Rassegne stampa: arrivano i monopoli
Rimbalza dalla provincia di Bolzano la
prima brutta storia di un monopolio sull’informazione che minaccia di
restringere la libertà di impresa, costare caro alla pubblica
amministrazione e, soprattutto, limitare la libertà di essere informati.
Il Dolomiten, uno dei più letti
quotidiani del Sud-Tirolo, infatti, avrebbe perfezionato un accordo di
esclusiva con una società produttrice di rassegne stampa con l’ovvia
conseguenza di impedire ad ogni altra società operante nello stesso
mercato di offrire alle amministrazioni locali – prima tra tutte la
provincia di Bolzano – una rassegna stampa completa dei quotidiani
locali ovvero comprendente anche il Dolomiten.
Scontate le ulteriori conseguenze con le
amministrazioni locali costrette a servirsi dell’unica società
legittimata a realizzare una rassegna stampa contenente gli articoli
tratti dal Dolomiten a condizioni, probabilmente, più onerose di quelle
che avrebbero potuto ottenere in un contesto concorrenziale e le altre
società produttrici di rassegne stampa, costrette a stare alla finestra.
Per ora è solo la provincia di Bolzano ma, purtroppo, come già previsto, è solo questione di tempo.
E’, infatti, enorme il rischio che gli
editori di giornali che, attraverso la FIEG, hanno già dato vita ad una
loro super società operante nel mercato delle rassegne stampa, nei
prossimi mesi possano seguire l’esempio dell’editore sud-tirolese e, per
questa via, iniziare a imporre al mercato le proprie esclusive ed i
propri monopoli.
Facile – ed ad un tempo drammatico in
termini democratici ed economici – prevedere cosa accadrebbe se gli
editori dei più grandi quotidiani italiani decidessero di autorizzare
una sola società, magari la loro neonata Promopress s.r.l., a realizzare
rassegne stampa da vendere poi, davvero a peso d’oro, in assenza di
concorrenza, alle migliaia di amministrazioni, enti pubblici e privati
italiani.
Sarebbe la fine per un mercato, quello
delle società produttrici di rassegne stampa, che offre lavoro a
seicento dipendenti e fattura circa 40 milioni di euro all’anno.
Ma, soprattutto, si assisterebbe ad uno
straordinario ridimensionamento della circolazione dell’informazione e,
conseguentemente, ad un’inaccettabile limitazione della libertà di
manifestazione del pensiero sancita all’art. 21 della nostra
Costituzione che, come è noto, deve essere letto anche come libertà di
accedere alle informazioni.
E’ uno scenario straordinariamente
preoccupante davanti al quale Governo e Parlamento non possono restare a
guardare o, peggio ancora, contribuire a che si realizzi.
Al riguardo è bene essere chiari per
evitare ogni fraintendimento: il punto non è opporsi all’idea secondo la
quale un editore – che sia della carta stampata o televisivo – possa
rivendicare il diritto ad essere indennizzato a fronte del vantaggio
economico che altri ottengono grazie allo sfruttamento dei propri
contenuti ma scongiurare il rischio che passi il principio secondo il
quale per utilizzare gli altrui contenuti editoriali per fare
informazione, nell’ambito delle poche e già limitate libere
utilizzazioni previste dalla legge, occorre prima chiedere un permesso
che l’editore potrebbe addirittura negare.
Se passasse questo principio, sarebbe la
fine dell’era dell’informazione che conosciamo e la misura – già bassa –
di libertà di informazione nel nostro Paese crollerebbe ulteriormente.
Guai a stancarsi di ripetere che l’informazione non è e non può essere considerata una merce come le altre da vendersi a peso.
La libertà di informazione è – come
insegnano da decenni la corte Costituzionale e la Corte Europea dei
diritti dell’uomo – la pietra angolare di tutti gli altri diritti e
libertà fondamentali dell’uomo.
Senza libertà di informazione non c’è democrazia.
L’auspicio, dunque, è che Governo e
Parlamento prendano in mano una situazione che rischia di degenerare e
l’affrontino come merita di essere affrontata: non solo una questione di
soldi e diritti d’autore ma anche e soprattutto una questione di
libertà e democrazia.
(Fonte)
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