Non è molto frequente il caso di provvedimenti – tanto meno di leggi
costituzionali – il cui oggetto non corrisponda al contenuto. Questo
però è quello che accade nel caso del disegno di legge costituzionale in
tema di “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale”.
Basta una lettura anche superficiale del testo per notare come il
contenuto della regola fiscale, identificato correttamente nel “pareggio
di bilancio” nel titolo del disegno di legge diventa nel testo dello
stesso “l’equilibrio tra le entrate e le spese” o, in termini ancora più
generici, “l’equilibrio del bilancio”.
Se la lingua italiana ha ancora un senso, i due termini non indicano
la stessa cosa. Basta dare un’occhiata alla Treccani per scoprire che
con “equilibrio” si intende: “proporzione fra le parti, esatta
distribuzione dei vari componenti di un insieme” e con “pareggio” si
intende, invece, “in contabilità, l’uguaglianza dei totali delle due
sezioni di un conto o prospetto contabile: […] il termine è usato nelle
aziende pubbliche per esprimere l’uguaglianza delle entrate e uscite
previste”.
Com’è evidente, mentre l’equilibrio di bilancio è perfettamente
compatibile con la presenza di indebitamento, non altrettanto può dirsi
per un bilancio in pareggio. Che la politica possa avere serie
difficoltà con il vocabolario italiano è cosa che ogni italiano si
sentirebbe oggi, purtroppo, a torto o a ragione, di sottoscrivere. (E
francamente spesso mi domando come la politica, quella sana, accetti che
la si rappresenti in questi termini). Ma non altrettanto dovrebbe
essere possibile per un governo il cui fondamento sta proprio, in un
momento di emergenza, nel “saper leggere, scrivere e far di conto”.
Com’è ovvio, la questione non è meramente lessicale: c’è di più,
infatti. Molto di più. La distinzione fra “equilibrio di bilancio” e
“pareggio di bilancio” è al centro della sentenza n. 1/1996 della Corte
costituzionale che aprì la strada ad una interpretazione dell’art. 81
ben diversa da quella implicita nelle scelte dei costituenti e, con
essa, al diffondersi della pratica di leggi prive di copertura i cui
impatti sul bilancio pubblico apprezziamo compiutamente in queste
settimane.
In quella sentenza la Corte affermava che al quarto comma dell’art.
81 (“Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i
mezzi per farvi fronte”) non andava attribuito un significato
contabile, bensì una portata sostanziale relativa ai limiti che “il
legislatore ordinario è tenuto ad osservare nella sua politica di spesa,
che deve essere contrassegnata non già dall’automatico pareggio del
bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell’equilibrio tra entrate e
spese”. Era, lo ricordo, il 1966. “Formidabili quegli anni”, diceva
qualcuno: sono passati cinquant’anni e se ne sono accorti anche i
mercati di quanto siano stati formidabili.
E’ del tutto comprensibile la scelta governativa di integrare il
testo della Carta costituzionale con pochi elementi di principio e di
rimettere poi la definizione degli elementi ulteriori a norme di legge
da approvare a maggioranza qualificata. Ma questa tecnica legislativa
può essere condivisa solo se accompagnata da una cristallina precisione
nella riformulazione dei principi costituzionali. Il che evidentemente
non è (ed il paragone con la soluzione adottata dal legislatore tedesco è
sufficiente per convincerci).
Si può obiettare che un concetto inerentemente dinamico come quello
di “equilibrio di bilancio” (connesso alla sostenibilità di una data
tendenza delle finanze pubbliche) potrebbe, in linea di principio,
essere più appropriato di un concetto statico come quello di “pareggio
di bilancio”. Alti tassi di crescita del prodotto e bassi livelli di
debito pubblico potrebbero rendere sostenibili disavanzi moderati e
protratti nel tempo. Personalmente dubito che questa osservazione possa
applicarsi ad ambiti diversi da quelli privati. L’obiezione risulta però
comunque infondata se la si colloca nell’attuale contesto istituzionale
che – lo pensano in molti – non dovrebbe escludere in un futuro
prossimo l’indebitamento a livello dell’Unione ma che, a quel punto,
dovrà invece necessariamente escluderlo a livello di singolo Stato
membro.
