Quando l’Italia esporta tangenti
Non solo santi, poeti e navigatori: il Bel Paese si fa conoscere in tutto il mondo anche per la corruzione internazionale. Finmeccanica l'ultimo di una lunga serie di casi
Quello della corruzione è un vecchio vizio italiano. Così radicato nel tessuto economico-sociale del Paese che le tangenti
vengono spesso utilizzate come escamotage delle aziende controllate (e
non) dallo Stato per concludere affari all’Estero. Lo dimostrano diverse
inchieste condotte dalla magistratura italiana negli ultimi anni: oltre
alla moda e al buon cibo, l’Italia esporta le mazzette per ottenere commesse per la produzione di beni e trattamenti di favore nello sfruttamento di risorse naturali.
SOLDI PER GLI APPALTI IN QATAR – Il recente arresto
dell’amministratore delegato di Finmeccanica Giuseppe Orsi, accusato
dalla procura di Milano di corruzione internazionale è, dunque, solo
l’ultimo caso di manager colto con le mani nel sacco mentre tenta di
battere la concorrenza straniera, bypassano le normali regole
dell’economia e – forse, lo decideranno i processi – anche le norme del
codice penale. Nel lontano 2003, ad esempio, la procura di Milano aprì
un’inchiesta su fondi neri dell’Enelpower che sarebbero stati accumulati per vincere appalti di centrali termoelettriche in Omam, Qatar ed Emirati Arabi Uniti.
Le indagini dei pm scoprirono tangenti del 2,5% dell’importo dei lavori
mascherate con consulenze da 25 milioni di euro per la realizzazione di
una centrale da 370 milioni a Jebel, una da 189 a Barka e una da 446 a
Ras Laffen. Nel registro degli indagati finirono sia l’ex ad che il
direttore amministrativo della società controllata da Enel.
FIFTY-FIFTY CON GLI STRANIERI - Un anno dopo toccò ad Enipower
(controllata al 100% da Eni) occupare le pagine della cronaca
giudiziaria per un caso di corruzione internazionale. Il manager
Lorenzino Marzocchi confessò di aver intascato tangenti per truccare gli
appalti per nuove centrali elettriche, mazzette che sarebbero state poi
gestite da alcuni riciclatori. L’inchiesta era partita nel 2003, dal
precedente caso Enelpower, da una tangente di 436 mila euro versata
dalla multinazionale americana Alstom-power per rifornire una centrale
in Sardegna. Uno dei collettori dell’operazione ammise di aver fatto
arrivare denaro ai dirigenti corrotti di Enelpower attraverso conti
off-shore e un vorticoso giro attraverso società estere. Le mazzette
sarebbero servite per ottenere appalti in Omam, Qatar ed Emirati Arabi.
Nel caso Enipower, stesso intermediario, i magistrati scoprirono
un’altra tangente, di 400mila euro, in arrivo dall’estero, dalla
multinazionale Abb. Anche in questo caso la mazzetta sarebbe servita per
ottenere appalti e scarsi controlli sui lavori.
REGALI A SADDAM – L’Italia ha fatto affari illeciti anche con l’Iraq,
ai tempi dell’embargo del paese di Saddam Hussein e del piano
umanitario umanitario dell’Onu che ha consentito dal 1996 al 2003 di
vendere greggio all’estero per 67 miliardi di dollari. Marco Mazarino De
Petro, amico del presidente della Lombardia Roberto Formigoni, nel 2005
è finito dotto inchiesta della procura di Milano (filone italiano di
una vicenda ben più ampia) per corruzione internazionale per aver pagato
tangenti al regime (900mila euro, più 700mila rimasti in Occidente su
depositi off shore) in cambio di fornitura provilegiata di petrolio. Il
piano Oil for food aveva previsto che gli incassi della vendita di
petrolio sarebbero stati gestiti solo ed esclusivamente dai funzionari
Onu e che Saddam non avrebbe toccato un soldo di quei proventi. Ma gli
aggiuntivi introiti illeciti consentivano al regime di finanziare la sua
guerriglia e di ottenere appoggio contro l’embargo imposto dalle
Nazioni Unite. Le imprese italiane coinvolte furono Cogep ed Nrg Oil.
