lunedì 15 febbraio 2016

IL TERRITORIO DI TRIESTE È STATO DEVASTATO DA OGNI SORTA DI RIFIUTO

Sistema Trieste: assassinio di Stato


Per oltre 50 anni il territorio triestino è stato devastato da ogni sorta di rifiuto. È il cosiddetto “Sistema Trieste”: fanghi industriali, residuati bellici, scorie radioattive, armi chimiche, gas tossici (ossidi di azoto, ossidi di zolfo, cloruri, fluoruri), diossine e metalli pesanti provenienti da varie parti d’Italia. Un piccolo lembo di terra utilizzato come punto strategico per il traffico di rifiuti tossico nocivo a livello internazionale.

Nel 1954, con il Memorandum di Londra, il Territorio Libero di Triesteviene dato in amministrazione fiduciaria al Governo italiano. Poco tempo dopo, le amministrazioni pubbliche decidono di realizzare grandi discariche, dal mare (intero arco costiero di Barcola, porto franco nord, fino al confine con la Slovenia) all’altopiano carsico che ben si adattava a far “sparire” rifiuti di ogni tipo. Il “Sistema Trieste” altro non è se nonl’intreccio tra politica, economia e criminalità organizzata, come definito dall’ambientalista dell’associazione triestina Greenaction TrasnationalRoberto Giurastante (autore di un libro chiave, “Tracce di legalità” – che non si trova più ma che può essere acquistato telefonando al numero 040 0641602 – e destinatario di pesanti intimidazioni mafiose), che mise in atto quel processo di smaltimento incontrollato di rifiuti.

Doline e grotte sono state riempite prevalentemente da idrocarburi, acidi, fanghi industriali, esplosivi e materiale radioattivo. I mezzi pesanti che trasportavano i rifiuti “speciali” venivano scortati dalle forze dell’ordine fino alle doline in cui venivano scaricati.

Delle 2695 cavità registrate dal Catasto regionale delle grotte, 128 risultano essere particolarmente inquinate, 247 non sono più accessibili e di 19 si sono perse le tracce. Un esempio sono il Pozzo del Cristo, una cavità a sviluppo orizzontale e verticale profonda 65 metri, dotata di un comodo bocchettone per lo scarico di nafta, idrocarburi, residui lavorazioni industriali e oli esausti; il Pozzo dei Colombi, cavità di 45 metri in cui venne gettato il terreno contaminato dal petrolio, dopo l’attentato del 1972 di “Settembre nero” all’oleodotto di San Dorligo, e immense quantità di fanghi industriali e sostanze chimiche; o la caverna presso la 17 VG, riempita da nafta e residui oleosi.

L’epicentro di questa devastazione è stata la ex discarica RSU (rifiuti solidi urbani) di Trebiciano, gestita dal comune di Trieste dal 1958 al 1972. Su un area di 120.000 mq, sono stati scaricati 600.000 metri cubi di rifiuti di ogni tipo, compresi i fusti contenti armi chimiche dell’ex arsenale italiano.

All’interno del “Sistema Trieste”, il porto franco internazionale omonimo aveva un ruolo importante e strategico. Qui infatti, arrivavano i rifiuti tossici che dovevano essere poi trasportati in altre aree e scaricati nell’ambiente, in particolare in Somalia, e le armi, come raccontato nel memoriale presentato dall’ex boss della ‘ndrangheta calabrese Francesco Fonti alla Direzione Nazionale Antimafia e pubblicato nel 2005 da L’Espresso.

Quello triestino è stato un inquinamento di Stato pianificato e perpetuato nel tempo ai danni di una popolazione indifesa e che l’ha portata ai vertici delle classifiche per mortalità tumorale: come altro chiamarlo se non “Assassinio di Stato”?
(Di Barbara Mapelli - Fonte byoblu)

Documenti:



Trieste, ambiente, rifiuti e malattie:

la discarica di Trebiciano.

Lo Stato risponda!

Trieste: continua il nostro viaggio nelle malattie dell’ambiente. Dopo aver dato uno sguardo al “Sistema Trieste” nel suo complesso, oggi apriamo uno squarcio sui rifiuti tossici accumulati nella discarica di Trebiciano.

