sabato 23 giugno 2012

Sulla permanenza dell'Italia nell'euro, la politica parli chiaro ai cittadini


Anche i più convinti assertori del liberalismo e dell’economia di mercato cominciano a nutrire seri dubbi su quanto è avvenuto e ancora avviene in questo periodo di crisi profonda. Fermo restando che il libero mercato continua a essere lo strumento migliore per l’allocazione delle risorse, e che i modelli alternativi si sono rivelati fallimentari alla prova della storia, c’è qualcosa di inquietante nel susseguirsi di allarmi che ormai scandiscono la nostra vita quotidiana.
Paolo Franchi ha scritto sul Corriere della Sera che nemmeno l’esito tutto sommato positivo delle elezioni in Grecia è stato in grado di “distogliere i mercati dalla loro collera fredda contro i debiti sovrani che contano, a cominciare dallo spagnolo e dal nostro”. 
 
Già. Qualcuno è però in grado di spiegare in modo chiaro e comprensibile al volgo di che si parla usando a piene mani il termine “i mercati”? Ne avremmo diritto, visto che tale fantomatica entità sta decidendo, giorno dopo giorno, il destino di interi Paesi e di un numero tremendamente alto di esseri umani. Non stiamo parlando di quisquilie. Qui si rischia di travolgere un sistema economico e politico il quale, pur imperfetto e pieno di difetti, ha dato all’Occidente un periodo assai lungo di pace e di benessere, fungendo pure da locomotiva per il resto del mondo.
E se, invece di continuare a parlare di “mercati”, ricorressimo all’espressione “grande speculazione internazionale”? Intendiamoci, la speculazione finanziaria è sempre stata elemento essenziale del capitalismo. La libertà implica il rischio, e quest’ultimo consente a chi lo corre di essere remunerato se sceglie in modo giusto, e punito se la scelta si rivela sbagliata.
Vi sono tuttavia limiti, che un grande economista liberale come Luigi Einaudi sottolineò più volte. La sua diffidenza nei riguardi dello strapotere dello Stato non gli impediva di notare che quando sono in gioco problemi della vita collettiva la decisione ultima spetta alla politica. Esiste il primato dell’economia sul piano tecnico, e naturalmente buon politico è colui che rispetta il più possibile i dati offertigli dall’economista. Ma l’economista propone e il politico dispone. Se accade il contrario vengono lesi gli stessi principi fondanti della democrazia liberale.
Perché, dunque, dobbiamo piegarci impotenti alla “collera fredda dei mercati”, senza neppure sapere chi sono le persone in carne e ossa che li indirizzano? E non si ricorra – per favore – alla storia della “mano invisibile”. Nel caso specifico siamo di fronte a una strategia mirata, anche se i comuni mortali non hanno ancora capito quale sia. Ci sarebbe spazio a volontà per un “plot” alla Dan Brown, se qualcuno avesse voglia di scriverlo.
Non parliamo poi delle celebri agenzie di rating. Anch’esse paiono pervase dalla stessa collera fredda che anima i mercati. Il punto è che non si capisce chi abbia conferito loro il potere di intervenire in maniera così invasiva, determinando ondeggiamenti di borsa che portano sempre più vicino al rischio di un collasso globale.
Le più influenti sono tutte americane, e a questo punto nascono altri interrogativi. Il Presidente Obama ha cercato di porre dei paletti, dal momento che la loro collera si rivolge ogni tanto anche verso gli USA. Tuttavia Obama è un grande oratore, ma si ha spesso la sensazione che sul piano decisionale conti assai meno delle lobbies che – probabilmente – sono i veri referenti delle agenzie.
Per questo stupiscono non poco le continue accuse che il governo americano rivolge alla UE. Vogliamo rammentare che la crisi ebbe origine proprio negli Stati Uniti, con la gigantesca bolla finanziaria causata dalla crisi dei subprime? E il caso Lehman Brothers si è forse verificato sul suolo europeo? Le accuse andrebbero insomma rispedite al mittente, se solo la UE avesse la forza di farlo.
Lungi da chi scrive l’intenzione di negare le colpe dell’Unione Europea, e di alcuni Stati membri in particolare. In questi anni si è pensato solo a economia e finanza, scordando che una moneta esiste ed è forte soltanto nella misura in cui ha dietro un governo – anche federale – in grado di esprimere una volontà politica condivisa. Inoltre l’allargamento a dismisura dell’Unione è stato concepito male e per ragioni più propagandistiche che di sostanza.
Tuttavia resta la sensazione di essere vittime di forze anonime e incontrollabili, e per quale motivo non se ne dovrebbe parlare? E’ stata evocata l’ipotesi di un progetto di ambienti americani volto a sbarazzarsi della UE, concorrente potenzialmente temibile in futuro nello scenario mondiale. Forse sono fantasie, ma qualche indizio a favore c’è.
Incomprensibili anche le reazioni stizzite ogni volta che qualcuno si azzarda a sostenere che l’uscita dall’euro è preferibile a questa interminabile agonia. Meglio sarebbe che chi governa spiegasse agli italiani i pro e i contro di una simile mossa, usando un linguaggio semplice e non da iniziati. Personalmente credo che abbandonare l’eurozona sarebbe una tragedia, ma vorrei anche che gli addetti ai lavori esponessero con pacatezza i motivi di una sensazione che tanti condividono.
Franklin D. Roosevelt, dopo la grande crisi del 1929, riuscì a catturare il consenso degli americani diffondendo per radio i suoi celebri “discorsi al caminetto” in cui spiegava in modo semplice che cosa intendeva fare. Qualcosa di simile sarebbe quanto mai opportuno, poiché l’assenza di comunicazione tra governanti e governati è il peggio che a un Paese possa capitare.
(da loccidentale.it del 22/06/2012 - di Michele Marsonet)
Stampa il post

Nessun commento:

Posta un commento