MAZZETTE PER IL GAS NIGERIANO – Eni è ritornata nel
ciclone per corruzione internazionale nel 2009, con l’accusa di aver
pagato tangenti sugli appalti del gas in Nigeria. Snamprogetti
(oggi Saipem), insieme agli altri componenti del consorzio
internazionale Tskj, l’americana Kbr, la giapponese Igc, la francese
Technip, tra il 1994 e il 2004 avrebbe pagato mazzette per 182 milioni
di dollari a politici e burocrati nigeriani in cambio di appalti per la
costruzione di sei impianti di estrazione stoccaggio del gas liquefatto a
Bonny island, zona già al centro del conflitto tra forze governative e
guerriglieri. Il consorzio smistava denaro ai politici nigeriani
attraverso società di comodo presenti nel paradiso fiscale di Madeira. I
versamenti avvenivan su conti svizzeri o monegaschi dei destinatari
delle tangenti. Avrebbero beneficiato delle mazzette un minitro del
petrolio e almeno ptre presidenti nigeriani. Al di là delle
responsabilità del consorzio, i magistrati di Milano hanno accusato
Saipem e Snamprogetti di aver creato fondi neri allo scopo esclusivo di
pagare provvigioni a intermediari esteri. L’inchiesta è poi sfociata,
per l’Eni, in transazioni da 365 e 20 milioni, rispettivamente verso
dipartimento usa della Giustizia e Nigeria, e in un processo a 5
manager.
AFFARI IN IRAQ E KUWAIT… – Nel 2011 l’Eni
(26% alla Casse Depositi e Prestiti, controllata al 70% dal Ministero
dell’Economia) finisce ancora nel ciclone per corruzione internazionale
(indagata come persona giuridica) con l’accusa di aver intascato
miliardi di dollari per offrire appalti in Iraq e Kuwait.
Grandi imprese italiane dell’ingegneristica e delle costruzioni
avrebbero pagato mazzette estero su estero ai manager del cane a sei
zampe per ottenere lavori nella realizzazione del giacimento di petrolio
iracheno di Zubair, vicino a Bassora, uno dei più grandi al mondo, e di
quello di Jurassic Field, nel nord del Kuwait. L’inchiesta ha richiesto
perquisizioni in Svizzera, Gran Bretagna e Israele. Nel registro degli
indagati sono finiti vicepresidente Saipem e responsabile dei lavori in
Iraq. A novembre dello stesso anno i sospetti di corruzione
internazionale centrano anche l’ex presidente di Telecom Marco Tronchetti Provera,
indagato dalla procura di Milano per 26 milioni di euro pagati come
consulenze nel periodo 2002-2006 al mediatore brasiliano Naji Nahas e
messi in contabilità in un conto denominato “del Presidente”. Poi ancora
Eni. Lo scorso anno l’inchiesta sullo sfruttamento dei giacimenti in Iraq e Kuwait si estende ai lavori in Kazakhstan.
Secondo la procura di Milano le tangenti avrebbero caratterizzato la
prima fase dell’investimento (fino al 2007). Con 20 milioni di euro
sarebbero stati corrotti il genero del presidente della Repubblica,
Nursultan Nazarbayev, e Timur Kulibayev, già presidente dell’ente
petrolifero statale e del fondo sovrano di Astana.
…E IN INDIA, BRASILE, PANAMA E ALGERIA – Passa il tempo e gli scandali si intensificano sempre di più. Nell’estate dello stesso anno l’ad di Finmeccanica Giuseppe Orsi
(arrestato due giorni fa) viene indagato dalla procura di Napoli per
corruzione internazionale e riciclaggio per la vendita di 12 elicotteri
Agusta Westland al governo indiano. Secondo l’accusa
per aggiudicarsi la commessa internazionale sarebbero state versate
tangenti all’autorità di Nuova Delhi ed elargiti finanziamenti ai
partiti politici italiani, in particolare alla Lega Nord. Nell’ottobre
2012 tocca poi ad un rappresentante delle istituzioni, Claudio Scajola.
L’allora ministro dello Sviluppo Economico viene iscritto nel registro
degli indagati per corruzione internazionale per una presunta tangente
di 550 milioni in una trattativa di Finmeccanica con il Brasile.
Scajola viene pure accusato di un tentativo di mediazione nell’affare
di forniture effettuate dalle aziende Finmeccanica Agusta Westland,
Selex e Telespazio al governo di Panama nell’ambito di
accordi stipulati con lo Stato italiano. Gli accordi sarebbero avvenuti
attraverso una società panamense, poi destinataria di compensi di
intermediazione. E’ della settimana scorsa, infine, la notizia
dell’indagine a carico dell’ad Eni Paolo Scaroni, accusati di corruzione internazionale per una maxi tangente Saipem da 197 milioni di euro in Algeria.
Secondo gli inquirenti l’obiettivo della mazzetta era l’ottenimento di
una nuova commesssa nel paese nordafricano per aumentare la redditività
del giacimento di Menzel.
(Fonte)
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