Trebiciano, paese confinante con la Slovenia, si trova una delle più grandi discariche di tutto il Carso triestino. Era stata realizzata come discarica di rifiuti solidi urbani (RSU) nel 1958 e gestita dal Comune di Trieste fino al 1972. Ufficialmente l’area interessata ricopre una superficie di circa 120.000 mq, ma recentemente è stato accertato che la zona inquinata risulta essere molto più estesa. Nel corso degli anni sono stati scaricati almeno 600.000 metri cubi di rifiuti di ogni tipo: materiali organici e inorganici, fanghi industriali, rifiuti tossico nocivi, idrocarburi, oli esausti, residuati bellici e una parte delle armi dell’arsenale chimico e batteriologico italiano, accumulato prima e dopo la seconda guerra mondiale. Gli agenti chimici più diffusi erano l’iprite, il fosgene, l’antrace e l’arsenico, gas utilizzati nei proiettili di artiglieria dall’esercito della Marina e nelle bombe dall’areonautica militare.

Una parte dell’arsenale chimico italiano era stato ridislocato con l’apertura del fronte a est. Trieste giocò un ruolo importante, sia per la sua posizione strategica (città confinante con la Jugoslavia), sia per la presenza di un vasto porto con impianti petrolchimici (raffineria Aquila), luoghi perfetti dove trasportare, immagazzinare e occultare le armi chimiche.
Nell’estate del 2012, l’associazione ambientalista Greenaction Transnational lanciò l’allarme per la presenza, nell’area della ex discarica di Trebiciano, di fusti di cemento di grandi dimensioni, parzialmente interrati e vuoti. Nove mesi dopo quella segnalazione, i fusti sparirono misteriosamente. Come sottolineato sul sito della stessa associazione, quei fusti di cemento “erano molto probabilmente serviti quali contenitori per le scorie tossiche dell’arsenale militare italiano”.


Il metodo di smaltimento di rifiuti “speciali” era molto semplice. Autobotti piene delle così dette “sludges” (mix di fanghi industriali e idrocarburi) venivano scortati dalle forze dell’ordine fino alla dolina o grotta prescelta. Posizionavano i manicotti di scarico nella fessura e riversavano litri di veleni nella cavità. Altre volte, invece, erano i mezzi pesanti dell’Esercito a scaricare materiali “scomodi”. Camion accuratamente sigillati giungevano nell’altopiano carsico con lo scopo di seppellire, nelle doline, fusti metallici o di ferro-cemento. Il tutto veniva poi ricoperto di terra e rifiuti.


Analisi fatte agli inizi degli anni ’90 nell’area della discarica di Trebiciano, a pochi chilometri da Trieste, misero in evidenza la presenza di idrocarburi e metalli pesanti come: cadmio, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco, oltre a ceneri a varie profondità nel terreno. In altri punti della discarica il terreno presenta colorazioni innaturali che vanno dal verde marcio al blu metallico. Sono state anche individuate presenze di biogas, come denunciato in passato da alcuni abitanti di Trebiciano. Dati che dovrebbero preoccupare perché a soli 500 metri dalla discarica si trova l’Abisso di Trebiciano, grotta dove a trecento metri di profondità scorre il fiume Timavo che si alimenta dalle acque piovane del Carso. Per anni era stato utilizzato come fonte primaria per rifornire d’acqua il territorio triestino. Il crescente inquinamento del fiume Timavo, alla fine degli anni ’70, costringe la società Acegas a ricercare fonti alternative per il rifornimento idrico di Trieste.

In conseguenza di questo disastro ambientale, che abbiamo appena iniziato a descrivere nella puntata precedente (“Sistema Trieste: assassinio di Stato“), per quanto tempo ancora gli abitanti della zona dovranno continuare a convivere con questa “bomba chimica”? Per quale motivo la Commissione Parlamentare di inchiesta italiana sulle ecomafie non è mai intervenuta seriamente di fronte a questo scandalo nemmeno quando le evidenze erano ormai incontrovertibili? Aspettiamo una risposta dallo Stato italiano.
(Di Barbara Mapelli - Fonte byoblu)




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