L’AMBASCIATORE KAZAKO RIMANE AL SUO POSTO. “È STATO INTRUSIVO, VALUTEREMO. DIPENDE DA QUANTO COLLABORERANNO”
Tormentata. Così si è presentata Emma Bonino ieri al Senato.
Ma anche provvista di antica prudenza. Le sue parole in audizione alle
commissioni Esteri sulla vicenda di Alma Shalabayeva sono state ispirate
a virtù d’altri tempi. E non hanno brillato per eloquenza critica e
pungente vigore a cui eravamo abituati. Piuttosto ha dato corso a un
inaspettato e pacatissimo temperamento, più in linea con la sua carica
ministeriale. Tranne quando deve descrivere l’atteggiamento
dell’ambasciatore kazako a Roma, Yelemessov. Lì il ministro osa:
“Intrusivo”, lo definisce . Un ambasciatore di uno Stato estero che
entra al Viminale e in pratica sostituisce il ministro nell’ordinare
un’operazione di polizia.
Suvvia, intrusivo è un dolce eufemismo per un invadente impiccione, quasi un ficcanaso simpatico che non sa stare al posto suo.
L’ambasciatore kazako al Viminale non è stato un intruso. Molto di più.
Ma la virtù prudenziale del diplomatico è ormai l’habitus della
titolare della Farnesina. Certo, oltre che intrusivo ha definito
“inaccettabile” il comportamento dell’ambasciatore. Ma la grande
delicatezza della vicenda la spingono ad agire con prudenza. “I nostri
interventi sono stati continui, incessanti e continueranno fino a quando
necessario, nella considerazione che poiché si agisce da governo a
governo si deve evitare, almeno in questa fase, che una serie di azioni e
reazioni indebolisca la nostra struttura diplomatica ad Astana”. Ha
aggiunto che il futuro dell’ambasciatore Yelemessov a Roma dipenderà
dalla collaborazione che il governo kazako darà agli sforzi italiani di
garantire “pieni diritti e libertà” ad Alma Shalabayeva. Sarà, eppure
per gli antichi oltre alla prudenza era una virtù anche il coraggio.
Sul finire dell’audizione la titolare della Farnesina ha
rivelato uno straziato stato d’animo, al punto da non averci dormito la
notte. “Non ci ho dormito la notte. Ripenso a qualche critica
che ho letto circa un mio asserito silenzio sulla questione”, avverte
laconica, rivendicando al contrario un suo interessamento oltre le
funzioni assegnatele dal dicastero. Una nota critica del ministro è
stata indirizzata alla mancata coordinazione: “Ho rappresentato al
premier, che condivide in pieno, la necessità di un nuovo e più efficace
raccordo delle altre amministrazioni con il ministero degli Esteri”. E a
proposito di informazioni Emma Bonino ha specificato che “non c’è
motivo per cui io sappia niente più di quanto sia scritto” sulla
relazione del capo della polizia Pansa. Ha tenuto a ribadire e
sottolineare, più volte, la sua storia personale, la credibilità di cui
gode per le sue lunghe battaglie: “Sono tormentata. Ma offro il
contributo sulle azioni da me assunte con la serenità di chi non ha
lesinato alcuno sforzo, con la sensibilità di chi per passione e
attività politica ha fatto della tutela dei diritti umani la ragione di
un’intera esistenza e con la mia diretta testimonianza”.
Il ministro ha ribadito che sin dal primo momento il
ministero degli Esteri ha “promosso e sollecitato il massimo
chiarimento” sul caso, agendo “nel rispetto delle istituzioni a
cui sono tenuta da ministro, con determinazione e nel rispetto delle
regole”. In particolare la priorità delle azioni della Bonino è stata la
tutela delle due cittadine kazake, tanto che ancora oggi – ha detto –
“stiamo svolgendo e continueremo a fare con forte determinazione
interventi, a Astana, Bruxelles, Vilnius, per la piena libertà di
movimento di Alma e sua figlia: lo sento come obbligo morale, prima che
politico”. Poi è passata a illustrare la cronologia del suo
coinvolgimento nella vicenda: è stata avvisata “da parte di esponenti
della società civile ” con una telefonata, alla quale è seguita una
mail, nella serata del 31 maggio; ha poi dato il via ad accertamenti
istituzionali fino alla telefonata col ministro Alfano il 2 giugno,
durante la parata per la festa della Repubblica. Lo stesso giorno il
capo di gabinetto della Farnesina richiedeva informazioni al capo della
polizia. Il giorno dopo è stata data notizia anche al presidente del
Consiglio Letta.
Il ministro Bonino ribadisce che un precedente
coinvolgimento della Farnesina rispetto alle date che lei stessa
fornisce è solo frutto di “voci distorte”. Anche la vicenda del
passaporto diplomatico della signora Shalabayeva, ritenuto falso da una
perizia della polizia italiana (che darà il via libera all’espulsione
della donna e della figlia), è ritenuto dal ministro estraneo al suo
dicastero. Eppure fra le carte del caso vi è anche un documento
ufficiale del 30 maggio (rif. 184/Amb/Mp/Rca/Ge) nel quale
l’ambasciatore centrafricano a Ginevra, Léopèold Ismael Samba, su
probabile sollecitazione degli avvocati della Shalabayeva, garantiva la
veridicità di quel passaporto. Ora, quel documento era indirizzato
all’ambasciatore italiano a Ginevra. Alla Farnesina sostengono che non
sia mai arrivato. Fatto salvo che si debba credere alla Bonino e che al
ministero non ne sapessero nulla, allora forse il ministro dovrebbe
verificare: è mai stato spedito? Nel caso l’ambasciatore l’abbia
mandato, perché non è arrivato? Come comunicano Farnesina e ambasciate?
(Fonte)
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