martedì 26 marzo 2013

Patto di stabilità e debiti PA. L’Italia, lo Stato che condannava se stesso al fallimento

”delle oltre 30 aziende che falliscono ogni giorno nel nostro Paese, più della metà lamenta il ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione” Barretta, deputato PD




In questi mesi abbiamo potuto sentire spesso parlare del patto di stabilità, regolando quest’ultimo le principali variabili macroeconomiche delle nazioni europee ( sono recenti le ultime modifiche varate).

Per chi avesse – saggiamente! – cambiato canale durante i tg, gli si potrà dire che questa legge  altro non è che un accordo preso – o meglio subito in seguito a forti pressioni dell’Europa – nel 1997 dall’Italia in sede comunitaria  per cercare di far fronte all’esigenza di far convergere le economie degli stati membri verso specifici parametri. Tra questi – ricordandoci del trattato di Maastricht – troviamo in particolare l’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione in rapporto al P.I.L  che non deve superare il 3%, e il debito pubblico che , sempre rapportato al P.I.L., deve aggirarsi intorno al 60%. In realtà esistono ancora forti dubbi e comunque tesi contrastanti circa il fatto che questi parametri siano effettivamente ottimali.  Nondimeno  il controllo dell’indebitamento netto della Pubblica Amministrazione, e in particolar modo degli enti territoriali come regioni ed enti locali è uno dei principali obiettivi delle regole fiscali che costituiscono il patto di stabilità.

Anche i comuni allora sono chiamati a contribuire alla riduzione del debito pubblico nazionale osservando regole di anno in anno sempre più restrittive. Quindi gli enti hanno confini molto rigidi in termini di programmazione, risultati e azioni di risanamento. In particolare forti sono i limiti relativamente ai pagamenti, il che porta alla paradossale situazione in cui anche chi dispone di risorse si trova impedito riguardo al loro utilizzo. Si pensi ad esempio a tutti quei debiti mostruosi – più di 70 miliardi secondo Bankitalia – che le PA devono, da anni, alle imprese( si sorvolerà per decenza sul fatto che al contrario quando sono le imprese ad essere in debito con lo Stato, questo, non tollera neppure il minimo ritardo e attua, immancabilmente, drastici provvedimenti). Quest’ultimo in particolare è stato il tema di una importante manifestazione che pochi giorni fa si è tenuta al teatro Capranica di Roma organizzata dall’Anci (associazione nazionale comuni italiani). Centinaia di sindaci italiani sono infatti giunti nella Capitale per manifestare contro il Patto di stabilità che con i vincoli sopra descritti blocca nelle casse di comuni e province ben 9 miliardi di euro.

La giornata è stata relativamente positiva in quanto il premier uscente Mario Monti  in una conferenza stampa con il ministro dell’Economia Grilli ha annunciato che: «La prima operazione che il governo italiano promuove è quella di introdurre misure di accelerazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione verso i fornitori» . Si parlerebbe di importi da corrispondere per circa 20 miliardi nella seconda parte del 2013 e di ulteriori 20 nel 2014. Sicuramente si tratta di un forte segnale di fiducia, ma ciononostante non sono mancati i malumori, relativi sopratutto all’entità della somma prevista dal piano, essendo appena poco più della metà dei valori stimati ( senza considerare che ora la palla passa al governo, e al piano suddetto non solo mancano oltre 30 miliardi, ma bisogna anche vedere quando – e se! – verrà attuato).

Intanto le imprese sono sempre più a corto di liquidità, il che spesso si traduce,nel caso più roseo, in licenziamenti (ma in fondo abbiamo solo poco più di tre milioni di precari e quasi altrettanto di disoccupati, niente di cui allarmarsi) o nella chiusura dell’azienda. Come se non bastasse le banche non concedono più denaro, nè alle imprese in questione nè tanto meno ai privati, e quindi alle famiglie. E mentre siamo ancora in cerca di un governo stabile e a Montecitorio abbondano soltanto chiacchiere, Moody’s  non manca mai di presentarci il suo conto divertendosi ad abbassare ancora il nostro rating. La domanda è sempre quella: “ ma l’Italia dov’è?”
(Fonte)
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