mercoledì 3 luglio 2013

Bavaglio al Web: ci riprovano

Ogni nuovo governo, puntuale, tenta di mettere le mani su Internet. Adesso è il turno del potente viceministro Catricalà, secondo il quale la Rete dev'essere 'regolamentata'. E l'Agcom è pronta a prendere provvedimenti
 

 
 Sarà stato forse per ignoranza di come funziona internet. Oppure per aprire la porta a norme che la appiattiscano su una dimensione "televisiva", cara a lobby industriali e a potenti di ogni colore politico. Così alcuni osservatori interpretano le recenti dichiarazioni del neo viceministro allo Sviluppo economico Antonio Catricalà: "La tv italiana deve rispettare una serie cospicua di regole. Ci sono quote da rispettare, obblighi da contratto di servizio, norme sui minori. Su Internet, invece, si può fare quel che si vuole. Questo non è corretto". E "tutti devono rispettare le stesse regole", ha detto.

Parole che fanno discutere perché vengono da una delle principali personalità chiamate a decidere di questi temi: è lui, infatti, ad avere la delega alle Comunicazioni nel governo Letta. Eppure sono parole che non sorprendono. Catricalà, ora 61enne, nel 2010 quando era ancora a capo dell'Antitrust aveva già manifestato insofferenza per la libertà non strutturata tipica di internet, accusandola addirittura di ostacolare lo sviluppo delle reti in fibra ottica. Come se non ci fossero ben altri problemi a rallentare gli investimenti degli operatori, a partire dal debito monstre di Telecom Italia e dalla situazione anomala dell'Italia, unico Paese in Europa a non avere una rete in cavo coassiale alternativa a quella di rame.


All'epoca sono state parole senza esito alcuno. Ma adesso è diverso: Catricalà, con la sua nuova posizione, si occuperà di reti e internet direttamente e quindi la sua visione è destinata ad avere un impatto sul modo in cui l'Italia vive i nuovi media.

«Sono parole gravi, non si può dire che le regole tivù si devono applicare anche alla nuova rete», dice Vincenzo Vita, ex senatore PD attento alle questioni del digitale. «Credo abbia detto così per un retaggio culturale. Davvero crede che la rete sia un organismo senza controllo, secondo una cultura giuridica classica. Ma potrebbe essere anche un modo per sostenere l'arrivo di nuove norme draconiane sulla rete, a partire da quelle di Agcom sul copyright», continua Vita.

«Le parole di Catricalà sono assai preoccupanti, in quanto non nuove nel dibattito pubblico italiano. Francamente, era lecito aspettarsi che certe dichiarazioni fossero ormai superate», concorda Ernesto Belisario, noto avvocato esperto di diritto di internet e dell'associazione Agorà Digitale. «La volontà di imporre ad internet regole riprese da altri mezzi di comunicazione è frutto di ignoranza dello strumento tecnico o di una volontà normativa pervasiva (ormai ben nota), ma assolutamente fuori luogo e pericolosa», continua.

  Il nuovo presidente Agcom, Angelo Cardani, l'ha promesso: entro luglio faremo una delibera per rivedere le regole sulla protezione del diritto d'autore online. Lo chiede a gran voce l'industria e stavolta è ben compatto il fronte, grazie a un'inedita alleanza tra Confindustria Cultura e Confindustria Digitale. Dopo le prime sommesse proteste, Cardani ha acconsentito a non fare una delibera immediatamente esecutiva a luglio ma di mettere la delibera in consultazione pubblica. Al momento circolano solo bozze di delibera, redatte dagli uffici dell'Agcom e su cui il Consiglio deve ancora discutere. I dettagli sono quindi ancora indeterminati, ma l'idea è che si vogliono dare ad Agcom nuovi e più forti poteri per consentire all'industria del copyright di bloccare le fonti di pirateria su internet, in modo più facile e diretto rispetto a quanto è possibile ora tramite la magistratura. Val la pena ricordare che siamo arrivati a questo punto grazie al decreto Romani sull'audiovisivo, durante il governo Berlusconi, che ha dato ad Agcom la missione di riformare il copyright senza bisogno di passare dal Parlamento.

«Ci aveva già provato il precedente Consiglio Agcom, presieduto da Corrado Calabrò, ma allora tutti i sostenitori dei diritti degli utenti e delle libertà di internet hanno fatto rumore e hanno impedito la delibera», ricorda Vita. «Mi preoccupa invece che adesso tutto taccia. Segno dei tempi. Come anche non ci sono proteste per la proposta di legge per introdurre l'obbligo di rettifica nei blog». «Questa sì che sarebbe, in effetti, una regola "televisiva", che minerebbe lo sviluppo della libertà di espressione. L'obbligo di rettifica valga per le testate giornalistiche online soltanto. Così anche altre regole, evocate da Catricalà, come quella sulle quote pubblicitarie: valgono sulla tivù, ma non sono applicabili a internet, che vive di altre logiche e non ha certo lo stesso problema di affollamento pubblicitario». E per quanto riguarda il copyright, «bisogna sì punire gli illeciti, ma all'interno di una riforma più ampia che riveda le norme per adeguarle all'epoca di internet. E solo il Parlamento può farlo, visto che questi temi toccano pericolosamente le questioni della libertà di espressione».

Non si tratta solo di punire i pirati. Ma anche di svecchiare le norme. Persino la precedente Agcom, in una bozza di delibera sul copyright, proponeva non solo di facilitare l'enforcement ma anche di rendere più flessibile il copyright per adeguarlo a internet. Per esempio prevedendo forme di condivisione lecita senza scopo di lucro di materiali protetti da diritto d'autore. Si pensi per esempio ai libri ormai esauriti da anni nelle librerie. O al diritto - ora debole - di riprendere brevi o lunghi spezzoni di programmi tv a scopo di commento.

«Il Web non è la televisione ed è necessario che le istituzioni ne prendano consapevolezza per resistere alle richieste dei broadcaster», dice Belisario. «Soggetti che oggi sono obbligati ad adeguarsi a tante normative (dalla "par condicio" alla tutela dei minori fino ad arrivare ai tetti pubblicitari) guardano ad Internet come un concorrente sleale. Ma così non è: eventuali norme che dovessero regolamentare odiosamente il Web (oltre ad essere anacronistiche e di difficile applicazione pratica) avrebbero l'effetto di penalizzare ulteriormente tutti gli utenti italiani e l'intero sistema Paese», spiega Belisario. «Mentre per la Tv abbiamo consumatori passivi per Internet ognuno è responsabile di ciò che accade sul proprio terminale». La differenza è tutta qui, ma chi si succede al Governo- da Romani a Catricalà c'è un solo filo rosso- non lo comprende o preferisce ignorarlo
(Fonte)
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