Proiettili all'uranio, 6 riminesi tra i malati
L'inchiesta del sostituto procuratore Ercolani dopo la morte del maresciallo Mancuso in missione a Nassirya
Proiettili all'uranio impoverito, la Procura della Repubblica di
Rimini ha citato, come persona informata sui fatti, l’ex pilota Domenico
Leggiero, esponente dell’Osservatorio militare. Leggiero è stato
ascoltato ieri mattina a Rimini, dal sostituto procuratore Davide
Ercolani che ha aperto un fascicolo d'inchiesta per omicidio colposo
(articolo 589 del codice penale) e l’articolo 117 del codice penale
militare di pace nel quale si ipotizza l’omessa esecuzione di un
incarico.
Il fascicolo aperto da Ercolani, è la prima indagine penale in
Italia sulla questione dei proiettili all'uranio impoverito, usati in
Bosnia, Iraq e Kossovo. Inizialmente fascicolo conoscitivo è diventato a
carico di ignoti, in seguito alla denuncia dei familiari del
maresciallo dei carabinieri, Giovanni Mancuso, morto nel 2010, che
partecipò ad una missione a Nassirya. Ieri Leggiero ha consegnato alla
Procura di Rimini documentazione informatica, una banca dati con i nomi
dei 70mila militari italiani impegnati in missioni all'estero, le
circolari interne del ministero della Difesa tra il 1999 e il 2000 a
proposito dei rischi dell'uranio impoverito e le comunicazioni Nato
sull'argomento. Ora al sostituto procuratore Davide Ercolani il compito
di spulciare il lungo elenco di nomi alla ricerca dei soldati riminesi,
residenti in Provincia o in servizio presso i carabinieri o l'esercito a
Rimini, che si sono ammalati dopo una missione di pace.
Tra quei 70mila
vi sarebbero già sei militari riminesi che hanno avuto problemi di
salute, compatibili con le patologie già riscontrate in altri casi
riconducibili all'uso di proiettili all'uranio. Il primo passo sarà
quello di rintracciare questi militari riminesi, di nascita o di
adozione, per valutarne le condizioni di salute. Se sono ancora vivi.
Punto fondamentale è l'acquisizione delle cartelle cliniche che Ercolani
ha già ordinato sia dei militari dell’esercito che quelli dei
carabinieri che hanno preso parte alle missioni e che potrebbero essere
venuti a contatto con l'uranio. L’uranio impoverito ha già prodotto in
tutta Italia la morte di 305 militari. Ma i malati sono almeno 3500.
La
lista, quella consegnata a Leggiero dal Ministero della Difesa e ora
anche in possesso della Procura di Rimini è ferma al 2007. Non si
esclude quindi che “la lista dell’uranio” possa allungarsi. Per far luce
su una delle questioni militari, in tempo di “pace”, più spinose per la
nostra Difesa serve la collaborazione delle famiglie e dei militari che
hanno subito danni. E che pagano con la vita. E’ un appello che
Leggiero non si stanca mai di fare, da quando da anni oramai, segue
questa terribile scia di morte. Leggiero ai militari dice: “Non abbiate
paura di parlare a prescindere dalle norme sul linguaggio da adottare.
Sarete più tutelati che dal silenzio imposto”.
E proprio in questi
giorni, il Tar di Salerno ha condannato il ministero della Difesa
riconoscendo il nesso di causalità con l’uranio impoverito e la malattia
di un militare. Sentenza che apre uno spiraglio per veder riconosciute
come cause di servizio, anche le morti o le malattie dovute ai
proiettili all’uranio.
(Fonte)
URANIO IMPOVERITO, CONDANNATO MINISTERO DELLA DIFESA
Il Tribunale ha accettato il ricorso di un soldato nei confronti del
Ministero della Difesa ritenendo fondata la mancata applicazione delle
norme necessarie a garantire la salvaguardia della salute dei militari.
“Una sentenza molto ben articolata” – ha commentato a Justice Tv il
legale del ricorrente, l’avvocato Angelo Fiore Tartaglia – “perché il
collegio dà atto anche di errori concettuali che ha posto in essere
l’Amministrazione sul caso di questo militare. Il TAR Salerno riconosce
che il ricorrente ha provato il nesso di causalità con l’uranio
impoverito e le nano particelle dei metalli pesanti quindi l’effetto
dell’esplosione delle armi all’uranio impoverito”.
La sentenza racconta
la storia di un sottoufficiale dell’Esercito Italiano presente in
teatri di guerra in cui si è usato armi con uranio impoverito e di una
causa di servizio per il riconoscimento dei “benefici previsti per le
vittime della criminalità organizzata e del terrorismo” intentata nel
2008 e respinta il 23 luglio 2009 con parere negativo del Comitato di
verifica per le Cause di servizio, ritenendo indimostrato il rapporto di
causalità fra missioni e malattia. Nessuna certezza e, allo stesso
tempo, impossibilità di escludere un nesso causale arrivano invece dalla
recente relazione conclusiva della Commissione d’inchiesta del Senato,
guidata da Rosario Costa (Pdl), sull’esposizione a possibili fattori
patogeni, con particolare riferimento all’uso dell’uranio impoverito.
“La Commissione – ha proseguito l’avvocato Tartaglia – non prende
posizione sulle tesi scientifiche assolutamente prevalenti circa la
pericolosità dell’uranio impoverito. La stessa Organizzazione Mondiale
della Sanità, il massimo organo sanitario a livello mondiale, parla di
questa pericolosità, sia chimica che radioattiva”. Alla luce di quanto
detto, può dirsi lecito il ricorso a questo tipo di armi? “L’Onu,
proprio su spinta di politici italiani, – ha risposto il legale – ha
votato la messa al bando di questi armamenti.
