Christine Lagarde Olivier Blanchard e Mario Monti
troppo comodo, avete sbagliato i conti? pagate e andatevene!
Abbiamo sbagliato…
“Uno stupefacente mea culpa da parte del capo economista del Fondo
Monetario Internazionale”. Non lascia spazio a dubbi il titolo
dell’articolo pubblicato, il 3 gennaio 2013, dal Washington Post. Cos’è
successo? In buona sostanza uno studio appena pubblicato dal FMI
riconosce che i piani di austerità proposti, o meglio imposti, a mezza
Europa negli ultimi anni sono un danno per l’economia e l’occupazione.
Peggio ancora, non funzionano nemmeno per rimettere a posto i conti
pubblici, ovvero per diminuire il famigerato rapporto tra debito
pubblico e PIL, vero e proprio faro che guida le scelte politiche di
tutti i Paesi occidentali.
Cerchiamo di capire meglio.
Dimentichiamoci per un momento che la crisi è stata causata da una
gigantesca finanza privata fuori controllo, e non certo dalla finanza
pubblica. Ammettiamo che siano adesso gli Stati a dovere rimettere a
posto i conti pubblici, e non delle banche private sommerse di titoli
tossici e che continuano a lavorare con leve finanziarie degne di
avventurieri da casinò. Supponiamo anche che lo stato di salute di un
Paese vada valutato in base al rapporto tra debito pubblico e PIL e non
al benessere dei cittadini o al tasso di disoccupazione, tanto per fare
un paio di esempi.
Anche partendo da queste ipotesi, in realtà ampiamente criticabili se
non completamente false, fino a oggi il FMI ha segnalato che la strada
maestra per ridurre il rapporto debito / PIL era una sola: piani di
austerità, tagli alla spesa pubblica, smantellamento del welfare.
Analizziamo questo rapporto. Se si taglia la spesa pubblica, a parità di
entrate diminuisce il deficit e quindi il debito pubblico. C’è però una
difficoltà: tagliare la spesa pubblica vuole dire meno investimenti,
meno denaro per i dipendenti pubblici, meno servizi e via discorrendo,
ovvero una diminuzione del PIL. Da un lato quindi i piani di austerità
fanno calare il numeratore, dall’altro però cala anche il denominatore.
Non c’è problema, sosteneva il FMI. Abbiamo fatto i conti, e il
debito diminuisce più rapidamente del PIL. Nel complesso, quindi, il
rapporto debito / PIL migliora. Certo, la ricchezza diminuisce, tagli al
welfare significano meno risorse proprio per le classi più deboli,
aumenterà la disoccupazione, nel breve si rischia di acuire una
recessione già in atto. E’ però un prezzo da pagare. Nel suo insieme, lo
Stato di salute del Paese migliorerà.
E invece no. L’ultimo studio del FMI segnala che tagliando la spesa
pubblica il PIL diminuisce più rapidamente di quanto non diminuisca il
debito. Il rapporto continua a peggiorare. I piani di austerità non solo
sono devastanti dal punto di vista sociale, ma sono nocivi anche da
quello macroeconomico.
E allora siamo sicuri che “non ci sono alternative”? Forse sarebbe il
caso di ridiscutere alla base le ricette di politica economica, secondo
almeno due direzioni. Da un lato porre un freno a un casinò finanziario
di dimensioni decine di volte superiori a quelle dell’economia reale.
Chi crea instabilità e rischia di trascinare nuovamente il mondo nel
baratro, come avvenuto unicamente sei anni fa, non è l’Italia con un
rapporto debito / PIL al 120% ma alcuni dei maggiori gruppi bancari del
mondo – gli stessi responsabili della crisi del 2007 – con leve
finanziarie di 40 a uno, ovvero con attivi finanziari pari al 4.000% del
loro patrimonio. A chi dovrebbe essere imposto un controllo ferreo? Chi
dovrebbe applicare severi piani di austerità?
Dall’altra parte, occorre un radicale cambiamento di rotta anche
nelle politiche economiche pubbliche. Redistribuzione del reddito, un
diverso sistema fiscale, un diverso utilizzo della spesa pubblica. In
pratica le proposte sostenute da anni dalla campagna Sbilanciamoci! che
nel suo ultimo rapporto mostra come un percorso differente sarebbe
perfettamente possibile.
Oggi anche il FMI ammette di avere completamente sbagliato le sue
previsioni. In Italia abbiamo appena vissuto un anno di governo che ha
fatto dei piani di austerità il proprio credo e unica bussola.
All’inizio della campagna elettorale, tanto chi ha guidato l’esecutivo
quanto chi lo ha sostenuto in Parlamento dovrebbero forse iniziare con
un analogo mea culpa, per poi proporre ricette di politica economica
radicalmente differenti. Se persino il FMI ha chiesto scusa, forse
possono farlo anche i politici di casa nostra.
(Fonte)
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