sabato 16 febbraio 2013

I CAMPIONI SIAMO NOI

Quando l’Italia esporta tangenti

Non solo santi, poeti e navigatori: il Bel Paese si fa conoscere in tutto il mondo anche per la corruzione internazionale. Finmeccanica l'ultimo di una lunga serie di casi 

 

Quello della corruzione è un vecchio vizio italiano. Così radicato nel tessuto economico-sociale del Paese che le tangenti vengono spesso utilizzate come escamotage delle aziende controllate (e non) dallo Stato per concludere affari all’Estero. Lo dimostrano diverse inchieste condotte dalla magistratura italiana negli ultimi anni: oltre alla moda e al buon cibo, l’Italia esporta le mazzette per ottenere commesse per la produzione di beni e trattamenti di favore nello sfruttamento di risorse naturali.


SOLDI PER GLI APPALTI IN QATAR – Il recente arresto dell’amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi, accusato dalla procura di Milano di corruzione internazionale è, dunque, solo l’ultimo caso di manager colto con le mani nel sacco mentre tenta di battere la concorrenza straniera, bypassano le normali regole dell’economia e – forse, lo decideranno i processi – anche le norme del codice penale. Nel lontano 2003, ad esempio, la procura di Milano aprì un’inchiesta su fondi neri dell’Enelpower che sarebbero stati accumulati per vincere appalti di centrali termoelettriche in Omam, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Le indagini dei pm scoprirono tangenti del 2,5% dell’importo dei lavori mascherate con consulenze da 25 milioni di euro per la realizzazione di una centrale da 370 milioni a Jebel, una da 189 a Barka e una da 446 a Ras Laffen. Nel registro degli indagati finirono sia l’ex ad che il direttore amministrativo della società controllata da Enel.

FIFTY-FIFTY CON GLI STRANIERI - Un anno dopo toccò ad Enipower (controllata al 100% da Eni) occupare le pagine della cronaca giudiziaria per un caso di corruzione internazionale. Il manager Lorenzino Marzocchi confessò di aver intascato tangenti per truccare gli appalti per nuove centrali elettriche, mazzette che sarebbero state poi gestite da alcuni riciclatori. L’inchiesta era partita nel 2003, dal precedente caso Enelpower, da una tangente di 436 mila euro versata dalla multinazionale americana Alstom-power per rifornire una centrale in Sardegna. Uno dei collettori dell’operazione ammise di aver fatto arrivare denaro ai dirigenti corrotti di Enelpower attraverso conti off-shore e un vorticoso giro attraverso società estere. Le mazzette sarebbero servite per ottenere appalti in Omam, Qatar ed Emirati Arabi. Nel caso Enipower, stesso intermediario, i magistrati scoprirono un’altra tangente, di 400mila euro, in arrivo dall’estero, dalla multinazionale Abb. Anche in questo caso la mazzetta sarebbe servita per ottenere appalti e scarsi controlli sui lavori.

REGALI A SADDAM – L’Italia ha fatto affari illeciti anche con l’Iraq, ai tempi dell’embargo del paese di Saddam Hussein e del piano umanitario umanitario dell’Onu che ha consentito dal 1996 al 2003 di vendere greggio all’estero per 67 miliardi di dollari. Marco Mazarino De Petro, amico del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, nel 2005 è finito dotto inchiesta della procura di Milano (filone italiano di una vicenda ben più ampia) per corruzione internazionale per aver pagato tangenti al regime (900mila euro, più 700mila rimasti in Occidente su depositi off shore) in cambio di fornitura provilegiata di petrolio. Il piano Oil for food aveva previsto che gli incassi della vendita di petrolio sarebbero stati gestiti solo ed esclusivamente dai funzionari Onu e che Saddam non avrebbe toccato un soldo di quei proventi. Ma gli aggiuntivi introiti illeciti consentivano al regime di finanziare la sua guerriglia e di ottenere appoggio contro l’embargo imposto dalle Nazioni Unite. Le imprese italiane coinvolte furono Cogep ed Nrg Oil.

