Il clima politico che accompagna questo governo anomalo
assomiglia a quello di quei giorni in cui il cielo resta incerto pur
senza mostrare variazioni importanti, quando promette di piovere ma non
piove o promette il sereno ma non si rasserena.
Un’immutante incertezza che consuma le energie proprio mentre le
mobilita per tener in vita uno stato che, tutti lo sanno, non può che
essere provvisorio. Forse questa consapevole transitorietà ha l’effetto
di stimolare negli attori una forte resistenza contro ogni mutamento di
stato. Non si può che spiegare così l’incomprensibile atteggiamento dei
partiti alleati di governo, del Pd in primo luogo, nei confronti della
riforma della legge elettorale.
Al cittadino che segue quotidianamente le cronache politiche risulta
del tutto incomprensibile la ragione per la quale una decisione così
minima come quella auspicata da Ezio Mauro e Eugenio Scalfari [Clicca qui ]
(raccogliendo e rappresentando l’opinione di molti italiani) non viene
presa subito: l’abolizione del Porcellum. È probabile che chi resiste a
questa decisione, chi la teme o l’osteggia, pensi che dal momento in cui
ci siano almeno in teoria le condizioni per andare al voto, il governo
stesso perda legittimità e si inneschi fatalmente una logica da campagna
elettorale. Ma avere una legge elettorale utilizzabile non è
necessariamente un invito ad andare ad elezioni anticipate.
La linea di condotta di blindare il governo rendendo difficile,
oneroso e lungo il processo di riforma della legge elettorale non è
saggia proprio se si ha a cuore la durata del governo. Infatti, non è la
stabilità empirica – il durare nel tempo — che dà garanzia di tenuta
politica. Se le forze politiche di questa alleanza sanno di poter godere
senza sforzo del privilegio della sopravvivenza garantita — e a questo
scopo invocano appunto la dottrina della necessità, per cui non si dà
via d’uscita possibile e praticabile a questa maggioranza — esse saranno
indotte a rischiare il meno possibile. Vivacchiare invece che vivere.
Ma questo non favorisce chi ha fatto accettare ai propri elettori il
boccone indigesto di una maggioranza anomala nel nome di un’emergenza
economica da gestire, domare e possibilmente cercare di risolvere. Il Pd
che ha promesso di accettare questa alleanza costrittiva per lanciare
politiche di occupazione o contrastare la crescente povertà delle
famiglie italiane ha tutto da perdere da una immobile sopravvivenza: e
una maggioranza blindata da una legge elettorale inagibile è la premessa
peggiore perché premia una stabilità poco virtuosa, nonostante
l’impegno del Presidente del Consiglio. Sapere che il governo può
terminare il suo operato fungerebbe da stimolo: perché solamente
un’azione efficace gli garantirebbe il diritto di restare in carica.
L’idea che avere una legge elettorale agibile fin da ora
significherebbe correre alle urne è anch’essa poco convincente; inoltre è
un argomento non proprio ragionevole e diremmo anzi non proprio
legittimo. Un governo democratico deve avere in ogni momento una legge
elettorale agibile per operare in un’atmosfera che sia compiutamente
democratica. La necessità di preservare un governo non la si conquista
rendendo le elezioni impraticabili ma rendendo ogni alternativa a quel
governo meno conveniente.
Non ci avventuriamo nell’immaginare che cosa convenga al Pdl. Ma è
certo che conviene al Pd far sì che la situazione nella quale si trova
impegnato in prima persona corrisponda il più possibile a quel che ha
promesso al suo elettorato quando ha accettato obtorto collo di allearsi
con il suo antico avversario: promuovere politiche economiche volte a
combattere la disoccupazione e a creare le condizione per la crescita, e
mettere mano alla legge elettorale per togliere i due vulnus che la
minano: il fatto che non aiuta ma compromette la formazione di una
maggioranza e il fatto che non rappresenta con eguaglianza e giustizia
tutti i cittadini.
(Fonte)
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