domenica 11 agosto 2013

UN GOVERNO DI ANNUNCI E DI RINVII


“Fine della recessione”. Ma i dati Istat smentiscono Saccomanni, Letta e Giovannini


letta

“La recessione è finita, credo che l’economia entrerà in ripresa, siamo a un punto di svolta”. Fabrizio Saccomanni, ministro dell’Economia. (Ex direttore generale di Bankitalia, dimessosi subito dopo la nomina a ministro).

“Nel secondo trimestre il Pil avrà ancora un segno meno, ma nel terzo e nel quarto si potrà avere un segno positivo. A quel punto potremmo dire che la recessione che ormai dura da due anni è finita”. Enrico Giovannini, ministro del Lavoro. (Ex Presidente Istat, dimessosi subito dopo la nomina a ministro).

“I segnali ci sono tutti e indicano che siamo ad un passo dal possibile, cioè dall’inversione di rotta e dall’uscita dalla crisi più drammatica e buia che le attuali generazioni abbiano mai vissuto”. Enrico Letta, presidente del Consiglio.

Dichiarazioni ottimiste, decisamente troppo ottimiste vista l’attuale situazione economica italiana. E infatti vengono prontamente smentite dai dati ufficiali Istat, Bankitalia e FMI. La luce in fondo al tunnel, in realtà, è ancora molto, molto lontana.

Nel secondo trimestre del 2013 il Pil prosegue con un calo dello 0,2% rispetto al primo trimestre e del 2% rispetto allo stesso periodo del 2012. Pil in calo costante già da 8 trimestri consecutivi,”una situazione mai verificatasi a partire dall’inizio delle serie storiche comparabili, nel primo trimestre del 1990″, evidenzia il bollettino Istat. Dati infausti, che segnalano una pesante recessione della nostra economia e che non danno speranze di ripresa a breve senza riforme strutturali.

I tre Nostradamus si sono subito difesi dichiarando che le previsioni erano “troppo pessimistiche”, risultato della stagnazione politica dei mesi successivi alle elezioni politiche. Sarà, ma per l’ennesima volta assistiamo a proclami in pompa magna ma all’orizzonte non si vedono ancora provvedimenti di peso in grado di riformare il Paese e di invertire la spirale recessiva, e dello stesso avviso è anche la Commissione europea, la quale ci fa notare che “l’Italia ha ancora più bisogno di trovare la strada per la crescita e per farlo deve mantenere il passo delle riforme economiche”.

Riforme economiche fondamentali e sostanziali, e non le solite manovre emergenziali della durata di pochi anni, che il Paese aspetta da almeno un ventennio, come quella fiscale, quella del lavoro, delle pensioni, della pubblica amministrazione, della burocrazia. Ma il mantra è sempre il solito “I soldi non ci sono, il debito non può aumentare, il patto di stabilità va rispettato”. E così andiamo avanti ad annunci e rinvii. Siamo ad agosto e ancora non si sa che destino avranno a settembre Imu e aumento Iva.

Le risorse si potrebbero trovare eccome, se ce ne fosse davvero la volontà. In Italia esiste un unico modo di reperire fondi finanziari: alzare tasse e imposte. Ma la pressione fiscale, ormai, ha raggiunto livelli insostenibili. Ora come non mai è necessario un serio taglio di spesa pubblica.

“Non si possono tagliare welfare state, sanità, scuola eccetera, eccetera, eccetera”, sono le motivazione più diffuse quando si prova a parlare di spending review. E fanno sempre effetto. Peccato che in Italia circa il 60% degli 800 miliardi di spesa pubblica totale NON riguardi il Welfare, anzi venga considerata addirittura spesa improduttiva.

Numerose sono le inchieste che rivelano l’uso sconsiderato dei fondi pubblici italiani, che non riguardano solamente i finanziamenti ai partiti, le spese della “Casta di Montecitorio”, le auto blu, esche spesso utilizzate in campagna elettorale per creare consenso nell’opinione pubblica, importanti sì, ma assolutamente demagogiche. Anche se fossero totalmente aboliti, le risorse recuperate sarebbero insufficienti a qualsiasi manovra finanziaria. Nel caso dei finanziamenti ai partiti, dati alla mano, con l’abolizione totale si andrebbero a recuperare circa 500 milioni di euro in un quinquennio. Con il taglio del 50% degli stipendi dei politici, circa 1 miliardo in 5 anni.

I provvedimenti necessari alla ripresa dell’economia, ora, sono altri. Ad esempio si potrebbero rivedere i meccanismi dei sussidi alle imprese, pubbliche e private, che ammontano a circa 40 miliardi di euro all’anno, che potrebbero andare a compensare un’abolizione almeno parziale, se non addirittura totale dell’IRAP.

Si potrebbe pensare anche ad una revisione del sistema degli ammortizzatori sociali, della cassa integrazione e dei sussidi disoccupazione, strumenti spesso abusati in barba a ogni legislazione e che soprattutto non vengono garantiti a tutti i lavoratori ma solo a una quota di eletti piuttosto bassa se comparata al totale dei dipendenti italiani, che negli ultimi 4 anni di crisi sono costati ben 80 miliardi di euro ai contribuenti. E, a scanso di equivoci, per riforma non si intende l’abolizione totale, ma una razionalizzazione delle risorse e l’implementazione di un efficiente sistema di controlli anti-frode, per esempio.

Un’altra necessaria riforma riguarda l’ipertrofica Pubblica Amministrazione, che conta più di 3,5 milioni di dipendenti, decisamente superiore alla media UE e che succhia circa il 50% del Pil italiano. Solo per fare un piccolo esempio, iniziando ad utilizzare software open source la PA potrebbe tagliare 3 miliardi di euro all’anno, senza alcuno sforzo. E tante altre sono le manovre potenziali che si potrebbero attuare, con conseguenti risparmi sia in termini finanziari, sia in termini di efficienza burocratica.

Si potrebbe iniziare da queste qui, cari Letta, Saccomanni, e Giovannini. Sia mai che cominciando davvero ad operare le doverose riforme, possiate trovare la giusta strada per rimettere in piedi il Paese e dichiarare, questa volta per davvero, la fine della recessione economica.
(Fonte)
Stampa il post

Nessun commento:

Posta un commento