domenica 30 giugno 2013

Pesce contraffatto, il business col tranello

Saraghi spacciati per orate. Pesci cani venduti come palombo. E prodotti trattati con additivi. L'allarme dell'Università Biccoca di Milano che svela i trucchi del business ittico.

Nel 2012, l'Asl ha chiuso 23 ristoranti cinesi per scarsa igiene.













Decine di squali a Milano a 1.200 chilometri dall’Oceano Atlantico. E venduti illegalmente sui banchi di pescherie e mercati rionali. Per un giro d'affari milionario.
A svelarlo è stato uno studio realizzato dal dipartimento di Biotecnologie e bioscienze dell’Università Bicocca di Milano.
La ricerca, durata anni e finita nel 2011, ha infatti analizzato campioni di palombo, una particolare specie di squalo, provenienti da 45 esercizi commerciali milanesi. I risultati sono stati eloquenti: nell'85% dei casi si trattava di altre 15 specie non inserite nelle tabelle commerciali.

IL PESCE ARRIVA GIÀ IN FILETTI. Il palombo si presta alle frodi perché arriva all’ingrosso già in filetti e può essere facilmente sostituito da tranci dall’aspetto simile. I consumatori pagavano quindi 15 euro al chilo filetti che in realtà valevano al massimo cinque euro: una truffa a diversi zeri se si considera che dal mercato ittico milanese ogni mese vengono smistate 20 tonnellate di palombo.

Ma con 300 specie in commercio in Italia sono tanti altri i casi degli inganni: per esempio un sarago o una tanuta possono essere spacciati per un’orata, mentre il pangasio può essere scambiato per un halibut.
Infine lo stesso pesce può essere presentato come pescato anche se allevato e quindi di qualità inferiore.
«Abbiamo addirittura trovato uno squalo bianco, una specie protetta in via di estinzione», racconta a Lettera43.it Maurizio Casiraghi, docente di Evoluzione biologica e molecolare.


L'USO DEL DNA BARCODING. Per svelare l’effettiva natura degli squali, l'equipe della Bicocca ha usato il Dna barcoding: una tecnica molecolare che studia piccoli pezzi di Dna. E grazie a questo strumento si possono scovare le frodi alimentari in modo sicuro.
La tecnica è abitualmente utilizzata durante i controlli, mentre in Italia, al di là degli esperimenti accademici, non è stato adottato per le verifiche preventive.

MANCA UNA CULTURA ITTICA. Il problema riguarda soprattutto i costi. Ma non solo. «È in primo luogo una questione di mentalità», chiarisce Casiraghi, «siamo il Paese dei cavilli legali». E almeno nell'immediato futuro il Dna barcoding non è destinato a diventare ufficialmente una tecnica per il controllo dei prodotti ittici.
Anche Renato Malandra, veterinario dell’Asl e responsabile del mercato ittico di Milano non appare del tutto soddisfatto sulla situazione italiana: «Non si è sviluppata una cultura ittica adeguata, ma soprattutto manca una vera autorità competente che faccia i controlli».

I problemi legati alle allergie e alle reazioni non prevedibili

Le truffe legate al pesce non sono solo commerciali, ma hanno anche un risvolto sanitario: spacciare come palombo altri 15 pesci diversi, espone infatti i soggetti allergici a reazioni non prevedibili.
A seconda del soggetto le conseguenze possono essere più o meno gravi: si va da irritazioni cutanee fino allo choc anafilattico. «Per i riflessi sanitari che comporta è una delle situazioni più gravi che siamo costretti a fronteggiare», spiega Malandra.

I PERICOLI DEGLI ADDITIVI. Il rischio diventa ancora maggiore se il prodotto è stato trattato con additivi senza averlo reso noto. Anche in questo caso il fenomeno è legato alla vendita e interessa tutti i prodotti ittici:
«Chi dichiara gli additivi vende di meno, perché creano dei pregiudizi nei clienti», afferma Renato Malandra, veterinario dell’Asl e responsabile del mercato ittico di Milano.

LE OMISSIONI DI CHI VENDE. I commercianti che non specificano l'uso di trattamenti sono tanti. Basta andare a fare la spesa per accorgersene: su quattro mercati rionali e quattro supermercati presi in considerazione a Milano, nessun pesce è indicato come trattato e l’uso di additivi è noto solo in alcune partite di sgombri e di gamberi. Non che siano tutti truffatori, ma la maggior parte delle sanzioni dell’Asl sono per questo reato.

Necessario affidarsi alle etichette per essere sicuri

Evitare di non cadere nei tranelli non è facile: se non si è esperti del settore, riconoscere un specie da un'altra è un compito arduo.
Una norma europea del 2001 obbliga per legge le etichette informative. Quindi è meglio affidarsi ai prodotti su cui sono indicate più informazioni possibili: se è pescato o allevato, la provenienza e soprattutto l’eventuale trattamento con sostanze chimiche.
Inoltre più la filiera alimentare è lunga più aumentano i rischi di frode.

LE INCOGNITE AL RISTORANTE. Per quanto riguarda la ristorazione invece è difficile esprimere un giudizio: «Le corse al ribasso ci sono sempre. Ma spesso gli stessi ristoratori sono vittime, perché sono uno degli anelli terminali della catena», afferma Casiraghi.
Tuttavia un dipendente di un ristorante milanese che vuole rimanere anonimo ammette: «Il tonno nel Mediterraneo viene pescato solo in alcuni periodi dell’anno. Quando non è stagione ai nostri clienti offriamo tonno proveniente dallo Sri Lanka senza specificarne la provenienza». E ovviamente si tratta di un prodotto del valore commerciale inferiore.

NEL 2012 CHIUSE 23 ATTIVITÀ. Altri gravi problemi sanitari nell'ambito della ristorazione sono legati al pesce crudo. Per neutralizzare tutti i parassiti presenti è necessario congelare il prodotto per almeno 24 ore, ma non sempre viene fatto.
A preoccupare medici e veterinari è soprattutto l’anisakis, parassita che può causare disturbi allergici e infiammazioni allo stomaco. In casi piuttosto rari, la larva può arrivare fino alla parete intestinale ed è quindi necessario un intervento chirurgico per asportarla.
Per scarsa igiene l’Asl nel solo 2012 ha chiuso 23 ristornanti cinesi, cui si aggiungono decine e decine di sanzioni amministrative per mancato congelamento dei prodotti.
(Fonte)
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