martedì 3 settembre 2013

Settembre andiamo, è tempo di ingannare




Graziati dall’agosto, quelli che accendono la tv preparandosi per andare al lavoro, o a cercarlo, sono stati per buona sorte beneficati da cliniche dalla foresta nera, ispettori derrick colpevoli di non arrestare l’inarrestabile Parodi per crimini contro il palato, che imperversava in replica anche di prima mattina, o Vissani che inciuciava con cozze e caffè come il suo referente italiano europeo, o da soap nordiche ambientate in luoghi senza estate.

Ma adesso con l’avanzare dell’autunno meteorologico, sono tornati tutti: così mentre gli scaffali sono vuoti: la spiegazione ufficiale è che i reduci dalla spiaggia hanno fatto provvista, quando in realtà si allestiscono i rincari, mentre potenze che hanno nutrito un nemico, spesso a caso, di frequente complice, per legittimare una guerra, la muovono prede di dissennata voluttà di supremazia, mentre lavoratori tornano in fabbriche spogliate di tutto e trasferite altrove, mentre in scuole senza il necessario, insegnanti altrettanto espropriati e frustrati hanno di fronte i nostri figli senza futuro, mentre un intero ceto politico senza differenze briga per limitare, fino ad annullarla, la sovranità dello stato e del popolo, per cancellare partecipazione e rappresentanza in modo da curare i propri interesse senza essere disturbato, come un manovratore che non vuole ascoltare e guida ubriaco un tram diretto contro un muro, mentre in ogni famiglia c’è qualcuno che ha perso il lavoro o non l’ha mai trovato e non lo troverà, ecco che ritorna l’osceno cerimoniale della passerella di portavoce e porta-scemenze, di opinionisti imbeccati, di  decisori irresoluti anche sulla scelta della cravatta, di veline e  tronisti del padrone e aspiranti tali, tutti intenti a discettare sulle vie d’uscita dalla galera per un condannato che nemmeno di andrà o che se ne potrà comprare una con piscina e home theatre coi proventi del suo malaffare, così come si è già comprato loro, a discutere sull’incostituzionalità di una legge che in nessun paese civile avrebbe dovuto servire,   che dovrebbe essere ragionevole determinazione di un partito non candidare brutti ceffi, discutibili malviventi, incompetenti inclini alla trasgressione, in presenza o meno di accertati reati. O anche impegnati a schierarsi per un becchino piuttosto che per un altro, interessato a detenere la vanga per seppellire un partito morto se non mai nato, per conservarsi il posto in attesa della quiete eterna di una pacificazione dove tutti sono amici, in quanto correi, tutti sono condannati a stare insieme per non essere sepolti anche loro sotto le macerie di un sistema che aspirava ad essere democratico e  che hanno contribuito ad abbattere.

Non mi stancherò mai di dire che parte dei mali e delle anomalie italiane sono da attribuire all’informazione e alle sue aberrazioni, prima tra tutte quella di non informare, seguita da quella di sostituire al riferire quello che si viene a conoscere, il trasmettere quello che viene ordinato. E che adesso segue una nuova tendenza: invece di cercare  le notizie e i dati, di approfondire, di mettere insieme numeri e conoscenze, di interrogare per avere risposte, di alzare il velo sugli arcana imperi e riferirne, invece di accontentarsi di quello che il potere vuole svelare, viene data una rappresentazione di quello che sta fuori, si apre la porta degli studi televisivi e dei giornali alla rete, si narra la cosiddetta società civile. Naturalmente quella che piace loro, con le loro mediazioni, i loro ritocchi e i loro belletti, tramite testimonial e interpreti particolarmente fotogenici e in modo da rovesciare i termini di quello che dovrebbe essere un lavoro, una professione, un incarico tra i più nevralgici per la società. E invece di andare dentro alle stanze per dare conto delle scelte, per favorire la trasparenza dei processi decisionali, per pungolare, per dare la sveglia, si sceglie una scrematura della cittadinanza, magari quella più dotata di presenza scenica  da far salire sul palco del solito teatrino, a ripetere stanche sceneggiature, in una rappresentazione della liturgia democratica, messa di fronte al rituale avvicendamento delle facce patibolari  di eletti grazie a un sistema che esclude gli elettori e ad elezioni contraffatte proprio dall’occupazione e manipolazione dei media. Facce immote e indifferenti, quelle di un ceto separato e ostile che partecipa di necessità alle cerimonie mediatiche, perché sono i puntelli che li sostengono e legittimano.

Ormai sono tutte e quattro stagioni del nostro scontento, è ora di spegnere i teleschermi e di riaccendere la democrazia.
(Di Anna Lombroso - Fonte)
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