Il dibattito parlamentare è usualmente dominato da appartenenze ideologiche, da visioni e interessi di parte. l'idea di valutare le politiche pubbliche (economiche, sociali, industriali...) è nota ma pochissimo praticata in italia. qualunque visione si abbia del futuro italiano è necessario puntare all'efficacia delle politiche approvate in parlamento con una seria valutazione.
Quale tema più “politico” di questo: come si valutano le politiche pubbliche?
Fra un po’ avremo un nuovo Parlamento che, come tutti i precedenti,
deciderà quali tasse mettere e togliere, quali provvedimenti varare per
il rilancio dell’economia, quali interventi sociali a favore delle fasce
più povere, come riorganizzare la sanità, quale ponte costruire (oppure
no) sullo Stretto… Su ciascuno di questi impegnativi provvedimenti,
destinati a incidere pesantemente sulla vita dei cittadini, sulle sorti
del Paese, si consumerà l’aspro dibattito fra maggioranza e opposizione
nei salotti di Porta a Porta, di Ballarò e occasionalmente nelle aule parlamentari, più o meno in questo stile dialettico:
- Abbiamo ragione noi perché [bla bla bla]!
- No, voi avete torto perché [bla bla bla]!
- Tu menti, perché la verità è [bla bla bla]!
- Io ti querelo se mi dai del mentitore, sai benissimo che la verità è [bla bla bla].
Dopo tale approfondita discussione chi ha la maggioranza ottiene di
fare – o di non fare – l’intervento in questione, la legge proposta.
Tutti noi cittadini-elettori-telespettatori cerchiamo di capirci qualche cosa ma, come ho spiegato in un post precedente (Più vi informate e meno capite?)
ciò è impossibile per svariati motivi, o quantomeno assaissimamente
difficile, e ciascuno finisce col dare ragione al leader, al partito, di
cui è già sostenitore.
Eppure non sarebbe difficile utilizzare meno pancia e più testa:
prendiamo il caso eclatante del ponte sullo Stretto di Messina.
Naturalmente sono state realizzate valutazioni di impatto ambientali,
perché obbligatorie. Queste valutazioni – se ben fatte – indicano le
conseguenze sull’ambiente di opere di questo genere: si possono
verificare frane? Le maree subiranno conseguenze? Quale impatto per la
fauna marina? Cose di questo genere, assolutamente fondamentali.
Quello che potrebbe mancare è una valutazione di carattere sociale ed
economico. Per esempio: quali effettivi risparmi economici si
realizzeranno, grazie alla velocizzazione del trasporto su gomma fra le
due sponde, nei primi cinque anni? E nei successivi cinquanta? Quali
conseguenze sulle abitudini di trasporto? Si utilizzerà meno il treno?
Con quali costi? Con quali conseguenze sull’inquinamento? Tali costi
saranno recuperati grazie a un maggior flusso turistico? Grazie a
un’ottimizzazione del trasporto merci? L’aeroporto di Catania avrà un
incremento di passeggeri grazie alla migliore raggiungibilità dalla
Calabria? I cittadini di Messina subiranno maggiori disagi per
l’aumentato flusso di automobili?
Studi di questo genere sono complessi, difficili e ovviamente hanno un carattere ipotetico. Per quanto accurati non possono stabilire con certezza
che un dato ammortamento di capitali avverrà sicuramente entro tot
anni, o che lo sviluppo del turismo sull’isola aumenterà il PIL
regionale di tot punti percentuali e così via. Ma danno, con ragionevole
probabilità, l’idea chiara se il ponte sullo Stretto sia una
sciocchezza colossale, diseconomica, sotto-utilizzata, con effetti
secondari perversi, oppure una benedizione da realizzare prima possibile
perché portatrice di sviluppo.
Ma la valutazione delle politiche pubbliche (e dei programmi di intervento, delle organizzazioni…) non si può fare solo prima di approvare progetti che costano vagonate di miliardi, ma ha un ruolo fondamentale anche in seguito
al loro varo, come strumento di “rendicontazione” nel significato non
meramente contabile ma etico, prettamente politico del “rendere conto”
(dall’inglese to account), assumersi una responsabilità di
fronte ai cittadini: abbiamo approvato la tale legge, il tale
provvedimento, e adesso, a distanza di qualche anno, verifichiamo che
benefici ha prodotto.
La valutazione per rendere conto delle proprie azioni politiche. Questo tipo di valutazione ex post
è moltissimo diffusa nel contesto delle politiche europee, ma malgrado
l’Europa da decenni l’imponga ai Paesi membri non sembra avere
attecchito, in Italia, come strumento di analisi delle politiche, di
migliore riprogrammazione per le politiche future. L’amministrazione
pubblica non ama i tecnici e gli analisti che chiedono dati per valutare
l’efficacia e l’efficienza dell’apparato pubblico; men che meno gli
amministratori e i politici che vedono nella valutazione un limite al
proprio buon (?) senso e alla loro libertà di manovra (sovente più
ideologica che suggerita da motivazioni di merito), anziché coglierne
l’utilità per un migliore servizio ai cittadini, una migliore
allocazione delle scarse risorse pubbliche, un motivo di vanto e
trasparenza. A ben guardare neppure i dipendenti pubblici amano l’idea
di essere valutati, anche perché, bisogna pur dirlo, col termine
“valutazione” girano da anni macchinose, inefficaci, a volte punitive
strumentazioni di valutazione del personale (delle loro performance,
delle loro capacità individuali) che ovviamente sono cosa totalmente
diversa dalla valutazione delle politiche e dei programmi.
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