Caro Presidente,
dalla sua intervista di ieri sera al “Sole 24 Ore” apprendiamo che
«in un’ampia nota scritta della Banca d’Italia, quest’ultima ha
documentato di aver esercitato fin dall’inizio con il tradizionale
rigore le funzioni di vigilanza nei limiti delle sue attribuzioni di
legge. E in effetti, la collaborazione che essa ha prestato e presta
alla magistratura inquirente è garanzia di trasparenza per
l’accertamento di tutte le responsabilità».
Dapprima questa cosa ti fa sorridere: la banca che assicura della
correttezza del proprio comportamento, che lo garantisce da sé. Ma
mentre sorridi avverti un certo fastidio, qualcosa di strano, qualcosa
di brutto. Qualcosa che ti fa subentrare al sorriso lo sconcerto. È
quell'«in effetti», che oltre ad essere improprio logicamente, lo è
anche dal punto di vista morale. La Banca d'Italia ha documentato il suo
rigore nella vigilanza «e in effetti» la collaborazione prestata alla
magistratura garantisce la trasparenza? Non ha alcun senso. La
consequenzialità è solo simulata e non è tempo di simulazioni.
Se è vero, come scritto nel Vangelo di Giovanni, che sarà la verità a
renderci liberi, negare la verità – e affermare di conoscerla nella
patente impossibilità di disporne è negarla – è asservirci.
E mi sovvengono i carri armati sovietici a Budapest, e i 2650 morti, e
le torture, e mi sovviene la repressione. Mi sovviene che lei, signor
Presidente, definì quella repressione: «un contributo alla pace del
mondo». So che oggi non ripeterebbe quelle parole, l'ha dichiarato, le
fa onore.
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