martedì 13 novembre 2012

Ora basta, sui nostri Marò l’India dice troppe falsità

Opinione di Arduino Paniccia

L'alta corte del Kerala ha accettato di dare la liberà su cauzione ai nostri due marò che verranno trasferiti all'ambasciata italiana a New Delhi. Ripubblichiamo una nostra analisi secondo cui nel resoconto delle autorità indiane ci sono molte cose che non quadrano e alcuni dettagli appaiono come vere e proprie menzogne. Singolare poi la decisione di proibire ai tecnici del Ros Carabinieri di essere presenti alla prova balistica. A questo punto, complice l’assenza forzata dei nostri esperti, dobbiamo aspettarci che anche i risultati delle prove balistiche siano manipolati. L'India sta davvero forzando la mano e i perché possono essere diversi.


(Arduino Paniccia è professore di Studi Strategici all' Università di Trieste; l'articolo è scritto in collaborazione con Andrea Castelli, consulente nel settore Difesa).

Apprendiamo che alcuni giorni fa un giudice dell’Alta Corte di Kerala avrebbe equiparato la presunta sparatoria attribuita ai Fucilieri di Marina italiani ad un atto terroristico. Tale scellerata esternazione del magistrato indiano forse intende soddisfare strategie politiche locali, ma noi non intendiamo in questa sede inoltrarci nelle nebbie che circondano le elezioni in quella regione, quanto piuttosto dimostrare che l’affair Enrica Lexie si è sviluppato seguendo un disegno improntato alla falsificazione (spesso maldestra) delle prove. La disamina degli atti e delle dichiarazioni ufficiali della Polizia, della Guardia Costiera di Kochi, dei testimoni locali e dei giudici di Kerala porta ad un'unica verità: i nostri due Marò non hanno sparato al peschereccio St. Anthony, come da loro dichiarato sin dagli esordi di questa incresciosa vicenda. Chi scrive non da oggi crede a quanto detto dai due Fucilieri, mantenendo una posizione che qualcuno in Italia sembra non condividere, a partire da Giuliana Sgrena, che, dalle pagine del Manifesto, in sostanza chiosa che gli sforzi per riportare a casa i nostri ragazzi sono solo un tentativo di fargliela passare liscia. 

 Sgrena pare non considerare le troppe e macroscopiche contraddizioni nelle quali gli investigatori e magistrati del posto paiono indulgere. Un esempio tra i molti: i verbali della polizia e della Guardia Costiera di Kochi riportano che il peschereccio St. Antony con le due vittime a bordo è rientrato in porto alle 18:20. A quell’ora il sole a Kochi era ancora abbastanza alto, essendo tramontato alle 19:47. Dunque, secondo le autorità il mesto ritorno del peschereccio sarebbe avvenuto alla luce del sole. Peccato che i filmati delle televisioni locali che registravano l’evento siano stati girati alle 22:30, in piena notte, come attestato dagli stessi reporter indiani e riscontrabile su youtube.

Incuriositi da questa sensazionale incongruenza siamo andati a leggere l’esaustiva analisi di Luigi Di Stefano, uno specialista accreditato, e abbiamo scoperto una lunga serie di menzogne, estrapolabili dalle dichiarazioni ufficiali e dalle “prove” sin qui rese pubbliche dalle autorità di quel paese. Secondo la Guardia Costiera il modesto peschereccio, con una velocità a malapena di 6.5 nodi, magicamente si sarebbe trasformato in un motoscafo d’altura in grado di giungere in porto alla fantastica velocità di 20 nodi, quattro ore e quaranta prima della Enrica Lexie, che alla discreta velocità di 14 nodi sarebbe arrivata solo alle 23:00. I nove pescatori superstiti, appena a terra, dichiarano di non aver visto nulla, in quanto tutti a dormire sotto coperta, ad eccezione dei due sfortunati colleghi. Pochi giorni dopo miracolosamente riacquistano la memoria e ricordano tutto, incluso il colore e la forma della Enrica Lexie. Che è però identica ad altre tre navi in zona (come ben visibile nelle foto postate da Di Stefano). Ben diverso sarebbe invece il peschereccio descritto dai nostri Fucilieri, verso il quale avrebbero sparato solo colpi di deterrenza senza mai colpirlo, come previsto dalle regole di ingaggio definite per le operazioni di maritime security.

Mentre anche l’analisi tecnica dimostra che i Marò non hanno sparato al St. Antony, cosa della quale non abbiamo mai dubitato, resta profondo il rammarico per il comportamento delle autorità indiane, rappresentanti di una nazione che abbiamo sperato di poter annoverare tra gli alleati più forti e affidabili dell’Occidente e della Nato in quella parte del pianeta e che invece scopriamo volersi porre al di fuori della comunità internazionale violando una lunga serie di regole e convenzioni comuni. L’India, che pure siede all’Onu e ha firmato accordi con molte nazioni, inclusa la nostra, ha deciso di non riconoscere più questi trattati e di ignorare per esempio il “Diritto di Bandiera” (che copre l’operato di militari all’estero), di ignorare il Codice Internazionale della Navigazione”, di ignorare perfino le proprie leggi, attirando in porto l’Enrica Lexie con l’inganno, ovvero senza garantire all’equipaggio la consapevolezza di essere indagati: la Guardia Costiera infatti ha chiamato via radio tutte le navi in zona invitandole a rientrare a Kochi per “identificare una barca di pirati” che la stessa avrebbe catturato.