Solo che non sono stati
ancora stati catalogati come armi di sterminio di massa e quindi ad oggi
non è stata formalizzata l’illiceità del loro utilizzo”. I militari
italiani hanno mai usato armi con uranio impoverito? “Non vi è prova che
i militari italiani abbiano mai utilizzato queste armi – ha concluso
l’avvocato Tartaglia – Vi è la prova che nei luoghi dove hanno prestato
servizio, come la Bosnia e il Kosovo, è stato usato in modo massiccio
questo tipo di armamenti. Quello che è certo è che non erano stati
informati dei rischi di trovarsi in ambienti altamente inquinati né sono
state adottate misure di sicurezza. Non mi risulta che questo venga
fatto nemmeno oggi”.
(Fonte)
Falco Accame (ANAVAF) risponde a Di Paola sull’Uranio Impoverito
In primo luogo mi auguro che non sia vero quanto afferma il Ministro nell’articolo “Forze Armate non usano uranio impoverito”
(Esercito Italiano – il Blog) circa il fatto che “l’Italia non ha mai
usato armi all’uranio impoverito”, perché ciò significherebbe che i
carri armati da noi prodotti non sono stati testati per quanto riguarda
la resistenza all’impatto nei riguardi delle armi all’uranio impoverito
da cui possono venir colpiti. E ciò è assolutamente deprecabile per
quanto riguarda la sicurezza del personale che opera all’interno dei
carri armati. A tale personale si deve infatti assicurare la massima
possibile protezione. Tale protezione può essere assicurata da
rivestimenti (come corazzature e blindature) all’uranio impoverito.
Speriamo quindi che il Ministro rettifichi questa versione dei fatti,
anche perché desterebbe preoccupazione per la sicurezza del personale.
In secondo luogo è importante conoscere l’efficacia delle
misure di protezione personali (maschere, filtri, ecc.) nei riguardi
della difesa dalle radiazioni e dal particolato dell’uranio impoverito e
dei metalli pesanti (nanoparticelle e microparticelle), sempre al fine
di assicurare la massima protezione possibile al personale (vi sono ad
esempio forti perplessità sull’efficienza dei filtri. Tra l’altro una domanda spesso rivolta in passato che non ha mai trovato una risposta).
In terzo luogo il nostro personale non è esposto solo al fuoco delle PROPRIE armi che può presentare dei rischi (vedi ad esempio i missili anticarro Milan impiegati dal nostro personale – nei poligoni e nelle missioni all’estero) che causano emanazione di torio dai sistemi di guida.
Il nostro personale può trovarsi esposto a FUOCO AMICO, ad esempio al fuoco degli alleati Usa che già dall’epoca della Somalia (dove era presente il nostro personale) hanno impiegato i carri armati Abrams che sono dotati di armamento all’UI e hanno adottato dal 1993 rigorosissime misure di protezione, nonché continui e stringenti controlli sanitari.
In terzo luogo il nostro personale non è esposto solo al fuoco delle PROPRIE armi che può presentare dei rischi (vedi ad esempio i missili anticarro Milan impiegati dal nostro personale – nei poligoni e nelle missioni all’estero) che causano emanazione di torio dai sistemi di guida.
Il nostro personale può trovarsi esposto a FUOCO AMICO, ad esempio al fuoco degli alleati Usa che già dall’epoca della Somalia (dove era presente il nostro personale) hanno impiegato i carri armati Abrams che sono dotati di armamento all’UI e hanno adottato dal 1993 rigorosissime misure di protezione, nonché continui e stringenti controlli sanitari.
Il nostro personale è stato esposto a FUOCO AMICO già dalla missione in Somalia, e successivamente in Bosnia dove sono stati lanciati 10800 proiettili all’U.I. e in Kosovo 31000 proiettili (a parte i missili da crociera). Il nostro personale è stato esposto ai rischi conseguenti, per di più, per il fatto che non era dotato delle necessarie misure di protezione personali che, invece, i reparti degli Stati Uniti avevano adottato già dal 1993.
In quarto luogo nei poligoni ad utilizzo internazionale (vedi ad esempio Salto di Quirra, Teulada, Nettuno, Dandolo) non possiamo avere la certezza che non vengano utilizzate armi all’U.I. anche perché gli stranieri che impiegano il poligono possono avvalersi di una semplice AUTOCERTIFICAZIONE (che quindi non implica ulteriori verifiche).
Inoltre non abbiamo potuto disporre in passato di strumenti per rilevare le radiazioni (deboli). Infatti, ad esempio in Bosnia, dove sono stati lanciati oltre 10 mila proiettili impoverito, non ci siamo accorti della presenza dell’uranio perché lo strumento utilizzato (Intensimetro RA 141 non era sufficientemente sensibile per rilevare le radiazioni (striscia esplorata: 10 cm!). E’ mancata quindi nei nostri poligoni la possibilità di rilevare la presenza di eventuali radiazioni.
Inoltre noi concediamo agli utilizzatori stranieri la possibilità di effettuare loro stessi le “bonifiche” e quindi se restano sul terreno dei proiettili inesplosi, vengono recuperati dai detti enti stranieri in queste “bonifiche” e noi non abbiamo la possibilità di ulteriori controlli.
Infine non abbiamo mai emanato alcun “bando internazionale” di specifico divieto dell’impiego di armi all’uranio impoverito, precludendoci così la possibilità di intervenire, anche in sede internazionale con adeguate sanzioni in caso di violazione del bando.
(Fonte)
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