martedì 16 aprile 2013

Roma criminale e l’immobilismo antimafia di Alemanno

In Campidoglio non è stato approvato il regolamento sull'assegnazione dei beni confiscati. Mai discussa una delibera delle opposizioni: niente osservatorio, né delegato contro le cosche. E sugli immobili nessuna trasparenza e scelte discutibili 

 

Esistono palazzi, terreni e immobili che raccontano la storia di una Roma criminale. Il volto di una Capitale che si credeva immune dalla presenza mafiosa, ma che negli anni è diventata terreno fertile per Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e malavita organizzata. Beni confiscati alle mafie, che dovrebbero essere riassegnati attraverso bandi pubblici, con la massima trasparenza, possibilmente attraverso l’adozione di un Regolamento e un registro accessibile a tutti che permetta ai cittadini di venirne a conoscenza. Proprio come avviene in altri comuni italiani: si pensi alla svolta di Milano con Giuliano Pisapia, che ha stipulato un patto con l’associazione Libera, approvato nuove linee di indirizzo e sul sito istituzionale mostra un elenco aggiornato. Una lista dei beni è pubblicata  anche a Napoli, mentre regolamenti sono previsti anche a Palermo (seppur criticato) e in comuni più piccoli,  come Cinisi, Termini Imerese, Palmi e Mesagne, per fare qualche esempio. A Roma, invece, nulla di tutto questo: nella Capitale, secondo una ricerca della fine del 2011, condotta da Libera, Asud, Avviso Pubblico e altre associazioni, soltanto il 27,3 per cento dei beni confiscati nel comune di Roma risulta effettivamente assegnato per il riutilizzo sociale o istituzionale, come prevede la legge. Manca poi un regolamento, perché quello licenziato dalla giunta Alemanno non è mai stato approvato in Campidoglio, nonostante sia stato stabilito da un decreto legislativo del 2011. Ventitre articoli che dovevano quantomeno rendere più rapide e trasparenti le assegnazioni, ma tutto è stato da tempo dimenticato.

TRA ASSEGNAZIONI E PERPLESSITA’ – Il Comune di Roma è proprietario di una sessantina di beni confiscati, ma ombre emergono in diverse assegnazioni. In particolare, alcune fatte dalla giunta Alemanno siano state criticate in passato, perché rivolte a personaggi e obiettivi che non rispondono a quelli previsti dalla normativa. Come nel caso di Podgora, destinataria di un bene confiscato  nel centro della città: un’associazione di carabinieri ufficialmente senza scopo di lucro ma che gestisce – senza gara –  i distributori di caffè e brioches nelle caserme romane (ci sono state diverse interrogazioni parlamentari, ndr). E che fa capo al consigliere “pdellino” Giuseppe La Fortuna. Perplessità anche per il bene assegnato all’associazione Andromeda: si occupa di cultura della legalità, ma nelle sue pubblicazioni non mancano riferimenti politici, riconducibili all’onorevole Filippo Ascierto (sempre del Pdl: qualcuno lo ricorda per perché voleva “catturare uno a uno” i contestatori del G8 di Genova) e all’universo del centrodestra. Ma non solo: tra i cassetti di Alemanno è rimasta per più di due anni una delibera del consigliere Paolo Masini (Pd) – con il quale si chiedevano l’istituzione del regolamento, la creazione di un delegato antimafia e l’adesione ad Avviso Pubblico. Nonostante fosse per legge obbligatorio presentarla entro sessanta giorni, non è mai stata discussa. E poi ci sono altri beni che non rispondono proprio alle esigenze di riutilizzo sociale, senza scopi di lucro: come nel caso del bene assegnato alla cooperativa Sol.co, alla Giustiniana, diventato con l’associazione “Città del Sole” una casa per anziani con tanto di richiesta di rette. Poi c’è l’Unione Rugby Capitolina che gioca in un terreno che una volta faceva parte delle proprietà di Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana. Ma nel centro c’è anche una struttura privata di fisioterapia, la Isokinetic. Poi ci sono diversi beni assegnati per finalità sociali che restano invece vuoti e inutilizzati. Come gli stabili di via Barbana, Boccea e Ponzio Cominio, assegnati un pio di anni fa al Dipartimento Cultura per il progetto “Casa dei Teatri e della Drammaturgia Contemporanea”. Ma in questi stabili ancora nessun progetto teatrale è stato fatto: sono  chiusi da tempo, come rivelano alcuni residenti. “Non vediamo nessuno da almeno due anni”, confermano in via Barbana. Fino a poco tempo fa, nella saracinesca era stata pitturata la scritta: “Locale confiscato alla mafia: prossima apertura”. Ma è rimasto soltanto un annuncio ed è scomparsa anche quello. A Ponzio Cominio stesse serrande abbassate: nessuno sa nulla. “Ci stiamo attivando anche per quei locali, ma ci vuole tempo”, riferiscono dal Dipartimento. Anche la sala giochi di via Cesare Maccari, a San Giorgio in Acilia – dove nel 2009 fu ucciso il boss della Banda della Magliana Emidio Salomone – è chiusa da anni. “Prima era in uno stato di abbandono, era diventata una specie di discarica”, spiegano i vicini, prima di un piccolo intervento di pulizia. Seppur assegnato all’Anffas Ostia (l’Associazione nazionale delle famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), il bene è rimasto abbandonato.