Della cinque navi in zona quattro hanno messo la prua al largo eclissandosi macchine avanti tutta e solo la nostra, con una deprecabile ingenuità imputabile solo alla certezza di non essere colpevoli di alcun misfatto, ha risposto all’invito, un vero raggiro, seguito dal “rapimento” dei due Marò e dal sequestro illecito delle loro armi. L’analisi tecnica di Di Stefano continua con un esame dei calibri e delle armi che secondo gli indiani sarebbero state impiegate, dimostrando anche in questo caso imbarazzanti contraddizioni. A questo punto non rimane che domandarci perché. Che tipo di partita si sta giocando a Kerala e sulle sue coste? Per i pescatori di Kochi l’essere bersaglio di tiri di fucileria non è purtroppo cosa straordinaria, il conflitto permanente con lo Sri Lanka ha causato a quella comunità decine e decine di vittime, per le quali nessuno ha mai pagato e il dubbio che i poveri caduti del St. Anthony siano da ascrivere a quel contesto bellico si combinano con la precipitosa fuga della Olimpic Flair, nave greca identica alla Enrica Lexie e con a bordo guardie armate (a sua volta nelle stesse ore vittima di un assalto di pirati), facendoci pensare che ad essere sospettati della morte dei due pescatori devono essere almeno altri due attori, dai quali però le autorità indiane si sono tenute a inspiegabile distanza. Singolare invece lo slancio nel perseguitare i due militari italiani, spintosi fino al punto di proibire ai tecnici del Ros Carabinieri di essere presenti alla prova balistica.

E cosa dovrebbe dimostrare questa tanto attesa prova balistica? Che le armi dei due marò hanno sparato? Ma lo sappiamo già! Cosa altro dovrebbe rivelarci, visto che le uniche indicazioni interessanti avrebbero dovuto provenire da un più serio esame autoptico dei corpi delle due vittime, così rapidamente cremati nel giro di poche ore, dopo la frettolosa perizia di un anatomo-patologo poco competente? A questo punto dobbiamo solo aspettarci che, complice l’assenza forzata dei nostri esperti, anche i risultati delle prove balistiche vengano manipolati, col fine di dimostrare che i colpi mortali sono stati sparati dagli italiani. Dunque questa faccenda è partita con il piede sbagliato e viene gestita unilateralmente dagli indiani, con fini diversi da quello di accertare la verità ed assicurare alla giustizia i veri colpevoli. Forse l’obiettivo è ingraziarsi la folta comunità di pescatori, una fetta importante dell’elettorato, dando loro in pasto dei colpevoli plausibili quasi a titolo di compensazione per i numerosi morti causati dal confronto con lo Sri Lanka. O forse per lanciare un messaggio trasversale ai numerosi armatori le cui navi, tra collisioni e comportamenti discutibili, stanno causando problemi ad una attività di pesca locale che si spinge ben oltre le acque territoriali indiane.

Comunque sia, i nostri non c’entrano, non hanno sparato al St. Anthony e tutti faremmo bene a convincercene, evitando di anche solo considerare le tesi folli sostenute dagli indiani e smettendo anche di accarezzare l’ipotesi che forse i nostri hanno ucciso ma che comunque vanno giudicati da giudici italiani. I nostri non hanno ucciso nessuno, sono Fucilieri di Marina e se c’è una cosa che un Fuciliere di Marina sa fare, per definizione, è sparare col fucile da una nave, piazzando colpi di deterrenza pochi metri a prua o a poppa di una imbarcazione che si avvicina secondo un profilo di minaccia. Pensare che Salvatore Latorre e Massimiliano Girone abbiano sparato per uccidere oltre ad essere malvagio è perfino illogico: per quale ragione due Fucilieri del San Marco avrebbero dovuto desiderare la morte di due innocenti pescatori indiani? Oggi, a elezioni avvenute, la speranza è che i riflettori sulla vicenda si spengano, lasciando alla diplomazia e al lavoro sotterraneo dell’ottimo Staffan de Mistura le chance di riportare a casa prima possibile i due Marò, senza mancare però di farci affiancare in maniera più determinata da Onu e Ue.

Sembra infatti che i vertici di queste due organizzazioni abbiano scordato che la lotta alla pirateria, e quindi anche la presenza di militari armati a bordo di navi mercantili, è in accoglimento delle linee guida dell’Imo (International maritime organization - organismo Onu preposto alla disciplina dei traffici marittimi) ed in ottemperanza alle disposizioni Ue e Nato in materia di contrasto alla pirateria al largo del Corno d’Africa. È perlomeno singolare che queste due organizzazioni non abbiano sin dall’inizio agito concretamente e tempestivamente contro le decisioni indiane, abbandonando l’Italia a gestire la crisi senza alcun supporto, salvo poi pronunciarsi in maniera piuttosto tiepida e con colpevole ritardo attraverso la bocca di Catherine Ashton, alto rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza dell'Unione Europea, incolore baronessa britannica i cui meriti e competenze ci sono tuttora misteriosi.
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