venerdì 14 giugno 2013

Così l'Italia uccide i malati

Nel nostro Paese i medicinali innovativi, che possono salvare migliaia di vite, arrivano con mesi o anni di ritardo. Una tragedia, per i pazienti. La colpa? E' di un mostro burocratico potentissimo, ricchissimo e malfunzionante. Che si chiama Aifa. E opera sotto la direzione del ministero della salute. «Opera»? Si fa per dire, purtroppo


 L'Agenzia è chiusa a riccio, come se non sentisse che infuria la tempesta fuori dal palazzo di via del Tritone a Roma dove ha sede. L'Aifa (Agenzia italiana del farmaco), di fatto, pochi sanno cos'è. Ma è sulla vita di tutti che incidono i suoi sì o i suoi no, come anche le sue difficoltà e il suo essere, come dicono molti, ormai un gigante. Perché l'Agenzia, il cui direttore generale e presidente del consiglio di amministrazione sono nominati dal ministero della Salute, ha il compito di dare l'ok all'immissione in commercio dei nuovi farmaci, di definirne il prezzo, di sorvegliarne la sicurezza una volta che sono finiti in mano ai malati.


Insomma maneggia la nostra salute e circa 26 miliardi di euro l'anno, perché a tanto ammonta la spesa farmaceutica nel nostro Paese, i tre quarti della quale è a carico del Ssn. Dovrebbe funzionare come un orologio, ma soprattutto essere una casa di vetro dove tutto ciò che accade è ben visibile dai cittadini. E invece sembra oggi paralizzata, affaticata da elefantiasi burocratica e da scelte sulle quali infuriano polemiche, magari fatte a buon fine ma di certo risultate in ritardi e ulteriori aggravi burocratici. Così come sembra incapace di comunicare con i medici, le aziende e i malati. Insomma, con tutti gli stakeholder del sistema-farmaci italiano. Siamo andati a vedere cosa succede a via del Tritone.


La nuova sede, a due passi da Fontana di Trevi e nel cuore del potere romano, che costa quasi quattro milioni di euro l'anno di affitto e ha sostituito nel 2010 un'anonima palazzina situata nella periferia di Roma: costava la metà, era discreta e a due passi dalla metropolitana. Ma non rendeva plasticamente il potere dell'Agenzia che la fiscalità generale fa funzionare dotandola di 80 milioni di euro l'anno, e dove lavorano oggi circa 400 persone (erano 250 nel 2009). 

Eppure, non c'è nessuno disposto a parlare open verbis con "l'Espresso" nel fortino di via del Tritone. E già questo sorprende. Diversi tecnici dell'Aifa da noi interpellati sparano a zero contro le inefficienze e la totale mancanza di trasparenza. Ma poi, vogliono restare anonimi. Tuttavia, rimangono i fatti. E il primo è la questione criminale dei tempi per la registrazione dei medicinali innovativi, dilatati dal rimbalzo dei dossier tra una commissione e l'altra: servono dai dodici ai quindici mesi per avere l'autorizzazione dall'Aifa dopo che le autorità europee hanno dato il via libera, e già non si capisce a cosa serva una simile duplicazione; poi c'è bisogno di un altro anno per entrare nei prontuari delle Regioni, e di questo l'Agenzia non ha responsabilità. Ma il dato è drammatico: circa 300 giorni di attesa per i pazienti italiani. Per le aziende è un danno spaventoso, per i malati è una tragedia.

Ne dà notizia un rapporto di Farmindustria, l'associazione delle aziende farmaceutiche di qualche settimana fa, ma la situazione non è cambiata da quando "l'Espresso" ha denunciato questi ritardi nel novembre scorso dando voce a medici e associazioni di malati. E da quando il direttore generale dell'Aifa, professor Luca Pani, ci rispose che i confronti con gli altri paesi europei non reggono in quanto l'Aifa si occupa anche di definire i prezzi. Il che, però, non diminuisce il disagio dei malati.

Nel fare i confronti con l'Europa, Farmindustria annota oggi come le procedure negli altri paesi Ue siano meno farraginose, certamente anche a livello di regioni e ospedali oltre che a livello centrale, ma anche e soprattutto che altrove è chiaro cosa sia innovativo, quali siano le regole che sovraintendono ad approvazione e prezzo. Dal punto di vista dei malati, ciò che conta è che le medicine davvero nuove, che apportano un maggiore beneficio clinico di quelle in commercio, in settori importanti come l'oncologia, le malattie infettive, metaboliche e del cervello, siano messe a disposizione di chi soffre il più rapidamente possibile, mentre le altre possono aspettare.

Ma come individuare i farmaci realmente salvavita per i quali non si può aspettare? Fino a qualche anno fa i tecnici dell'Agenzia usavano un algoritmo, che poi è sembrato inadeguato e per questo lo si è abbandonato per andare alla ricerca di un nuovo più potente strumento che le consenta di farlo tenendo conto delle caratteristiche del farmaco e dello scenario della malattia. Ma nonostante i reiterati annunci questa macchina magica è ancora ferma ai box.


Nelle scorse settimane l'Agenzia ha dato il via a una consultazione pubblica sul sistema. L'Aifa, però, è un palazzo dai vetri oscurati, e l'accesso all'algoritmo è concesso soltanto a chi ne faccia esplicita richiesta alla direzione generale che si riserva il diritto di valutare e rifiutare le richieste. Un metodo che non piace. «I farmaci innovativi sono un settore di immensa importanza per la salute pubblica in cui si concentrano interessi enormi: non dovrebbe esserci alcuna opacità che alimenti sospetti», è la critica più ricorrente dei soliti anonimi, che si accompagna a forti dubbi sull'efficacia dello strumento: nessuna agenzia regolatoria europea adotta un simile approccio. E quei tecnici anonimi ci assicurano che la definizione è ancora di là da venire.