ROMA CRIMINALE E I BENI CONFISCATI – Tutto mentre a Roma la presenza mafiosa sta diventando opprimente. Secondo un recente rapporto della stessa Libera sono ben 46 i clan che operano nell’area: per fermare Cosa Nostra e la sua espansione ci sono stati uomini, come Pio La Torre, che hanno pagato con la  vita il loro impegno antimafia. Fu il segretario del Pci siciliano il primo, con Rognoni, a definire per legge l’associazione a delinquere di stampo mafioso, con l’introduzione del 416-bis del Codice Penale. Ma soprattutto ad avere un’intuizione geniale: per colpire le mafie era necessario aggredire gli ingenti patrimoni accumulati in modo illegale, attraverso il sequestro e la confisca dei beni. Una normativa approvata soltanto dopo il suo assassinio, avvenuto il 30 aprile 1982: la sua Fiat 131 venne colpita da raffiche di proiettili, con mandanti Riina e Provenzano. Si è dovuto aspettare fino al 1996 affinché, sulla spinta del milione di firme raccolte da Libera, si disponesse la restituzione alla collettività dei beni confiscati alle mafie, attraverso il loro riutilizzo sociale. Amministrati a partire dal 2010 dall’ANSBC (l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, ndr), tocca in gran parte ai Comuni decidere per il loro affidamento.  Un processo che dovrebbe avvenire però con la massima trasparenza possibile: anche perché – come sostiene Marco Genovese di Libera Roma, il riutilizzo sociale “rappresenta uno strumento fondamentale per stimolare la partecipazione  democratica”. “Restituire il maltolto”, secondo lo slogan storico dell’associazione di Don Ciotti. Negli ultimi anni il comune di Roma ha visto passare per le proprie mani beni immobili per il valore di 52 milioni di euro. A Roma sono stati confiscate “225  particelle catastali”, come ci spiega Genovese di Libera. Eppure manca una certa consapevolezza di quanti e quali siano i beni sequestrati, anche per i ritardi e le strane “dimenticanze” della giunta Alemanno. Come quella sul regolamento, che renderebbe tutto molto più trasparente.  “Spesso non si sa come avvengano le assegnazioni, proprio perché non ci sono regole definite e processi trasparenti”, continua. Eppure, Genovese ricorda come non sono mancate le esperienze positive. Si pensi alla stessa sede di Libera, primo storico immobile riassegnato alla collettività nella Capitale. Si trova in via IV Novembre, a pochi passi dal Palazzo della Provincia: una volta apparteneva al boss della camorra Michele Zaza, ma oggi è diventato un punto di riferimento per le battaglie antimafia, grazie alla presenza dei volontari dell’associazione di Don Ciotti. Ma diversi altri locali sono stati assegnati a Roma ad associazioni, cooperative e giovani, da quando fu approvata la legge sul riutilizzo sociale: come per la Casa del Jazz, una vecchia villa del valore di 10 milioni di euro, sempre di proprietà di Enrico Nicoletti, il cassiere della Banda della Magliana. Ma resta il fatto che mancano regole trasparenti. Nel 2011, nel dossier di Libera si leggeva:

Le statistiche sui beni confiscati alle mafie in Italia 


“I numeri parlano chiaro: Roma, con 383 beni, è la settima provincia in Italia per beni confiscati alle mafie, tra immobili e aziende. E il Lazio, nella stessa classifica, con 482 immobili e aziende sottratte alle mafie, è la sesta regione. Eppure, tranne qualche caso isolato, di questo patrimonio si sa poco o nulla. Dove sono gli immobili, in quali condizioni di trovano, se e come sono effettivamente utilizzati secondo le finalità di legge, quali beni sono eventualmente disponibili e come vengono assegnati”
Le statistiche sui beni confiscati alle mafie in Italia
LE COLPE DELLA GIUNTA ALEMANNO - Oggi è cambiato poco o nulla. Eppure, la giunta Alemanno aveva l’occasione per voltare pagina. Ma per il consigliere del Pd Paolo Masini “nel corso del mandato più volte ha dato quasi l’impressione di non voler dare troppo fastidio alla malavita”. Intervistato da noi di Giornalettismo, lancia le sue accuse contro il sindaco Gianni Alemanno: “Dal 28 ottobre 2010 come opposizioni abbiamo presentato una delibera – del quale Masini era primo  firmatario, occupandosi da tempo dei temi della  legalità – che non è mai stata discussa, nonostante fosse obbligatorio, entro 60 giorni. I nostri appelli, continui, non sono serviti”, sottolinea. Eppure, il testo, appoggiato  da 18 consiglieri di minoranza (Pd, Api, “Civica per Rutelli”, Gruppo misto, Udc e Action) era stato apprezzato anche da due consiglieri di maggioranza, tra cui il pdellino Andrea De Priamo. Masini ricorda: “Fu presentato due anni e mezzo fa, quando Alemanno continuava a negare che la mafia fosse un problema anche nella nostra città, prima di doversi arrendere all’evidenza”. Ma cosa prevedeva la delibera? C’era l’adesione ad Avviso Pubblico, l’associazione degli enti locali contro le mafie: “Una realtà di carattere nazionale, bipartisan”, spiega. Ma non solo: “Prevedeva la creazione di un delegato antimafia e di un osservatorio permanente contro le mafie, oltre alla pubblicazione dei beni confiscati nel nostro territorio e alla definizione di norme più trasparenti per la loro assegnazione”, aggiunge. Per Masini quello di Alemanno è stato uno schiaffo alla memoria di Pio La Torre, del quale ricorre il 30 aprile il trentunesimo anniversario dell’omicidio di stampo mafioso. “Con questa giunta c’è stato un netto arretramento nelle politiche antimafia. Sono stati assegnati pochi beni: tra questi non pochi hanno lasciato perplessi, come nel caso di Podgora”, attacca.

GRATTACAPI – Masini cita anche due vecchie vicende che causarono qualche imbarazzo al sindaco Alemanno: come la “cena elettorale” al cafè de Paris (a sua volta un’azienda poi confiscata al clan Alvaro), organizzata dall’amico Franco Morelli – poi scaricato dal sindaco – consigliere regionale calabrese del Pdl,  nell’aprile 2008. C’erano 300 persone, ma tra queste anche l’esponente della ‘ndrangheta Giulio Lampada. Sia Lampada che Morelli sono poi finiti in manette, mentre Alemanno fu chiamato a testimoniare dai giudici di Milano, ai quali spiegò si fosse trattato di un incontro come tanti altri, per cercare voti. Il gip Giuseppe Gennari, nell’ordinanza di custodia cautelare, sottolineò come l’attuale sindaco di Roma “non avesse idea di chi fossero in realtà i Lampada”. Ma era una questione comunque ininfluente, in quanto “il gruppo mafioso riusciva comunque ad accedere determinate relazioni personali di favori”, si legge. Morelli è stato condannato a 8 anni e 4 mesi per concorso esterno, lo scorso 4 febbraio, mentre a 16 anni è stato condannato Giulio Lampada. Alemanno fu anche accusato per essersi avvalso come consulente di Giorgio Magliocca, esponente del Pdl (ex An) ed ex sindaco di Pignataro Maggiore (in provincia di Caserta). Arrestato e accusato di concorso esterno e omissione di atti d’ufficio con l’aggravante camorristica, Magliocca è stato prosciolto dalle accuse di aver favorito i boss delle famiglie camorristiche Lubrano e Ligato dal Gup di Napoli, nel 2012, con rito abbreviato. Escluso dalle liste del Pdl perché ritenuto tra gli “impresentabili” – Magliocca si è difeso parlando di problemi tecnici sulla documentazione, ndr – , l’ex consulente di Alemanno è però atteso dal verdetto di Appello, dato che il giudice Giovanni Conzo ha fatto ricorso contro la sentenza di primo grado. Il processo è ripartito a fine marzo: secondo il giornalista Enzo Palmesano, che si è dichiarato parte civile, il giudizio potrebbe essere ribaltato:
 “Ci sono tutte le condizioni – ha aggiunto Enzo Palmesano – perché la sentenza di primo grado venga ribaltata dalla Corte d’Appello. Non vi sono lacune nella complessa e completa prospettazione accusatoria della Direzione distrettuale antimafia; granitiche le prove a carico di Giorgio Magliocca”
Ma di cosa si occupava a Roma Giorgio Magliocca? Proprio di beni confiscati, essendo stato chiamato come “esperto di mafia” da Alemanno, prima che esplodesse il caso.

