venerdì 21 giugno 2013

Il nemico parla chiaro

Le Costituzioni nate dalla sconfitta delle dittature in Europa sono ormai considerate una palla al piede dai poteri forti. Loro parlano chiaro mentre l'ipocrisia è il linguaggio della sconfitta.



La brutta sensazione era nell'aria da un po' di tempo. Poi, come spesso accade, il messaggio arriva brutale ma netto. Un documento della banca d'affari JP Morgan dice chiaro e tondo quello che la classe dominante europea e il suo ceto politico-tecnocratico stanno facendo senza dirlo.

Le Costituzioni approvate in Italia, Spagna, Grecia, Portogallo dopo la caduta delle dittature militari e fasciste sono ormai un intralcio insopportabile per la tabella di marcia del capitale finanziario nei paesi europei Pigs. Nel linguaggio crudo dei banchieri “l'eccesso di democrazia” rende debole la governabilità e non predispone i sudditi al piegarsi ad una esistenza che non prevede diritti o garanzie. Non solo. Siccome l'austerità farà parte del panorama europeo ancora per un lungo periodo, i paesi aderenti all'Eurozona dovranno anche predisporsi affinchè non sia prevista la “licenza di protestare quando vengono proposte modifiche sgradite allo status quo”.


Un messaggio e un linguaggio brutale che devono suonare come un allarme rosso nella testa e nella coscienza di chi vive in condizione subalterna nei paesi europei, soprattutto nei Pigs.
 
Due sottolineature ci paiono d'obbligo.

La prima è che l'offensiva contro “l'eccesso di democrazia” non nasce oggi. Nasce anch'essa dentro una crisi, quella del '73, che suonò come l'inizio della grande crisi sistemica che si è manifestata con maggior durezza negli ultimi cinque anni. A muovere l'assalto fu la prima riunione della Commissione Trilaterale nel 1974, nata dalle esigenze del grande capitale multinazionale di dotarsi di un disegno di strategico di ri-subordinazione complessiva del lavoro e di una iniziativa globale contro l'esistenza dell'Urss e dei movimenti di liberazione nel terzo mondo.

La seconda è che chi vive e agisce nell'Unione Europea deve finalmente diventare consapevole che un blocco geopolitico ed economico creatosi intorno ad una unione monetaria è qualcosa di diverso e di peggiore di un “sovrastato”. Essa non prevede in alcun passaggio decisivo una procedura democratica. Si viaggia su dati “oggettivi” e se ne trasformano gli effetti in direttive che i singoli Stati aderenti – in ogni loro istituzione o istanza – non possono far altro che applicare. La ricerca del consenso è limitata all'indispensabile e l'autoritarismo ne conforma ogni relazione con i settori dissonanti.

Se questo è vero – e il documento della JP Morgan ce lo esplicita con chiarezza – i corpi intermedi tra poteri decisionali e consenso come i partiti, i sindacati etc. diventano baracconi non più indispensabili. I partiti devono somigliarsi, praticare gli stessi programmi, sostenere i medesimi concetti, essere intercambiabili e collaborare tra loro ogni volta che ciò sia necessario. I riti del pluralismo decantati dai dogmi liberali sono sostituiti da quello della governabilità. Due fazioni di un partito unico, una sfera politica divisa tra liberali di destra e liberali di sinistra deve conformare l'unico scenario politico ammesso. Come si lasciò scappare il “trilateralista” Mario Monti, le ali vanno dunque soppresse e i sindacati devono adeguarsi ad una funzione di complicità che consegna al passato anche ogni velleità di concertazione.

Uno scenario come questo potrebbe apparire come un incubo, ma somiglia maledettamente alla realtà che ci hanno predisposto davanti occultandola con l'integrazione europea prima, la governance poi, la competitività totale oggi. La “politica”, anche quella della sinistra radicale europea, ha continuato a vivacchiare, ad alimentare le illusioni e segnalare qui e lì le distorsioni del sistema (vedi ad esempio il congresso della Linke tedesca) ma rifiutandosi di capire che era “il sistema” stesso a produrre – o meglio – a riprodurre gli spiriti animali che lo spingono continuamente a maciullare tutto ciò che nel breve e brevissimo tempo non gli torna funzionale.
E' evidente che a fronte di questo non si possa che perseguire una ipotesi politica di rottura, di sottrazione dalla gabbia dei vincoli europei che trascinano nel baratro non solo l'economia, i salari, i diritti, le condizioni di vita di milioni di persone, ma che scuotono sempre più violentemente anche i residui formali di una epoca democratica nata dalla sconfitta delle dittature e che avevano promesso che “mai più sarebbe successo”. 
 
Ma ora sta accadendo di nuovo e su scala molto più grande. Oggi Carandini su La Repubblica si chiede come mai a fronte di una disoccupazione di massa così ampia non ci siano rivolte sociali nell'Europa meridionale. E si risponde affermando – correttamente – perchè con la globalizzazione non si riesce più a individuare il responsabile né a trovare nei governi nazionali le risposte possibili a domande sociali sempre più disperate. Riteniamo che sia ancora possibile rendere reversibile il processo prima che si solidifichi in un “regime continentale. Ma occorre essere chiari su almeno due cose:

a) Il “nemico” c'è e va nominato pubblicamente, altrimenti nessun movimento popolare sarà in grado di unificarsi. Sono le banche, le imprese multinazionali e la struttura politico-economica di cui si sono dotate attraverso la costituzione dell'Unione Europea. Sono quelli che possono permettersi di arrivare in un territorio, fare i propri comodi e poi andarsene verso occasioni migliori di businness lasciando dietro di sé macerie, disoccupazione, immiserimento.

b) la dimensione “minima” di un movimento di massa all'altezza di questo nemico può e deve essere continentale o regionale. Niente di più piccolo può essere adeguato. Nessuna vertenza o lotta locale che non possieda questo “spirito europeo contro l'Unione Europea” può andare oltre il proprio naso.

Fermare la bestia che si agita nel ventre dell'Europa è ancora possibile... ma occorre rompere gli indugi e muoversi in fretta.
(Fonte)
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