mercoledì 20 febbraio 2013

Fallimento Italia, c’è anche un decreto che lo annuncia.



A volte ci si chiede come può uno stato fare fallimento, ma le risposte che si ottengono sono sostanzialmente due: chi dice che è impossibile e chi sostiene il contrario. Diciamo che è possibile quanto impossibile, ovvero uno stato che viene definito fallito non riesce pagare più i propri dipendenti, gli appalti e gli introiti che riceve non sono sufficiente a ripianare il debito delle spese correnti.

Tralasciamo gli interessi sul debito, in Italia abbiamo alcuni casi che sono sintomi di un fallimento imminente: 80 miliardi di euro che lo stato deve restituire a imprese e privati [alcuni politici hanno avuto a cuore questo problema ed hanno proposto di finanziare la restituzione parziale di 50 miliardi in 5 anni emettendo obbligazioni che gli italiani andrebbero a acquistare. Che genialata!). Nella realtà nessuno è in grado di dare una risposta del genere. considerando poi che abbiamo un bubbone che ogni anno si ingigantisce pari al patto di stabilità (MES) che prevede un esborso statale di 40 miliardi all’anno, se tutto va bene, poiché sappiamo che in Italia quando si prevede una spesa l’anno successivo è quasi raddoppiata.

A queste due piccoli problemi aggiungiamo la spesa pubblica di circa 800 miliardi che sono il 46,7% del PIL ed è rappresentata per quasi il 93% da stipendi dei dipendenti pubblici e dei servizi. (fonte: CGIA Mestre). Solo con un conto stupidissimo capiamo che una spesa annua di 890 miliardi è alla lunga insostenibile, poiché gli introiti basati sulle imposte dirette ed indirette non coprono certamente quanto lo stato (questo stato) spende. I nostri passati governi hanno sempre attuato una politica finanziari impositiva aumentando la tassazione fino a valore unici nel mondo: 70%! In queste condizioni, note a tutti, appare evidente che nessuna impresa è in grado di poter lavorare con la tranquillità che serve.

Solo nel Veneto almeno 700 aziende sono delocalizzate in Carinzia dove la tassazione non supera il 25% e la burocrazia è praticamente assente. Hanno ragione? Direi di sì considerando la giungla di leggi, regolamenti e imposizioni che sono per lo più vessatorie contro quelle aziende che nel territorio hanno invece contribuito per anni al benessere della comunità.

A tutto questo che è molto poco rispetto a quello che si legge e che c’è nella realtà, abbiamo la ciliegina sulla torta.  Infatti “è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 dicembre 2012 il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 7 dicembre 2012, con il quale è stabilito che, a partire dal 1° gennaio 2013 (G.U. n. 294 del 18/12/12), le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno saranno soggette alle clausole di azione collettiva (CACs)” e tutto questo passato in totale silenzio dei media più blasonati, ma era più importante parlare delle puttanelle di Berlusconi o dell’arresto di Corona.

Cos’è il CACs? Null’altro che uno strumento che permette di cambiare le regole in corso d’opera per quelli che acquisteranno le obbligazioni di stato (BTP, CCT, BOT CTZ). In sostanza è la capacita di modificare interessi, tempi di scadenza qualora si presentasse la situazione che rendesse necessario la modifica. Come dire che lo stato può fallire. Ma come si legge lo stato è buono perché questo verrebbe applicato solo al 45% delle emissioni, ma sappiamo che iniziata una strada lo stato (questo stato) la completerà in brevissimo tempo.

In definitiva quindi lo stato prevede il suo fallimento perché previsto dal suddetto decreto, pertanto quando andate in banca e vi vogliono vendere qualche strumento finanziario alzate la soglia di attenzione e rifiutate quelle obbligazioni che siano soggette a questo decreto, oltre ovviamente a rifiutare anche quegli strumenti che la banca vi propone come suoi dato che in casa di fallimento della banca NON sono coperti dalla garanzia di stato.
(Fonte)
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