A volte ci si chiede come può uno stato fare
fallimento, ma le risposte che si ottengono sono sostanzialmente due:
chi dice che è impossibile e chi sostiene il contrario. Diciamo che è
possibile quanto impossibile, ovvero uno stato che viene definito
fallito non riesce pagare più i propri dipendenti, gli appalti e gli
introiti che riceve non sono sufficiente a ripianare il debito delle spese correnti.
Tralasciamo gli interessi sul debito, in Italia
abbiamo alcuni casi che sono sintomi di un fallimento imminente: 80
miliardi di euro che lo stato deve restituire a imprese e privati
[alcuni politici hanno avuto a cuore questo problema ed hanno proposto
di finanziare la restituzione parziale di 50 miliardi in 5 anni
emettendo obbligazioni che gli italiani andrebbero a acquistare. Che
genialata!). Nella realtà nessuno è in grado di dare una risposta del
genere. considerando poi che abbiamo un bubbone che ogni anno si
ingigantisce pari al patto di stabilità (MES)
che prevede un esborso statale di 40 miliardi all’anno, se tutto va
bene, poiché sappiamo che in Italia quando si prevede una spesa l’anno
successivo è quasi raddoppiata.
A queste due piccoli problemi aggiungiamo la spesa
pubblica di circa 800 miliardi che sono il 46,7% del PIL ed è
rappresentata per quasi il 93% da stipendi dei dipendenti pubblici e dei
servizi. (fonte: CGIA Mestre).
Solo con un conto stupidissimo capiamo che una spesa annua di 890
miliardi è alla lunga insostenibile, poiché gli introiti basati sulle
imposte dirette ed indirette non coprono certamente quanto lo stato
(questo stato) spende. I nostri passati governi hanno sempre attuato una
politica finanziari impositiva aumentando la tassazione fino a valore
unici nel mondo: 70%! In queste condizioni, note a tutti, appare
evidente che nessuna impresa è in grado di poter lavorare con la
tranquillità che serve.
Solo nel Veneto almeno 700 aziende sono delocalizzate
in Carinzia dove la tassazione non supera il 25% e la burocrazia è
praticamente assente. Hanno ragione? Direi di sì considerando la giungla
di leggi, regolamenti e imposizioni che sono per lo più vessatorie
contro quelle aziende che nel territorio hanno invece contribuito per
anni al benessere della comunità.
A tutto questo che è molto poco rispetto a quello che
si legge e che c’è nella realtà, abbiamo la ciliegina sulla torta.
Infatti “è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
Italiana del 18 dicembre 2012 il decreto del Ministro dell’Economia e
delle Finanze del 7 dicembre 2012, con il quale è stabilito che, a
partire dal 1° gennaio 2013 (G.U. n. 294 del 18/12/12), le nuove
emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno
saranno soggette alle clausole di azione collettiva (CACs)”
e tutto questo passato in totale silenzio dei media più blasonati, ma
era più importante parlare delle puttanelle di Berlusconi o dell’arresto
di Corona.
Cos’è il CACs? Null’altro che uno strumento che
permette di cambiare le regole in corso d’opera per quelli che
acquisteranno le obbligazioni di stato (BTP, CCT, BOT CTZ). In sostanza è
la capacita di modificare interessi, tempi di scadenza qualora si
presentasse la situazione che rendesse necessario la modifica. Come dire
che lo stato può fallire. Ma come si legge
lo stato è buono perché questo verrebbe applicato solo al 45% delle
emissioni, ma sappiamo che iniziata una strada lo stato (questo stato)
la completerà in brevissimo tempo.
In definitiva quindi lo stato prevede il suo
fallimento perché previsto dal suddetto decreto, pertanto quando andate
in banca e vi vogliono vendere qualche strumento finanziario alzate la
soglia di attenzione e rifiutate quelle obbligazioni che siano soggette a
questo decreto, oltre ovviamente a rifiutare anche quegli strumenti che
la banca vi propone come suoi dato che in casa di fallimento della
banca NON sono coperti dalla garanzia di stato.
(Fonte)
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