«Basta con la carità, c’è bisogno di giustizia». Alex Zanotelli, missionario nelle baraccopoli di Nairobi e oggi a Scampìa, Napoli, si scaglia contro la cooperazione mercificata e contro chi svuota di senso il commercio equo. La cooperazione di Riccardi? Un business. Le Ong? In gran parte «paletti avanzanti del nostro commercio estero». Intanto il sud del mondo comincia a liberarsi da solo, con le rimesse inviate dai migranti. Perché una cosa è certa: qualsiasi vera «liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi»
È importante questo libro di Valentina Furlanetto su un tema di cui
in Italia si è sempre parlato poco, come si è riflettuto poco sulla
nostra «mala cooperazione». È un argomento che mi ha sempre
appassionato, soprattutto nel periodo in cui sono stato direttore della
rivista «Nigrizia». Purtroppo devo ammettere che dal 1985, quando su
«Nigrizia» pubblicai l’editoriale Il volto italiano della fame africana,
una denuncia del sistema di aiuti ai paesi del Sud del mondo, le cose
non sono cambiate. Casomai sono peggiorate. In quell’articolo
denunciavamo il fatto che i partiti avevano messo le mani sui fondi per
la cooperazione e sui soldi per la lotta alla fame in Africa, tanto che,
se un magistrato avesse indagato, io credo che già allora sarebbe
scoppiata Tangentopoli. Oggi la cooperazione è ridotta a zero, quindi la
politica non può più lucrare tanto su questi fondi, ma è stata
sostituita da strumenti più raffinati e sofisticati come la finanza e
altri.
Al momento l’unica cooperazione portata avanti sia dal governo
Berlusconi sia dal governo Monti è il business. Ne abbiamo avuto un
esempio a ottobre 2012 durante il Forum sulla cooperazione a Milano,
organizzato dal ministro Andrea Riccardi, dove sono stati invitati tra
l’altro l’Eni e un personaggio discusso e discutibile come Blaise
Compaoré, divenuto presidente del Burkina Faso dopo il colpo di Stato
del 1987. Anche in questa occasione è venuto a galla quanto è sotto gli
occhi di tutti da anni, cioè che il ministero degli Affari esteri fa
appunto affari. Altro che «Muovi l’Italia, cambia il mondo», com’era lo
slogan del Forum! (vedi il dossier sul Forum preparato da Comune-info).
Questo mi addolora molto perché invece gli italiani sono un popolo
generoso. Non ho mai incontrato un popolo così vivace
nell’associazionismo, così disposto a donare e a dare una mano a gli
altri. La generosità però non deve servire a scaricarci la coscienza.
Dobbiamo infatti controllare chi sono i finanziatori delle associazioni e
dove vanno a finire i soldi. Posso dire che, secondo me, nell’opinione
pubblica sta crescendo questa consapevolezza e questa richiesta di
trasparenza. Non noto altrettanta consapevolezza nella stampa italiana,
che è estremamente provinciale. Nei nostri giornali non c’è attenzione
critica a queste realtà, quando invece sarebbe compito della stampa
offrire un’informazione seria sul Sud del mondo.
La stampa potrebbe imparare molto da questo libro, che racconta come
associazioni e istituzioni che dovrebbero aiutare gli altri a volte
spendano troppo per tenere in piedi la struttura, per pubblicizzarsi,
per competere fra loro e avere i fondi. Alla fine troppo poco va allo
scopo finale per le quali sono nate queste realtà. Le grandi
istituzioni, come la galassia Onu, spendono l’80 per cento dei fondi per
finanziare la struttura dell’Onu stessa. Funzionari e dipendenti
mantengono uno stile di vita nel Sud del mondo che io definisco
semplicemente scandaloso. In Africa ci sono immensi campi di rifugiati
dove la gente vive in situazioni drammatiche, mentre vicino vivono
funzionari e cooperanti con tutti i comfort occidentali. Questo è uno
scandalo! E le ong?
È un mondo molto variegato quello delle ong, c’è chi
lavora e opera a fianco della povera gente e chi ha assunto il modo di
fare delle grandi istituzioni. In generale, però, ho l’impressione che
le ong – con le dovute eccezioni, ovviamente – alla fine siano servite
più a noi che non agli impoveriti perché funzionali a un modello di
sviluppo occidentale. Diventano spesso i paletti avanzanti del nostro
commercio estero. Non sempre questo accade consapevolmente, ma accade.
Basta con la carità, c’è bisogno di giustizia. È assurdo un mondo
come il nostro, dove c’è così tanta ricchezza mal spartita. Un mondo
dove il 20 per cento della popolazione consuma l’80 per cento delle
risorse è un sistema di apartheid che produce un miliardo di obesi fra i
ricchi e un miliardo di affamati fra i poveri. È l’Africa soprattutto a
pagarne le spese. Forse è proprio la sua ricchezza a essere la sua
maledizione. Tutto questo è frutto di politiche economiche e finanziarie
che rendono pochi sempre più ricchi e molti sempre più poveri. Questo
vale non solo per il passato (schiavismo, colonialismo, neocolonialismo,
neoliberismo), ma anche per il presente. Le assurde politiche
economico-finanziarie sono sotto gli occhi di tutti. Basterebbe pensare
al fenomeno del land grabbing, dove i ricchi del mondo
«arraffano» terre nei paesi impoveriti per produrre cibo per sé o per
ottenere biocarburanti. Oppure la nuova politica della Ue, che impone ai
paesi impoveriti gli Epa (Economic partnership agreement), obbligandoli
a togliere i dazi. Così l’Unione europea, che sostiene la propria
agricoltura con 50 miliardi di euro l’anno, può svendere i propri
prodotti agricoli sui mercati africani. I contadini africani non possono
competere. È un’altra maniera per affamare l’Africa.
Una vera politica di aiuto sarebbe quella di sostenere gli agricoltori africani
perché il Continente nero possa arrivare all’autosufficienza
alimentare. Altrettanto inique sono le politiche commerciali imposte
dall’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), che strozzano i
poveri. Proprio per contrastare tali politiche e informare i cittadini
del Nord del mondo abbiamo sostenuto il commercio equo e solidale (Ces).
Lo ritengo una perla preziosa. Eppure il nostro sistema è talmente
scaltro che è capace di rendere questa perla funzionale al sistema. Oggi
purtroppo tanto del commercio equo e solidale è diventato un altro
business, perché il fine di tutto è vendere. Certo, permette ai
contadini del Sud del mondo di fare qualche soldo in più, ma non è così
che aiuteremo noi stessi e queste persone a capire l’iniquità delle
regole del commercio internazionale. Ogni bottega dovrebbe diventare un
luogo dove chi entra capisce dove e come è stato prodotto quel
manufatto, perché lo paga un po’ di più, che cosa ci sta dietro. È
questa la vera funzione del commercio equo e solidale. Invece una parte
del Ces è diventata oggi business. Per cui dobbiamo costantemente
vigilare su tutto quello che facciamo e sui mezzi che utilizziamo per
aiutare i popoli impoveriti. Dobbiamo far sì che loro diventino i
soggetti della loro liberazione. È interessante notare che oggi l’aiuto
più grande che viene inviato ai paesi impoveriti non è il nostro, ma il
loro. Il vero aiuto sono le rimesse, il flusso di denaro che gli
immigrati in Italia inviano alle famiglie, frutto del loro lavoro. La
liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi. Per
questo ritengo importante il testo che avete nelle vostre mani.
(Fonte)
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