MAZZETTE PER IL GAS NIGERIANO – Eni è ritornata nel ciclone per corruzione internazionale nel 2009, con l’accusa di aver pagato tangenti sugli appalti del gas in Nigeria. Snamprogetti (oggi Saipem), insieme agli altri componenti del consorzio internazionale Tskj, l’americana Kbr, la giapponese Igc, la francese Technip, tra il 1994 e il 2004 avrebbe pagato mazzette per 182 milioni di dollari a politici e burocrati nigeriani in cambio di appalti per la costruzione di sei impianti di estrazione stoccaggio del gas liquefatto a Bonny island, zona già al centro del conflitto tra forze governative e guerriglieri. Il consorzio smistava denaro ai politici nigeriani attraverso società di comodo presenti nel paradiso fiscale di Madeira. I versamenti avvenivan su conti svizzeri o monegaschi dei destinatari delle tangenti. Avrebbero beneficiato delle mazzette un minitro del petrolio e almeno ptre presidenti nigeriani. Al di là delle responsabilità del consorzio, i magistrati di Milano hanno accusato Saipem e Snamprogetti di aver creato fondi neri allo scopo esclusivo di pagare provvigioni a intermediari esteri. L’inchiesta è poi sfociata, per l’Eni, in transazioni da 365 e 20 milioni, rispettivamente verso dipartimento usa della Giustizia e Nigeria, e in un processo a 5 manager.

AFFARI IN IRAQ E KUWAIT… – Nel 2011 l’Eni (26% alla Casse Depositi e Prestiti, controllata al 70% dal Ministero dell’Economia) finisce ancora nel ciclone per corruzione internazionale (indagata come persona giuridica) con l’accusa di aver intascato miliardi di dollari per offrire appalti in Iraq e Kuwait. Grandi imprese italiane dell’ingegneristica e delle costruzioni avrebbero pagato mazzette estero su estero ai manager del cane a sei zampe per ottenere lavori nella realizzazione del giacimento di petrolio iracheno di Zubair, vicino a Bassora, uno dei più grandi al mondo, e di quello di Jurassic Field, nel nord del Kuwait. L’inchiesta ha richiesto perquisizioni in Svizzera, Gran Bretagna e Israele. Nel registro degli indagati sono finiti vicepresidente Saipem e responsabile dei lavori in Iraq. A novembre dello stesso anno i sospetti di corruzione internazionale centrano anche l’ex presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera, indagato dalla procura di Milano per 26 milioni di euro pagati come consulenze nel periodo 2002-2006 al mediatore brasiliano Naji Nahas e messi in contabilità in un conto denominato “del Presidente”. Poi ancora Eni. Lo scorso anno l’inchiesta sullo sfruttamento dei giacimenti in Iraq e Kuwait si estende ai lavori in Kazakhstan. Secondo la procura di Milano le tangenti avrebbero caratterizzato la prima fase dell’investimento (fino al 2007). Con 20 milioni di euro sarebbero stati corrotti il genero del presidente della Repubblica, Nursultan Nazarbayev, e Timur Kulibayev, già presidente dell’ente petrolifero statale e del fondo sovrano di Astana.

…E IN INDIA, BRASILE, PANAMA E ALGERIA – Passa il tempo e gli scandali si intensificano sempre di più. Nell’estate dello stesso anno l’ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi (arrestato due giorni fa) viene indagato dalla procura di Napoli per corruzione internazionale e riciclaggio per la vendita di 12 elicotteri Agusta Westland al governo indiano. Secondo l’accusa per aggiudicarsi la commessa internazionale sarebbero state versate tangenti all’autorità di Nuova Delhi ed elargiti finanziamenti ai partiti politici italiani, in particolare alla Lega Nord. Nell’ottobre 2012 tocca poi ad un rappresentante delle istituzioni, Claudio Scajola. L’allora ministro dello Sviluppo Economico viene iscritto nel registro degli indagati per corruzione internazionale per una presunta tangente di 550 milioni in una trattativa di Finmeccanica con il Brasile. Scajola viene pure accusato di un tentativo di mediazione nell’affare di forniture effettuate dalle aziende Finmeccanica Agusta Westland, Selex e Telespazio al governo di Panama nell’ambito di accordi stipulati con lo Stato italiano. Gli accordi sarebbero avvenuti attraverso una società panamense, poi destinataria di compensi di intermediazione. E’ della settimana scorsa, infine, la notizia dell’indagine a carico dell’ad Eni Paolo Scaroni, accusati di corruzione internazionale per una maxi tangente Saipem da 197 milioni di euro in Algeria. Secondo gli inquirenti l’obiettivo della mazzetta era l’ottenimento di una nuova commesssa nel paese nordafricano per aumentare la redditività del giacimento di Menzel. 
(Fonte)
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