Blindati di seconda mano;
divise, slip e spazzolini nuovi ma demodé. Sono i doni che l’Italia ha inviato
ai nuovi governanti libici per consolidare la partnership politico-militare tra
i due paesi. La consegna è avvenuta durante la recente visita a Tripoli del
ministro-ammiraglio Giampaolo Di Paola che ha pure avuto modo d’incontrare il primo
ministro Ali Zeidanil e il ministro della guerra gen. Mohamed Al Barghati. La
cessione delle rimanenze di magazzino è stata autorizzata dal Parlamento
italiano con la legge di conversione del ddl di fine 2012 che ha prorogato le
missioni militari italiane all’estero.
Sono stati consegni ai
libici “a titolo gratuito” innanzitutto 20 veicoli blindati da trasporto truppe
e combattimento “Puma” prodotti dal consorzio Fiat Iveco-Oto Melara e nella
disponibilità dell’esercito italiano. Dalle basi della marina militare di Taranto,
Augusta, La Spezia, Ancona e Cagliari è stata prelevata invece una certa
quantità di “effetti di vestiario in disuso”. Si tratta complessivamente di quasi
70.000 capi, tra cui 30.000 slip, 10.000 camicie kaki in manica lunga e corta, 28.000
tra pantaloni estivi e invernali, magliette intime, pigiami e cinture. Il
vestiario è stato trasportato in Libia a bordo di velivoli cargo messi a
disposizione dall’aeronautica militare. Tra i container hanno pure trovato
posto 6.000 astucci porta-saponetta, 30.000 tubetti di crema da barba, 80.000
dentifrici, 2 milioni di rasoi, 150.000 saponi, 68.000 spazzole per scarpe e
abiti e 40.000 spazzolini da denti. Solo 200 invece le “spazzole per capelli”
destinate ai combattenti della nuova repubblica libica.
Nel corso degli incontri
tenuti a Tripoli dal ministro Di Paola sono stati trattati i temi riguardanti
la “formazione di forze armate e di polizia, la cooperazione - anche
tecnologica - nelle attività di controllo dell’immigrazione clandestina, il
supporto nazionale alla ricostruzione della componente navale, la sorveglianza
e il controllo integrato delle frontiere”, come recita il comunicato emesso dal
dicastero della difesa. Si spera inoltre di aver convinto le autorità libiche a
confermare gli ordini di armi di produzione italiana fatti da Muammar Gheddafi alla
vigilia del conflitto che ha lacerato il paese nel 2011. Tra i più importanti, quello
relativo al sistema di sorveglianza radar delle coste libiche e delle frontiere
con Niger, Ciad e Sudan del costo di 300 milioni di euro prodotto da Selex
Sistemi Integrati (oggi Selex SE), gruppo Finmeccanica. Il contratto fu firmato
il 7 ottobre 2009, ma solo una prima tranche di 150 milioni è stato portato a
termine. L’azienda italiana dovrebbe provvedere alla progettazione,
all’installazione e all’integrazione del sistema e alla formazione degli
operatori e dei manutentori libici.
In lista d’attesa ci sono
inoltre pezzi di artiglieria Howitzer
di Oto Melara, componenti di ricambio per aerei addestratori Aermacchi ed
elicotteri Agusta e altro materiale bellico non specificato che una delegazione
governativa libica richiese alla Difesa italiana nel febbraio 2011 proprio
quando stava maturando internazionalmente la decisione di intervenire contro il
colonnello Gheddafi. Un mese prima era stato reso pubblico l’acquisto del 2,01%
del pacchetto azionario di Finmeccanica da parte della Libyan Investment Authority, il fondo
sovrano creato per la gestione del valore delle entrate prodotte dall’attività
petrolifera.
L’ingresso dei fondi libici nella holding armiera coronava
anni di pressing e corteggiamenti del governo Berlusconi e del management di
Finmeccanica. “Puntiamo a fare della Libia il partner ideale per la futura
crescita del nostro gruppo in Africa e Medio Oriente”, dichiarava nel luglio
2009 l’allora amministratore delegato Pier Francesco Guarguaglini.
Dopo la revoca dell’embargo
Onu nel settembre 2003, la Libia è divenuta uno dei maggiori clienti delle
industrie belliche italiane. Secondo il Sipri (l’istituto svedese di ricerche
sui temi della pace e il disarmo), nel solo biennio 2008-09 le licenze autorizzate
dal governo sono state pari al 34,5% di tutte quelle rilasciate verso la Libia in
ambito Ue, per un ammontare di 205 milioni di euro circa. Solo Agusta Westland
(Finmeccanica) ha esportato a Tripoli 10 elicotteri AW-109E “Power” per il
controllo di coste e frontiere e 20 elicotteri nella versione AW-119K “Koala” e
AW-139 per missioni mediche di emergenza e il combattimento.
Nel gennaio 2008 le forze
armate libiche comprarono da Alenia Aeronautica 9 pattugliatori marittimi Atr-42Mp
“Surveyor”. Il contratto di 31 milioni di euro ha incluso l’addestramento dei
piloti e l’installazione del sistema di controllo “Atos”, di un radar di
ricerca “Gabbiano” e di sensori elettro-ottici. Ad Alenia Aermacchi è stata assegnata
invece la revisione di 12 velivoli addestratori SF-260. Nell’ambito dell’accordo
di cooperazione per il contrasto all’immigrazione firmato a Tripoli il 29
dicembre 2007, l’Italia ha poi consegnato 6 motovedette della Guardia di
finanza dotate di sofisticati sistemi di scoperta e telecomunicazioni. Sino al
2010 l’Itas Srl di La Spezia ha invece curato il controllo e la manutenzione
dei missili a lunga gittata anti-nave “Otomat”, acquistati dai libici a fine
anni ‘70 dal consorzio italo francese Oto
Melara-Matra, poi confluito nel gruppo MBDA.
Dulcis in fundo l’export di armi leggere su cui le
aziende mantengono il massimo riserbo. La Rete
Disarmo ha denunciato che nel 2009 giunse a Tripoli una partita di fucili e
pistole di piccolo calibro di produzione Beretta, destinati ufficialmente a
Malta. I passaggi di questa triangolazione sono stati descritti dal ricercatore
Francesco Vignarca in Altreconomia. L’ordine per un valore di 79.689.691 euro ha riguardato 7.500 pistole
semi-automatiche PX4, 1.900 carabine CX4 “Storm” e 1.800 fucili a canna
liscia calibro 12 “Benelli”. “Le licenze all’esportazione furono
concesse dalle autorità governative italiane il 3 novembre del 2009 e già il 9
novembre la Beretta aveva emesso le relative fatture”, scrive Vignarca. “Il
trasporto internazionale della merce si è originato da La Spezia il 29 novembre
2009 e la nave container ha raggiunto la Libia dopo uno scalo a Malta”. Per il
pagamento fu utilizzata la Gumhouria Bank, corrispondente italiana di UBAE,
istituto in buona parte controllato dalla Libyan Foreign Bank ma con
partecipazioni di Unicredit (il 10% circa), ENI (5%) e Monte dei Paschi di
Siena (3,5%).
(Fonte)
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