I diritti umani e la reputazione internazionale dell’Italia sono più
importanti dei mercati”. Queste parole avremmo voluto ascoltarle dal
Presidente del Consiglio e dal Presidente della Repubblica all’atto
delle dimissioni del ministro degli Interni Angelino Alfano. Hanno
invece affermato l’esatto contrario: “Il ministro Alfano resta al suo
posto perché, altrimenti, il Pdl farebbe cadere il governo e i mercati
finanziari internazionali, preoccupati per l’instabilità politica
punirebbero severamente l’Italia”.
Che i mercati sarebbero sconvolti da una normale crisi di governo che
si risolverebbe con nuove elezioni e con la formazione di un diverso
esecutivo non è una responsabile valutazione politica ma trita retorica
che abbiamo già ascoltato tante volte. Si esagera un pericolo ipotetico
per rendere accettabile un male reale. Ad ogni elezione presidenziale
negli Stati Uniti, per citare un ovvio esempio, i repubblicani ripetono
ad nauseam che se alla Casa Bianca andrà il candidato democratico, Wall
Street crollerà con conseguenze nefaste per tutti. Bill Clinton e Barack
Obama hanno vinto due volte le elezioni e Wall Street è restata salda e
ha prosperato. La peggiore crisi finanziaria degli ultimi decenni è
avvenuta quando alla Casa Bianca c’era Bush, non un democratico.
Ma ammettiamo la possibilità di una reazione negativa dei mercati ad
una crisi di governo in Italia. Si tratta allora di scegliere fra due
mali gravi e certi (l’offesa ai diritti umani di una donna e di una
bambina e il danno alla reputazione internazionale dell’Italia) e un
male meno grave e incerto, la paventata risposta negativa dei mercati.
Quale dovrebbe essere la scelta di uomini politici che hanno giurato di
rispettare la Costituzione e hanno il dovere di rappresentare la nazione
è superfluo dire.
A questa considerazione di carattere etico e politico se ne aggiunge
un’altra, altrettanto importante, vale a dire che gli investitori e gli
imprenditori degni di questo nome – gli unici dei quali i governanti di
un Paese civile dovrebbero preoccuparsi – cercano la legalità, una
corretta amministrazione della giustizia, una burocrazia affidabile,
norme efficaci che impongono la trasparenza e la correttezza dei bilanci
delle aziende: tutti principi che Berlusconi e i suoi aborrono e
combattono con tutte le loro forze. Saggezza consiglia dunque di tenere
Berlusconi e i suoi il più possibile lontani dal governo, non chiamarli a
farne parte. Perché mai quegli stessi mercati che hanno punito
severamente l’Italia quando Berlusconi era Presidente del Consiglio
dovrebbero essere benevoli quando la medesima carica è occupata da un
altro che deve sottostare alle sue condizioni? Più dei ragionamenti
valgano gli esempi.
Il presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, durante la
campagna elettorale del 1936 che lo portò per la seconda volta alla
Casa Bianca, pronunciò un discorso nel quale spiegò che il dominio del
capitale organizzato è altrettanto nocivo di quello della plebe
organizzata, e che gli interessi finanziari particolari che durante il
suo primo mandato avevano trovato nella sua presidenza un deciso
avversario, nel secondo, se fosse stato rieletto, sarebbero stati
sconfitti. Nel contesto di questo ragionamento tutto volto a difendere
il bene comune contro gli interessi particolari di Wall Street, affermò
che mai nella storia quegli stessi interessi si erano scagliati con
tanto odio contro un candidato. Ma io, sottolineò con una frase rimasta
giustamente celebre “sono contento del loro odio” (“I welcome their
hatred”).
Sotto la guida di un Presidente come Roosevelt che non ha avuto paura
dei ricatti dei mercati, gli Stati Uniti sono riusciti ad uscire dalla
più grave crisi economica della loro storia. Con i nostri governanti
succubi dei reali o presunti ricatti dei mercati, noi diventiamo sempre
più poveri, più ingiusti e più disprezzati.
(Fonte)
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