venerdì 10 gennaio 2014

Loro guadagnano, inquinano e noi paghiamo

Ex Ilva di Genova: 20 milioni di euro per le bonifiche e non paga chi ha inquinato

La lunga storia dell'inquinamento subito dal quartiere Cornigliano a Genova sembra giunto all'epilogo con un conto salatissimo da 20 milioni di euro per bonifiche che non pagheranno però gli inquinatori




Il Secolo XIX oggi annuncia che la bonifica per l’area Sottoprodotti (SOT) dell’ Ilva di Genova costerà presumibilmente tra i 15 e i 20 milioni di euro. La terra su cui sorgeva l’acciaieria con la cokeria è intrisa di benzene fin sotto la falda acquifera e occorre impacchettare l’intera zona in una scatola che impermeabilizzi il suolo. A questa soluzione si è giunti dopo molti anni di discussioni e progetti fino all’ultimo definitivo messo a punto dagli esperti de La Sapienza di Roma. E’ previsto anche la messa in sicurezza del torrente Polcevera che passa proprio li sotto. I soldi arriveranno dalla grande cassa dell’accordo di programma tra enti, governo e acciaierie Ilva per cui gli enti locali pagheranno l’onere delle bonifiche. Amaro epilogo dunque che potrebbe essere analogo a quel che si sta prospettando per l’Ilva di Taranto.
Vi racconto la storia dell’Ilva di Genova perché presenta molte analogie con la storia dell’Ilva di Taranto avendo in comune la famiglia Riva a gestirle.
L’impianto di produzione a caldo di acciaio a Cornigliano, quartiere alle porte di Genova abitato da circa 20 mila persone, era in attività sin dagli anni ‘50. Prima le Acciaierie di Cornigliano erano un azienda pubblica, ovvero l’Italsider poi acquistata dal re dell’acciaio Emilio Riva, rilevandola dalla Cogea consorzio pubblico-privato. Nel 1999 ne viene disposta la chiusura a seguito di una sedie di indagini epidemiologiche condotte per 5 anni dai pm Vittorio Ranieri Miniati, Francesco Pinto e Francesco Cardona Albini che evidenziano quanto il numero di morti a causa dei tumori nelle vicinanze di Cornigliano sia troppo elevato e da attribuirsi all’attività dell’acciaieria. Prima di arrivare alla chiusura definitiva e lasciare in strada 1200 operai con le loro famiglie l’allora sindaco di Genova Giuseppe Pericu chiede ai Riva di ridurre le emissioni che rispondono con un rifiuto all’ordinanza. Nel 2011 il Gip Vincenzo Papillo firma il decreto di chiusura. Il ministro per l’ambiente era Willer Bordon e direttore generale del ministero Corrado Clini che si espresse a favore della chiusura dell’area a caldo. Il Tar nel 2001 ferma la proposta dei Riva di impiantare un forno elettrico poiché la zona è talmente inquinata che deve essere sospesa ogni attività industriale. Ma nel caso di Genova e con il governo guidato da Giuliano Amato vi fu unanime consenso nel chiedere la chiusura dell’impianto a caldo a causa delle troppe morti.
I Riva imboccano la strada del ricatto occupazionale sostenendo che con la chiusura della cockeria si chiude anche lo stabilimento e che sono così costretti a mandare a casa 1200 operai. Di fatto la chiusura definitiva della cockeria si avrà il 29 luglio del 2005. Nulla di nuovo neanche qui.
Il dato interessante ce lo fornisce Andrea Ranieri intervistato da Bruno Ugolini che ripercorre l’arrivo dei Riva all’Ilva. Si parte dal Piano Davignon per la riduzione della produzione dell’acciaio in Europa. E’ li che si decide con il progetto Utopia proposto da Ugo Signorini sindaco di Genova di chiudere le aree a caldo di Cornigliano sprecate per cosìpochi operai e di delocalizzare tutto a Taranto. Ma L’Italsider che fa una barca di debiti si ritira e viene costituita Cogea con capitali al 70% privati e al 30 %pubblici. Gli imprenditori privati che vi partecipano sono Lucchini e Riva che diventa unico partecipante nel 1988. Ma è nel 1995 che Riva inizia a acquistare tutto pagando una prima rata e sospendendo poi ogni pagamento. Dunque l’inquinamento viene spostato a sud,a Taranto. Dice Andrea Ranieri:
Tutta l’operazione della semplificazione della siderurgia italiana è costata una barca di soldi, mentre la vendita a Riva fece incassare poco. Costarono molto, invece, ad esempio, i prepensionamenti. Io non leggo comunque la vicenda di oggi come una contrapposizione tra le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente. I giudici dicono una cosa importante quando affermano che è stata fatta una scelta (non si tratta di fatalità) tra l’inquinare o il non inquinare. Ovvero di investire per l’efficienza dello stabilimento e non altrettanto per l’ambiente. Le condizioni di rischio non cascano dal cielo, sono una scelta. Il grande balzo in avanti nella produzione e negli utili non è stato accompagnato dalla priorità da dare alla salvaguardia della salute.
Quel che resta sul campo dopo i reati contestati molti dei quali finiti in prescrizione è un terreno profondamente e gravemente inquinato da benzoapirene che sarà inscatolato per proteggere la falda acquifera e il torrente Polcevera. La bonifica non la paga chi ha inquinato ma tutti i cittadini che hanno subito. Perché come sottolinea ancora Ranieri:
Occorre costringere l’imprenditore a impiegare una parte degli straordinari profitti accumulati. Occorre superare la logica di chi dice che se si paga troppo in sicurezza poi certe produzioni se ne vanno dall’Italia.

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