sabato 23 marzo 2013

NON C'E' NIENTE DA MERITARE



Cosa accade quando saltano completamente le misure? Quando il campo di battaglia appare indefinito e le squadre che si affrontano diventano un “noi contro loro” inafferrabile, rimodulabile per ogni evenienza, così ideologico da rivendicare per se l’esclusiva appartenenza al campo post-ideologico? Accade che nessuno sa che pesci prendere e questo, a volte, apre a scenari molto interessanti. Solo a volte però, solo se si è in grado di giocarsi questa partita fino in fondo, con il coraggio di chi si accorge che proprio ora alcune cose vanno affermate con vigore. Cos’è che non si può più fingere di non vedere?
 
Ad esempio quello che sta accadendo a Cipro, ultima tappa di un percorso strutturato e di un piano molto ben congeniato: un piano che prevede la possibilità per chi ha continuato ad arricchirsi dentro la crisi globale, chi ha continuato ad accumulare fortune, a privatizzare e svendere interi paesi, di proseguire indisturbato la sua missione. L’ipotesi, bocciata dal governo cipriota, era quella di applicare prelievi forzosi ai conti correnti bancari del paese, per poter sbloccare gli aiuti necessari ad evitare il default dell’isola.

 Il controllo che le istituzioni finanziare europee vogliono esercitare direttamente sugli stati sovrani non conosce più limiti. Non basta imporre le misure di austerity, il pareggio di bilancio o stabilire piani di ristrutturazione e rientro dal debito “lacrime e sangue”; bisogna poter intervenire direttamente e mettere le mani sui patrimoni non per ridistribuire la ricchezza, ma per salvare le banche.

La sensazione però è che in Italia si agiti ossessivamente il dito per nascondere la luna: il dibattito pubblico post-elettorale concentra tutti i suoi sforzi sullo tsunami che fa il suo ingresso nei palazzi del potere, sulla “scatoletta di tonno” da aprire e sulla necessità di “rendicontare anche le caramelle”. E’ un messaggio molto chiaro quello che si cerca di mandare: il disastro è stato causato dai soliti noti, corrotti e incapaci, ora è il momento di mettere le persone giuste al posto giusto e tutto si sistemerà.

Ed ecco fiumi di inchiostro e ore di dibattiti sulle competenze e soprattutto sul merito, sulla necessità di assegnare i giusti compiti alle giuste persone e di far sviluppare il paese applicando una robusta meritocrazia! Dall’infallibilità dei tecnici all’infallibilità dei cittadini-informati il passo è breve: il sapere viene dipinto sempre come neutrale e super-partes, bisogna affidarsi cecamente a chi “sa” così da non ripetere gli stessi errori. Cosa nasconde questa retorica è molto facile da svelare.

E’ notizia di ieri la richiesta da parte di numerosi presidi di alcuni licei, di applicare i test d’ingresso anche per le loro scuole. Gli studenti sono troppi e a noi servono solo le eccellenze, spiegano i solerti capi d’istituto, dimenticando forse che si tratta di scuola dell’obbligo. In caso di non idoneità basta ripiegare sulla seconda scelta, ci sarà sicuramente qualche scuola pronta ad accogliere i figli meno meritevoli. A 13 anni bisogna mostrare di essere all’altezza, altrimenti sono già pronti percorsi di serie b per chi proprio non si merita  una formazione di qualità.

Questo meccanismo perverso è quello che già trionfa in tutte le università italiane: se si dimostra di essere meritevoli nei test d’ingresso si può accedere al corso di laurea, avere alloggi e borse di studio, “percorsi di eccellenza” e canali preferenziali per accedere al mondo del lavoro. Per tutti gli altri? Briciole e macerie. Quelle macerie in cui è stata  ridotta, con orgoglio, l’università italiana e in cui stanno riducendo le scuole. Ma la formazione non dovrebbe essere opportunità di sviluppo e di riscatto per tutti? Una ricerca OCSE, sempre ieri, dimostra come a parità di rendimento gli insegnanti siano portati ad assegnare voti migliori a chi proviene da fasce sociali elevate. La prima reazione sarebbe quella di inorridire; gli studenti però si sono accorti da anni quanto i luoghi della formazione stiano diventando (volontariamente) poco ospitali per chi non può permettersi un alto tenore di vita.
A cosa serve quindi sventolare ossessivamente la parola meritocrazia, dentro una delle crisi più feroci mai vissute? A governare la scarsità, a legittimare l’impoverimento progressivo di milioni di persone, a sottrarre diritti conquistati e chiudere la possibilità di conquistarne altri. Non ci sono risorse, non c’è più spazio per tutti dopo anni vissuti sopra le proprie possibilità. La meritocrazia diventa contemporaneamente spiegazione razionale e legittimazione rispetto alle difficoltà vissute da chi questa crisi non l’ha prodotta e ora si ritrova a doverne pagare il prezzo più alto. Scuola, formazione di qualità, diritti sul lavoro, welfare? Si tratta di premi da elargire solo a chi è capace, a chi ha dimostrato di meritarselo.

Chi rimane fuori evidentemente non ha fatto abbastanza, poteva pensarci prima e prepararsi al’immenso concorso che stabilisce chi è degno di salvarsi e chi no. Con alcune piccole eccezioni. Le banche meritano sempre il salvataggio, così come i “capitalisti per procura”, quelli dai benefit a molti zeri che fanno girare (e scomparire) i soldi degli altri.
Forse sarebbe il caso, davanti al prossimo che ci illustrerà i vantaggi nell’applicare l’infallibile meccanismo meritocratico dentro le nostre università e nelle scuole, nei posti di lavoro o nelle città che diventano uno sterminato spazio aperto alle speculazioni e al cemento, di sorridere e rispondere serenamente che se non fosse già abbastanza chiaro, non c’è proprio niente da meritare!
(Fonte)
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