E’ il Consiglio europeo appena concluso ad essere inequivoco sul punto. Cito testualmente: “The
main elements of the fiscal compact include a requirement for national
budgets to be in balance or in surplus (the structural deficit should
not exceed 0.5% of nominal GDP) and a requirement to incorporate this
rule into the member states’ national legal systems (at constitutional
or equivalent level)”. E in inglese il termine balanced budget non si presta a molte discussioni: “a balanced budget occurs when the total sum of money a government collects in a year is equal to the amount it spends on goods, services, and debt interest”.
In altre parole, emendare il testo approvato dalla Camera avrebbe
dovuto essere il primo atto con il quale rendere concreta l’adesione
dell’Italia alle decisioni del Consiglio europeo. Il governo stesso
avrebbe dovuto sollecitare il Parlamento in questo senso. Così non è
stato.
E l’idea – così diffusa anche all’interno del governo – che non conti
poi tanto la chiarezza e la precisione della Carta costituzionale,
perché su tutto farà premio il precetto europeo, è – perdonatemi –
piuttosto umiliante. Fare dell’Europa il cane da guardia dei nostri
ritardi culturali e delle nostre difficoltà comportamentali finisce per
allontanare l’Europa dall’Italia e non viceversa. A questo governo si
chiedeva – si chiede – non già di portare l’Europa in Italia (svolgendo
il ruolo di un commissario ad acta), bensì gli italiani in Europa.
E, del resto, se si prendesse sul serio questa tesi sarebbe
giocoforza concludere che non c’è motivo alcuno di affannarsi intorno
alla modifica dell’art. 81. Quello vigente, riportato alla
interpretazione di Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni dalle regole europee,
sarebbe decisamente più che sufficiente.
Quella citata non è l’unica carenza di un testo francamente
affrettato che si spera di riscattare al momento della scrittura della
cosiddetta legge rinforzata. Mi permetto di dubitare di questa speranza.
Da un lato, i contenuti della legge rinforzata sono, nella attuale
versione, non sempre decrittabili. Dall’altro, l’esperienza di questi
ultimi vent’anni dovrebbe insegnarci che modifiche costituzionali
affrettate tendono a produrre effetti negativi di lunga durata (l’art.
117 novellato è lì a ricordarcelo). Insomma, il rischio tutt’altro che
remoto è che il contenuto della “legge rinforzata” possa finire per
essere tale da rendere del tutto incolore il già scolorito dettato
costituzionale, così come emergerebbe dal testo approvato in prima
lettura.
Le modifiche della Carta costituzionale costituiscono una
straordinaria occasione per incidere in profondità sulla cultura di un
paese. Stupisce che un governo sostenuto da una così ampia maggioranza
ed un presidente del Consiglio la cui storia intellettuale è a tutti
nota abbiano deciso consapevolmente e coscientemente di non cogliere
questa occasione.
Nel 1997 nessun leader politico, nessun tecnico per quanto autorevole
(e non mancavano anche allora) si degnò di chiarire in maniera
inequivoca agli italiani che entrare nell’euro implicava un mutamento
profondo del loro modo di pensare e di essere. Tanto gli uni quanto gli
altri si contentarono di risolvere le questioni contingenti facendo
ricorso a maggiori entrate, rinviando ad un futuro imprecisato la parte
più difficile del problema. Di quell’atteggiamento irresponsabile
paghiamo oggi le conseguenze. Ma non sbagliare una volta evidentemente
non basta: stiamo in questi giorni ripetendo quell’errore. L’unica
differenza è che in questo caso le conseguenze potrebbero essere
incalcolabili per noi e per molti altri. Non è mia intenzione
intralciare la marcia (peraltro non molto lineare) del governo e quindi
ho già provveduto a ritirare tutti gli emendamenti a mia firma. Ma non
mi si chieda di dare anche una mano.
