29 luglio 2013 - È la carta jolly che il governo Letta si prepara a giocare alla
ripresa di settembre. Destinata a segnare la svolta sull’impervio
cammino verso la riforma elettorale che tutti fingono di volere ma che
ogni partito di maggioranza schiva dietro i più disparati alibi.
Un disegno di legge confezionato da Palazzo Chigi per ripulire il
Porcellum almeno dei suoi più evidenti vizi di legittimità
costituzionale. Rendere la legge elettorale «utilizzabile» nel caso in
cui la legislatura finisse anzitempo, comunque prima che le riforme
istituzionali vadano a compimento (non prima della fine del 2014).
L’iniziativa è stata messa a punto nella massima riservatezza in
questi ultimi giorni dal presidente del Consiglio Enrico Letta, dal
ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello e dal ministro per i
Rapporti col Parlamento Dario Franceschini. Proprio il responsabile
delle Riforme non a caso da giorni rilascia interviste in cui si dice
possibilista sull’eventuale modifica della legge elettorale
«derubricandola » di fatto dal complesso pacchetto delle riforme,
sebbene su questo punto il suo partito più volte si è detto pronto alle
barricate. Un peso non indifferente lo ha il Quirinale, che non perde
occasione per sollecitare il superamento in tempi celeri del Porcellum.
L’iniziativa che l’esecutivo Letta sta per intraprendere non si può dire
che sia stata concordata col Colle, ma di certo non risulterà sgradita.
Tuttavia il terreno è minato, l’esito della sortita governativa
tutt’altro che scontato, i veti incrociati ne insidiano la riuscita. Non
a caso il premier ha scelto la via del disegno di legge. Mai avrebbe
intrapreso quella del decreto, «impensabile» su un tema così sensibile.
La presentazione del ddl dovrebbe avvenire tra fine settembre e i primi
di ottobre. Non a caso. Obiettivo della missione è quello di
disinnescare la mina della Corte Costituzionale. Il 3 dicembre infatti
la Consulta si pronuncerà sulla legittimità costituzionale della norma
Calderoli. Se verrà dichiarata l’incostituzionalità, si getterà ancor
più nel caos l’inconcludente confronto tra i partiti. Ecco allora che
l’iniziativa governativa darebbe tempo e modo — se vi sarà la volontà
politica — di approvare una miniriforma quanto meno in un ramo del
Parlamento. In ogni caso, si tratterebbe di una “norma-ponte”, che potrà
essere modificata a sua volta se il nuovo assetto istituzionale frutto
della riforma complessiva lo richiederà. Intanto però bisogna correre ai
ripari. E alla svelta. In che modo però? Su quali linee si muoverà il
ddl in cantiere a Palazzo Chigi?
Quattro sono le chiavi di volta del provvedimento, che incidono su
altrettanti punti critici del Por-cellum. Il primo. L’introduzione di
una soglia minima di accesso al premio di maggioranza, finora non
prevista, e quella allo studio sarebbe del 40 per cento. Il secondo.
L’innalzamento della soglia di sbarramento per accadere al Parlamento.
Finora alla Camera è pari al 4 per cento, elevando l’asticella per
esempio al 5 o al 6 per cento si eviterebbe il rischio che forze minori
se non minuscole possano varcare la soglia di Montecitorio e Palazzo
Madama. Quindi, la riduzione delle dimensioni delle attuali
circoscrizioni elettorali. La conseguenza di quest’ultimo apparente
tecnicismo sta nel fatto che si creerebbe un ulteriore sbarramento di
fatto: il numero degli eletti per circoscrizione si ridurrebbe,
intaccando la quota riservata ai cosiddetti resti, dunque alle forze
minori. Un quarto e ultimo “ritocco” riguarda il premio di maggioranza
al Senato, che tornerebbe ad essere distribuito su scala nazionale
anziché regionale, come per la Camera, archiviando l’handicap che nelle
ultime legislature ha reso più inconsistenti le maggioranze a Palazzo
Madama.
Va da sé, che il ricorso al disegno di legge Letta lo considera
l’extrema ratio, qualora fino ad allora —com’è più che probabile —
maggioranza e opposizione non avranno raggiunto un’intesa. Sempre che, a
far precipitare tutto, riforme e Parlamento insieme, non sarà da qui a
un paio di giorni la tempesta che potrebbe seguire alla sentenza in
Cassazione a carico di Berlusconi. In ogni caso, a sorpresa, un voto
sulla legge elettorale ci sarà alla Camera già prima della pausa estiva e
potrebbe essere foriero di nuove spaccature in maggioranza.
Questa mattina infatti in piazza Montecitorio il democratico Roberto
Giachetti, il berlusconiano Antonio Martino, il vendoliano Gennaro
Migliore, con Arturo Parisi e Mario Segni annunceranno il successo nella
raccolta di firme parlamentari (una quarantina, ben più delle dieci
necessarie) per chiedere l’inserimento d’urgenza in calendario della
norma che prevede il ritorno al Mattarellum. Già la mozione di Giachetti
che si muoveva su quel crinale, un mese fa, aveva spaccato il Pd. Il
copione si ripeterà entro due settimane, quando l’aula sarà chiamata a
pronunciarsi sull’inserimento o meno in calendario della riforma prima
della pausa estiva. Il ddl del governo potrebbe essere la via d’uscita.
(Fonte)
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