Mentre i ritardi si accumulano e aziende e associazioni di pazienti chiedono all'Aifa una sola cosa: semplificare, ridurre i tempi. «Che non significa sacrificare la sicurezza», precisa Gian Mario Baccalini, presidente di Aschimfarma, l'associazione che riunisce i produttori di principi attivi: «Lamentiamo l'aggravio burocratico rispetto alle altre agenzie regolatorie europee. Un sistema di autorizzazioni molto più complicato, che allunga i tempi, li rende incerti e ci mette in una posizione di debolezza nella competizione globale. Specie ora che molte Big Pharma, deluse delle performance dei produttori asiatici, stanno ritornando in Europa». Si tratta di contratti milionari che darebbero respiro a un settore che è stato messo alle strette dai paesi emergenti.

Nessuno dubita che l'Aifa voglia agire nell'interesse del bene collettivo. Ma molti chiedono trasparenza. E non solo.
C'è persino una richiesta di commissariamento dell'Agenzia avanzata il 3 aprile scorso con una lettera della Società Oftalmologica Italiana, presieduta da Matteo Piovella, indirizzata agli allora ministri della Salute, Renato Balduzzi, e dell'Economia, Vittorio Grilli, e per conoscenza a Mario Monti: «Riteniamo che Aifa non sia in grado di svolgere adeguatamente i suoi compiti istituzionali», si legge. A conclusione di una rissa tra la Società e l'Agenzia durata mesi a proposito di un farmaco, messo a punto e autorizzato per alcune forme di cancro, utilizzato anche per curare malattie gravi dell'occhio.
 La diatriba è complessa, ma di fatto è accaduto che lo scorso ottobre l'Aifa ha deciso che non deve essere utilizzato perchè c'è il rischio «di gravi reazioni avverse» e, soprattutto, perché è disponibile un altro prodotto più mirato a queste patologie. La decisione è legittima e motivata, ma gli oculisti insorgono, sostanzialmente, perché l'Aifa ha deciso senza tenere in conto il loro parere. E si legge nella lettera: «Non è a conoscenza dei dati dell'Agenzia europea», sembra che agisca con «superficialità e mancata conoscenza del problema».
Che abbiano o meno ragione, gli oftalmologi non sono gli unici a lamentare di non essere presi in considerazione: i diabetologi fanno altrettanto e dello stesso tenore è la posizione della Consulta delle società scientifiche per la riduzione del rischio cardiovascolare. Insoddisfatti sono anche gli oncologi dell'Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) che in una lettera inviata agli associati si dicono inascoltati oltre che esclusi dal Comitato consultivo area oncologica dell'Aifa, il gruppo di specialisti che supporta le scelte dell'Agenzia nel campo dei farmaci antitumorali.

Gli oncologi sono in agitazione anche per un altro e ben più grave motivo. All'inizio dell'anno, infatti, l'Agenzia ha deciso un nuovo affidamento dei suoi servizi informativi. Cineca (un consorzio pubblico di università senza scopo di lucro controllato dal ministero dell'Università e della Ricerca che per anni ha funzionato come un orologio) è stato sostituito dalla multinazionale Accenture in un contratto da 10 milioni di euro per tre anni. Con gara d'appalto regolare. Ma il passaggio dal vecchio fornitore al nuovo è gestito in maniera tutt'altro che impeccabile.

A fine 2012 scade il vecchio contratto. Il nuovo gestore non ha ancora approntato i nuovi sistemi. Ma si stacca comunque la spina a una Rete attraverso cui passano fiumi di informazioni vitali: vanno in tilt le richieste di sperimentazioni ai comitati etici che si ritrovano dall'oggi al domani senza il sistema attraverso cui condividevano i pareri con gli altri comitati, con l'Aifa e con le aziende. «Abbiamo subito ritardi», racconta Ilaria Riela, della segreteria amministrativa del comitato etico dell'Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.

 E vanno in tilt le prescrizioni di farmaci innovativi. Sono medicinali che costano un occhio della testa e funzionano soltanto in malati con caratteristiche molto precise. Per questo il loro impiego viene registrato e monitorato: solo così si può verificare che i farmaci siano somministrati unicamente ai pazienti giusti salvaguardando la loro salute e le casse pubbliche. I medici sono chiamati a compilare schede e inviarle all'Aifa: fino a qualche mese fa per via informatica, e già si lamentavano di come questo sottraesse tempo all'attività clinica. Oggi devono farlo a mano e spedire per fax. Con inevitabili ritardi e con una colpevole sottrazione di tempo ai malati a vantaggio delle scartoffie. L'Agenzia in un comunicato del 15 febbraio assicurava che tutto sarebbe andato a regime entro aprile. Ma, ci aggiorna il presidente dell'Aiom Stefano Cascinu, «siamo ancora in alto mare e non si vede conclusione certa del problema».
Non solo. Il buco nel sistema informativo «è anche un potenziale danno economico», fa notare l'oncologo: «Tra i farmaci sottoposti a monitoraggio ce ne sono alcuni per i quali vige un sistema che consente allo Stato di ottenere il rimborso del prezzo di quei medicinali quando non abbiano ottenuto gli effetti sperati». Da sei mesi è caos, il flusso delle richieste di rimborso da parte delle Regioni alle aziende è in panne. E questi soldi rischiano sul serio di andare persi. Un bel gruzzolo di cui nessuno conosce l'ammontare esatto.
(Fonte)
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