martedì 10 dicembre 2013

"Un paese che non si ricorda del proprio passato è un paese senza futuro"

L’ITALIA NON SFRUTTA LA “GRANDE GUERRA”, IL MONDO ED I COMUNI SI.




Pare che il fondo nazionale per le celebrazioni del centenario della “Grande Guerra” del ’15-’18 sia stato azzerato. Un evento storico dell’Italia e del mondo (la I guerra mondiale, appunto!) a cui parteciparono circa 6 milioni di concittadini segnando profondamente la storia sociale, politica, economica e culturale del Paese con 750.000 morti tra caduti in guerra (680mila) e civili. Complessivamente il conflitto è costato 157 miliardi di lire (per avere un’idea delle proporzioni teniamo conto che in quel periodo il PIL era di 95 miliardi). Un impegno economico salito a 213 miliardi se si conteggiano gli oneri finanziari pesati sul bilancio dello Stato per 62 anni dalla fine della guerra, cioè fino al 1980. La decisione (necessità) di azzerare questo fondo è un brutto segnale per diversi motivi legati a storia, memoria e iniziative che si dovrebbero realizzare. Brutto anche perché proprio in queste settimane tra i vari Stati coinvolti nel conflitto, si sono avviati gli incontri per organizzare gli appuntamenti del centenario.

C’è qualcosa in più in questa decisione, che va oltre il perimetro della rievocazione storica e che sta invece nella dimensione di oggi. Di come l’Italia si rapporta cioè ad un evento che ha segnato la propria storia e che potrebbe essere anche un’occasione per il futuro. Le celebrazioni, da cui noi ci “auto-escludiamo” rischiando la figuraccia, si svolgono a livello globale e vedono, per esempio, la Gran Bretagna già impegnata con 56 milioni di euro, la Francia ed il Belgio con 100 e anche la lontana Australia, che ha partecipato al conflitto con un ventesimo dei soldati schierati dall’Italia, ne ha messi in campo 96.

Perché un investimento di risorse così alto legato ad una celebrazione? Il peso di storia e memoria sono i soli motivi per cui già da soli 4 Stati hanno stanziato quasi 400 milioni di euro? No. I 100 anni della I Guerra mondiale sono (anche e soprattutto) un investimento su cultura, luoghi e turismo. Un investimento che vede nell’appuntamento un’occasione su cui massimizzare un ritorno economico. Un tipo di scelta e di vision che nel nostro Paese stentano ad affermarsi: fare della celebrazione di grandi eventi storici un’opportunità di richiamo unico al mondo (appuntamento e location non sono riproducibili altrove!) in cui cultura e turismo generino risorse e vantaggi per territori e Stati favorendo un alto ritorno economico.

Come detto in Italia non abbiamo, purtroppo, questo approccio.

La rievocazione della battaglia di Little Big Horn tra le truppe del generale Custer e gli indiani del 1876; la ricostruzione dello sbarco in Normandia contro il nazismo, il D-Day del 1944; la commemorazione della campagna di Russia di Napoleone del 1812, sono alcuni degli eventi storici bellici che sono ogni anno al centro di una rievocazione che coinvolge migliaia di persone e soprattutto iniziative di richiamo di livello mondiale per storici, appassionati, turisti di nicchia, collezionisti e quanti oltre al viaggio cercano una occasione per visitare luoghi che altrimenti in un periodo diverso dell’anno non avrebbero appeal. Su questo terreno dire che l’Italia è in ritardo non è una forzatura ma la realtà: tolta qualche rievocazione legata ad appuntamenti “minori” e iniziative per eventi eccezionali non ripetuti annualmente, da noi il “turismo storico e da guerra” non esiste. Non viene sfruttato nelle enormi potenzialità che invece proprio la Penisola avrebbe (in esclusiva) considerando che per secoli la storia è passata in via principale dalle nostre parti. Mentre altri costruiscono su singoli eventi e loro surrogati occasione di richiamo – basti pensare alle spiagge del D-Day che chiedono di essere patrimonio Unesco (con i vantaggi che ciò comporterebbe) o ai parchi a tema che in tutto il mondo si rifanno all’antica Roma – noi siamo statici.