La Carta costituzionale non è – come abbiamo imparato a dire in
questi giorni – un “pacchetto”, un provvedimento dove qua e là
compaiono ganci ai quali appendere, a volte controvoglia, la
non-contrarietà di questa o quella forza politica. La Carta
costituzionale è l’espressione verbale della identità di una comunità. E
una identità italiana sbiadita, opaca – una identità italiana che
oltralpe qualcuno potrebbe anche leggere come furbesca, se non
addirittura truffaldina – non ha mai giovato all’Italia in passato e non
gioverà all’Europa in futuro.
(Fonte)
Se vi va di approfondire (a esempio su wikipedia) le cause della crisi del 1929: l’economista John Kenneth Galbraith ha individuato almeno cinque fattori di debolezza nell’economia americana responsabili della crisi:
- cattiva distribuzione del reddito;
- cattiva struttura, o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie;
- cattiva struttura del sistema bancario;
- eccesso di prestiti a carattere speculativo;
- errata scienza economica.
Ebbene, ci hanno messo NELLA COSTITUZIONE tutto quanto provocò la Grande Depressione del 1929, complimenti!
ECCO COME HANNO STRAVOLTO LA COSTITUZIONE
Costituzione
Testo vigente |
Testo come modificato
dalle
pdl 4205-4525-4526-4594-4596-4607-4620-4646-B |
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Articolo 81
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Le Camere approvano ogni anno
i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
|
Lo Stato assicura
l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio,
tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del
ciclo economico.
|
|
L'esercizio provvisorio del
bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi
non superiori complessivamente a quattro mesi.
|
Il ricorso
all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli
effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere
adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali.
|
|
Con la legge di approvazione
del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese
|
Ogni legge che importi nuovi
o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte.
|
|
.
|
Le Camere ogni anno approvano
con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal
Governo.
|
|
Ogni altra legge che importi
nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte.
|
Il contenuto della legge
di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad
assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e
la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei
princìpi definiti con legge costituzionale.
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Articolo 97
|
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Le pubbliche
amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione
europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità
del debito pubblico.
|
|
I pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e la imparzialità
dell'amministrazione.
|
I pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano
assicurati il buon andamento e la imparzialità
dell'amministrazione.
|
|
Nell'ordinamento degli uffici
sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari.
|
Nell'ordinamento degli uffici
sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le
responsabilità proprie dei funzionari.
|
|
Agli impieghi nelle Pubbliche
Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge.
|
Agli impieghi nelle Pubbliche
Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi
stabiliti dalla legge.
|
|
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|
|
Articolo 117, primo comma
lett. e) e sesto comma
|
|
|
La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
|
La potestà legislativa è
esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della
Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali.
|
|
omissis
|
omissis
|
|
e) moneta,
tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della
concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile
dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;
|
e) moneta,
tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della
concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile
dello Stato; armonizzazione
dei bilanci pubblici;
perequazione delle risorse finanziarie;
|
|
omissis
|
omissis
|
|
Sono materie di legislazione
concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con
l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e
sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della
formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e
tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti
civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento
della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa;
armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento
della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione
dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di
attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di
credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e
agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione
concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo
che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata
alla legislazione dello Stato.
|
Sono materie di legislazione
concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con
l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e
sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della
formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e
tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo;
protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti
civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento
della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione
nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa;
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e
organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse
rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito
fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di
legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà
legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi
fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
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Articolo 119, primo comma
e sesto comma
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I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di
entrata e di spesa.
|
I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di
entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi
bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea.
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omissis
|
omissis
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|
I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio,
attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge
dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per
finanziare spese di investimento. E' esclusa ogni garanzia dello
Stato sui prestiti dagli stessi contratti.
|
I Comuni, le Province, le
Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio,
attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge
dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per
finanziare spese di investimento, con la contestuale
definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il
complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato
l'equilibrio di bilancio. E' esclusa ogni garanzia dello
Stato sui prestiti dagli stessi contratti
|
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