domenica 3 febbraio 2013

Caro Presidente Napolitano, la verità è l’unico interesse nazionale



Caro Presidente,
dalla sua intervista di ieri sera al “Sole 24 Ore” apprendiamo che «in un’ampia nota scritta della Banca d’Italia, quest’ultima ha documentato di aver esercitato fin dall’inizio con il tradizionale rigore le funzioni di vigilanza nei limiti delle sue attribuzioni di legge. E in effetti, la collaborazione che essa ha prestato e presta alla magistratura inquirente è garanzia di trasparenza per l’accertamento di tutte le responsabilità».

Dapprima questa cosa ti fa sorridere: la banca che assicura della correttezza del proprio comportamento, che lo garantisce da sé. Ma mentre sorridi avverti un certo fastidio, qualcosa di strano, qualcosa di brutto. Qualcosa che ti fa subentrare al sorriso lo sconcerto. È quell'«in effetti», che oltre ad essere improprio logicamente, lo è anche dal punto di vista morale. La Banca d'Italia ha documentato il suo rigore nella vigilanza «e in effetti» la collaborazione prestata alla magistratura garantisce la trasparenza? Non ha alcun senso. La consequenzialità è solo simulata e non è tempo di simulazioni.


Se è vero, come scritto nel Vangelo di Giovanni, che sarà la verità a renderci liberi, negare la verità – e affermare di conoscerla nella patente impossibilità di disporne è negarla – è asservirci.

E mi sovvengono i carri armati sovietici a Budapest, e i 2650 morti, e le torture, e mi sovviene la repressione. Mi sovviene che lei, signor Presidente, definì quella repressione: «un contributo alla pace del mondo». So che oggi non ripeterebbe quelle parole, l'ha dichiarato, le fa onore.

Difficile dire altrimenti allora, lo immagino, con un Togliatti che vota per impiccare Imre Nagy chiedendo la cortesia di farlo dopo le imminenti elezioni italiane, cosa che avviene: l’importante non è quella vita, e nemmeno il rispetto della verità e della giustizia, l’importante è che non si perda un voto.

Quella era la ragion di partito. Per cortesia, signor Presidente, non ci parli in questo frangente di ragion di Stato, di interesse nazionale, come ha fatto ieri: «Ci si deve far guidare in ogni momento da quella consapevolezza dell’interesse nazionale che ho prima evocato».

La ragione è una sola e non è né del partito né dello Stato: è dell’uomo.

Non sarà la paura che i mercati finanziari percepiscano il nostro sistema bancario come instabile a farmi condividere questa bizzarra idea della verità come opportunità, che forse ci leva qualche punto di spread, ma quanti punti di moralità ci toglie? E la moralità non è una cosa vacua o futile o astratta, è il rispetto di sé, quel sé con cui devi convivere dall’alba al tramonto.

Ricorda, caro Presidente, Berlinguer? Quella vecchia storia della questione morale? «La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico». Diceva così il suo segretario di partito di allora. Segua lui, la prego, anziché Togliatti. Lo so che è più difficile, lo so. Ma è suo dovere.

I miei ossequi.
(Fonte)
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