una quota del 2%: questa
soluzione rafforzerebbe però la posizione dominante della Russia sulle
importazioni petrolifere europee, in quanto il consorzio CPC è dominato
dalla compagnia russa Transneft. Tuttavia, l'offerta della compagnia
energetica cinese CNPC per acquistare delle quote di partecipazione del
consorzio potrebbe mutare il quadro, con parte della produzione di
Kashagan destinata ad alimentare l'esistente oleodotto sino-kazako che
trasporta quotidianamente 240 mila barili di petrolio verso i mercati
cinesi.
Inoltre Eni detiene una quota del 29,5% nel consorzio KPO
per lo sfruttamento del giacimento di Karachaganak, come cooperatore
assieme alla British Gas. Karachaganak è destinato ad acquisire una
rilevanza particolare soprattutto per le sue riserve di gas naturale
(1,35 trilioni di metri cubi) che trasformerebbero nel medio periodo il
Kazakistan in un esportatore di gas: si stima infatti che i 16 miliardi
di metri cubi annui prodotti attualmente possano raddoppiare entro il
2020. Considerato il ruolo dell'Eni nel consorzio, la disponibilità di
gas kazako per l'esportazione potrebbe alimentare il progetto di
gasdotto South Stream
- dove Eni detiene una quota del 20% - risolvendo parzialmente la
problematica delle fonti di approvvigionamento di questa infrastruttura
fortemente voluta da Mosca.
(Fonte)
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