 IMMOBILISMO E SEGNALI PREOCCUPANTI- Per Masini, in generale, c’è stato un immobilismo della amministrazione comunale di centrodestra nelle politiche antimafia: “Ho scritto anche al Prefetto per sollecitare la discussione della delibera, ma non è stata mandata nemmeno nelle commissioni”, rivela. A poche settimane dalle elezioni, ricorda come, nonostante non fosse stata discussa la delibera, la giunta avesse previsto un regolamento definito “dignitoso”: “Una delibera del Dipartimento patrimonio del Comune di Roma che tentava di regolamentare in modo più trasparente la questione dei beni confiscati. Peccato che è rimasta soltanto un’intenzione, dato che è passata in giunta, ma non c’è mai stato il passaggio definitivo in Consiglio comunale”, ha rivelato. Nulla da fare, quindi, per le attese nuove regole. “E’ stato uno specchietto per le allodole, per far uscire qualche articolo con scritto che Alemanno combatteva la mafia: ma alla fine non è cambiato nulla”, attacca ancora Masini, spiegando come il sindaco “abbia avuto rapporti non troppo limpidi con parecchi personaggi romani”. Un giudizio pesante: “A volte c’è venuto il sospetto che ci fosse una regia dietro il tentativo di non lavorare in una certa riedizione”. Come nella mancata volontà di aderire ad Avviso pubblico: “Cosa che hanno fatto ben 380 comuni italiani e altri enti, compresa la stessa provincia di Roma”, spiega.  Un’adesione che precisa, costa 1500 euro. Una banalità per le casse comunali. Ma non solo: Alemanno si è anche rifiutato di seguire l’esempio di Pisapia a Milano, che sta organizzando corsi per dirigenti sulla lotta alla malavita: “Spesso dietro il cambio di una destinazione d’uso o dietro le ristrutturazioni si nasconde la malavita. E non dimentichiamo come l’amministrazione si sia espressa in modo contrario sulle nostre delibere e atti su sale giochi e compro oro”, aggiunge.

 FUTURO – Sui problemi dell’assegnazione dei beni confiscati, spesso vuoti, inutilizzati o non assegnati, spiega: “Bisogna lavorare insieme all’Agenzia nazionale, perché manca un iter certo. E rifiutare l’idea ventilata in passato da Berlusconi per cui i locali possano essere messi in vendita, per evitare che tornino nelle mani della malavita”. Nell’ultima legge di Stabilità del governo Monti è stata prevista, invece, la possibilità di vendere beni mobili sequestrati dallo Stato alle organizzazioni criminali, se se gli stessi non possono essere amministrati senza pericolo di deterioramento o con rilevante dispendio economico. “C’è un mondo associativo che ci chiede di fare in fretta e assegnare i beni in modo trasparente, anche Amnesty cerca una sede”, spiega Masini, aggiungendo come altri possano essere dati per emergenze abitative. E voltare pagina rispetto all’esperienza della giunta Alemanno.
(Fonte)


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