giovedì 9 gennaio 2014

Armi chimiche siriane - «Faremo la nostra parte» erano state le parole del ministro degli Esteri Emma Bonino

Arrivano in Italia le armi chimiche della Siria

Sono partite dalla Siria le armi chimiche dell'arsenale di Assad. Stanno arrivando in Italia in un porto ancora segreto dove dovranno essere poi smaltite dall'esercito americano. Il Mediterraneo è in subbuglio per una operazione militare senza precedenti e dai rischi enormi.



Come in uno scenario di guerra uomini e mezzi sono mobilitati in queste ore nel Mediterraneo. Il motivo riguarda le operazioni di smaltimento dell’arsenale militare siriano nella disponibilità del dittatore Bashir Al Assad. Secondo gli accordi internazionali tra il governo siriano e l’ONU, saranno i militari americani a prendere in consegna la armi di Assad per poi provvedere al loro smaltimento. Un’operazione militare senza precedenti che si terrà nel bacino del Mediterraneo. Ma dove saranno smaltite le armi siriane? La scelta è caduta sull’Italia dopo i rifiuti da parte di diversi paesi dell’area Nato. Ha rifiutato dapprima la Francia di Hollande, poi la Danimarca – che sarà comunque coinvolta con alcune navi nell’operazione – ed infine, lo scorso novembre, anche l’Albania ha detto no agli Stati Uniti dopo che manifestazioni di protesta si erano svolte a Tirana dove centinaia di giovani si erano radunati sotto l’ufficio del premier Edi Rama. Dal Pentagono è quindi partita una richiesta al nostro governo che ha risposto positivamente.
Tecnicamente in Italia avverrà il trasbordo dell’arsenale delle armi tra cui anche le pericolose armi chimiche in dotazione al regime di Assad. Le operazioni sono già iniziate. Il governo danese ha commissionato alle navi Taiko ed Ark Futura, quest’ultima di proprietà della danese DFDS Seaways, il viaggio dal porto siriano di Latakia da dove sono partite il 7 gennaio. Il convoglio dovrà arrivare in una località segreta in Italia dove le armi verranno trasbordate sulla Cape Ray il super cargo della marina militare americana. La nave è partita dal porto di Portsmouth in Virginia. A scortare i cargo con le armi, alcune navi militari di Cina, Danimarca, Norvegia e Russia. Su una di queste, la fregata danese Hnoms Helge Ingstand, erano imbarcati alcuni giornalisti internazionali che due giorni fa sono stati fatti scendere improvvisamente come testimoniato su twitter dall’inviata della BBC Anna Holligan.
L’operazione  è coordinata dall’OPAC (organizzazione per il divieto alle armi chimiche) ed è al suo primo convoglio, altri ne partiranno nei prossimi sei mesi. Dalla capitaneria di porto italiana tengono le bocche cucite: il nome del porto italiano che ospiterà il passaggio di carico sulla Cape Ray resta segreto fino all’ultimo ed è probabile che la marina militare americana informi le autorità italiane solo poche ore prima dell’arrivo delle navi, il tempo necessario per allertare i rimorchiatori ed il personale di terra. Le navi Taiko ed Ark Futura sono state autorizzate a viaggiare con il sistema AIS – ovvero una sorta di GPS globale che segnala la posizione dello scafo in ogni momento – disattivato. L’ultima posizione conosciuta delle navi è proprio all’entrata del porto di Latakia in Siria. Così come la Cape Ray su cui recentemente è stato installato il sistema di idrolisi – Field Deployable Hydrolysis System – che gli consente di disinnescare le armi chimiche siriane. La Cape Ray è stata costruita nel 1977 dai cantieri giapponesi della Kawasaki Heavy Industries per conto della Saudi Arabia’s National Ship con il nome di Mv Seaspeed Asia. Nel 1993 questo gigante di 197 metri è stato acquistato dal Dipartimento della marina militare USA che ne ha cambiato il nome in Cape Ray e l’ha destinata ad uso militare. Una volta caricate sulla Cape Ray le armi saranno distrutte in acque internazionali con l’ausilio del complesso sistema di apparecchiature a bordo. Nell’arsenale siriano ovviamente ci sono anche le pericolose armi chimche che sarebbero state imbarcate, come confermano le Nazioni Unite, sulla Ark Futura.
Difficile fare ipotesi concrete su quale sia il porto italiano interessato dall’operazione. Le proteste si susseguono dalla Sicilia alla Sardegna. Il governatore sardo Cappellacci si è lamentato del fatto che “quando ci sono da gestire carichi scomodi come questo si pensi sempre alla Sardegna”. Proteste anche in Sicilia, dove gli americani a Niscemi stanno costruendo il MUOS l’importantissimo centro di comunicazione militare targato USA. Alcuni consiglieri regionali hanno presentato interrogazioni contro l’arrivo del carico di armi. In verità le ipotesi più gettonate negli ambienti marittimi ci porterebbero verso altri lidi. Le direttive dell’OPAC sono chiare: grandi profondità del mare, presenza di un terminal container sufficientemente grande e vicinanza ad una base militare. Queste caratteristiche escludono il mare Adriatico troppo poco profondo ed anche la Sardegna, dove, nonostante la presenza di numerosi poligoni militari anche in mare, non ci sono terminal container abbastanza grandi e la base militare de La Maddalena è troppo isolata.
Restringendo il campo dunque le ipotesi sono due: Taranto e Livorno. Nella città dei due mari il terminal container è sufficientemente grande – lo stesso che serve le acciaierie dell’Ilva – ed in città c’è la base della marina militare italiana. Le profondità dello Ionio e la comoda posizione per le rotte che arrivano dal Medioriente fanno di Taranto una delle principali candidate. Il terminal container è di proprietà della Evergreen società di Taiwan vicinissima agli interessi cinesi che con una loro nave militare scortano la spedizione partita da Latakia. Il porto di Livorno si trova invece nei pressi della base americana di Camp Darby e consentirebbe alla Cape Ray di potersi dirigere agevolmente verso i poligoni militari in mare al largo della Sardegna dove svolgere le operazioni di smaltimento. Il porto toscano però avrebbe come controindicazione l’alto livello di sindacalizzazione dei marittimi che potrebbero creare tensioni e proteste.
Altra ipotesi sussurrata negli ambienti della Capitaneria di Porto è Gioia Tauro. Uno dei più grandi porti italiani con un importante terminal container nelle mani dei tedeschi della GTP, che può contare sulle alte profondità dei fondali a ridosso del canale di Sicilia. Certo non c’è una base militare nei pressi, ma la localizzazione tutto sommato isolata della “città della piana” garantirebbe discrezione e poche tensioni e proteste. Fino all’ultimo bisognerà attendere per capire in quale punto le armi chimiche siriane arriveranno nel nostro paese. In ogni caso l’operazione è tra le più delicate mai eseguite. D’altronde un disastro chimico in un mare chiuso come il Mediterraneo potrebbe portare a conseguenze apocalittiche.
(Fonte)


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