Insomma luoghi che in altri tempi sono stati di guerra e di eventi tragici, adesso lo sono di memoria storica ma anche di cultura e turismo.

Proprio l’aspetto culturale e la riconversione a questi fini, è quello su cui avremmo le carte più forti da giocare e invece lo Stato non esprime una politica organica e moderna, lasciando ai territori il compito di realizzare iniziative che necessiterebbero invece di una policy nazionale.

Per andare al concreto ma non andare lontano: Verceia è in provincia di Sondrio, quasi al confine con la Svizzera. Qui 100 anni fa la Grande guerra ha lasciato sul terreno tante vite e anche tanti altri segni che la distanza del tempo aiuta a vedere con occhi diversi. Nel borgo che oggi conta 1.100 abitanti, i soldati dell’esercito italiano scavarono nella viva roccia tra il 1916 ed il 1917 la Mina di San Fedele: un cunicolo posizionato in maniera parallela sopra le due gallerie di ferrovia e strada che corrono vicine una accanto all’altra. L’utilizzo militare di questa opera era il seguente: in caso di invasione, far brillare le mine posizionate al suo interno provocando il crollo della montagna su strada e linea ferrata in modo da impedire al nemico l’accesso all’Alto Lario e alle direttrici di Como e Lecco verso la città di Milano. La galleria negli anni è stata pian piano trascurata, poi abbandonata quasi sino a dimenticarne l’esistenza con l’ingresso murato e con la guerra ormai lontana, mai più utilizzata per niente altro. Da tempo Luca Della Bitta, il giovane sindaco, immaginava di rendere un’opera ormai dimenticata e di guerra in qualcosa per tutti ed utile per la comunità e, dopo un periodo a capirne di chi formalmente fossero proprietà e competenza ad intervenire (“l’hanno costruita i soldati, quindi comunque è un bene pubblico”), l’amministrazione rompe gli indugi e nell’ottobre del 2012 gli interventi di restauro e messa in sicurezza sono conclusi con diverse collaborazioni, tra queste il Museo della Guerra Bianca in Adamello.

Da circa un anno la mina è aperta a tutti ed è luogo di grande interesse culturale: “la galleria è visitabile – racconta orgoglioso Della Bitta – ed è un esempio di promozione di luoghi culturali con varie finalità, turistiche, di studio, espositive e storiche per citarne alcune; puntiamo a farne uno strumento per avere anche altri vantaggi e ricadute concrete sul territorio”.

L’esempio (ce ne sono diversi altri) di quanto raccontato legato proprio alla I guerra mondiale, rappresenta un tassello raro fatto di particolari opere, eventi storici e località simbolo accomunate da aspetti che possono (e devono) avere politiche ed iniziative dedicate. Tasselli che mettono al centro memoria storica, luoghi, commemorazioni e strutture che hanno la caratteristica di essere localizzati in determinati centri (piccoli e grandi). L’investimento su queste realtà non è solo testimonianza di attenzione, valenza civica e recupero della propria storia, ma uno è spaccato di politiche culturali nuove.

Il fatto che sempre più spesso a curarsene siano gli amministratori di generazioni giovani, rappresenta inoltre la testimonianza positiva di due profili: l’attenzione per ricordo e recupero ed anche l’investimento materiale e culturale. Una “ricollocazione” in abito nuovo della singola opera o del luogo con una visione larga non vincolata solo alla storia. Territori ed opere che non siano più segno di guerra ma di dialogo e valorizzazione per la crescita economica.

Luoghi di divisione che oggi potrebbero essere di economia positiva. Nel mondo lo sanno, i Comuni anche, lo Stato pare non ancora.

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