Dimenticate il sodoku o la settimana enigmistica, se volete tenere
sveglio il cervello sotto l’ombrellone seguite il processo legislativo
di abolizione delle Province. Dopo il disegno di legge costituzionale
che dovrà cancellare la parola “Province” dalla Costituzione, ieri il
Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge “recante
disposizioni sulle città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e
fusioni comunali”. Ma come, ancora le Province? Ebbene sì, perché per
abolirle bisogna prima prorogarle, anche se soltanto come coordinamento
di sindaci.
La linea di trasferire le competenze dalle Province alle Città
metropolitane, nel caso dei grandi centri, o alle Unioni di Comuni. Dal
primo gennaio 2014 a fianco delle Province-zombie (che resistono finché
non cambia la Costituzione) nasceranno finalmente le Città
metropolitane, rimaste sulla carta per oltre 20 anni: Torino, Milano,
Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Nei
primi sei mesi di vita devono soltanto approvare lo statuto poi, si
spera, le Province svaniranno e si prenderanno altri poteri.
Il lettore medio si chiederà: che senso ha abolire le Province se al
loro posto compaiono Città metropolitane che hanno la stessa forma e
circa le stesse competenze? Risposta: invece che consiglieri
provinciali, giunta, presidente eccettera ci sarà semplicemente una
riunione dei sindaci dei Comuni dell’area della Città metropolitana.
Quindi niente elezioni provinciali, niente stipendi dei consiglieri,
niente poltrone da assessori. Tutto così semplice? Ovviamente no:
l’articolo 4 della legge prevede che il “sindaco metropolitano” (che
sostituirà il presidente della Provincia) sia di diritto il sindaco del
Comune capoluogo e che il Consiglio metropolitano sia eletto dai sindaci
e dai consiglieri comunali del territorio. C’è anche una seconda
opzione: le Città metropolitane possono darsi anche uno statuto con
“elezione a suffragio universale del sindaco metropolitano e del
Consiglio metropolitano”, con apposita legge elettorale da approvare
entro tre anni. Rispuntano le elezioni, quindi. Ma soltanto come
competizione tra sindaci (per diventare super-sindaco metropolitano) e
tra consiglieri comunali (per diventare super-consiglieri
metropolitani). Unico dato positivo: la doppia carica non prevede doppio
stipendio.
Ma questo è il meno, forse. A Roma, che è il caso più complicato, i
Comuni che non aderiscono (devono scegliere) alla Città metropolitana
rimarranno sotto l’ombrello della Provincia-zombie, che continuerà a d
esistere “limitatamente al territorio residuo rispetto a quello della
Città metropolitana di Roma Capitale”. E Città e Provincia dovrebbero
spartirsi risorse e personale secondo le competenze che hanno. Un
virtuosismo amministrativo che dovrebbe compiersi rispettando l’ultimo
comma del disegno di legge, secondo cui “dall’attuazione della presente
legge non possono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica”. Il solito Antonino Saitta, presidente dell’Upi, solleva il
punto dei dipendenti delle Province “che a seguito dello svuotamento
delle funzioni dovranno essere trasferiti ai Comuni singoli o associati
con tutti i rischi di mobilità che tale processo comporta”.
Vi siete persi? In effetti è complicato. Ma potrebbe diventare molto
peggio se questa maggioranza non riuscisse ad approvare il disegno di
legge costituzionale in tempo. Che succede se le Province restano in
Costituzione anche al termine della fase transitoria? O se le Province
attuali – in gran parte commissariate – non approvano la riforma per
diventare coordinamenti di sindaci? Chissà. Meglio non scoprirlo mai. Ma
se il governo cerca di infilare l’abolizione definitiva delle Province
nel progetto più ampio di riforma della Costituzione in discussione, le
possibilità di una serena approvazione diminuiscono parecchio.
(Fonte)
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