LA BOZZA DELLA LEGGE PREVEDE L’ALLENTAMENTO DEI VINCOLI SULLE BONIFICHE, MA ANCHE PER AUTORIZZAZIONI E RIFIUTI
In Italia la burocrazia è soffocante, lo dicono tutti, quindi bisogna semplificare.
Roberto Calderoli bruciava le leggi, come si ricorderà, Corrado Passera
sfornava un ddl a semestre, ora pure Enrico Letta sta preparando per il
Consiglio dei ministri di questa settimana il suo testo per rendere più
facile la vita a cittadini e imprese. Soprattutto ad una, per la
verità, che sta a Taranto. D’altronde il nostro corpus giuridico è così
vasto che era facilmente prevedibile: uno fa una legge ad aziendam e
scopre che gliene serve un’altra e un’altra ancora e un’altra ancora.
L’obiettivo è sempre lo stesso: tenere aperti gli impianti mentre si
realizza – o quando e se – la messa in sicurezza ambientale.
Sterilizzato il sequestro della fabbrica,
sterilizzato quello dei prodotti e infine quello dei soldi, ora serve
che la faccenda non si ripeta durante il commissariamento: quindi si
procede – almeno nella bozza di ddl di cui Il Fatto quotidiano è in
possesso – a qualche bella modifica al Codice ambientale, che era finora
rimasto intonso. All’articolo 240, per dire, si legge che la “messa in
sicurezza permanente” è “degli interventi atti a isolare in modo
definitivo le fonti inquinanti rispetto alle matrici ambientali
circostanti e a garantire un elevato e definitivo livello di sicurezza
per le persone e per l’ambiente”. Ci sarebbe un punto, ma la bozza
invece aggiunge una virgola e dopo una frase che cambia di senso
all’intero periodo: “qualora si dimostri che, nonostante l’applicazione
delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili e a ridotto
impatto ambientale, non sia possibile la rimozione delle fonti”. Se
proprio non si può fare, insomma, facciamo quel che si può.
Stabilito il principio, si passa alla fase operativa emendando l’articolo 242:
si dà un’accelerata alla presentazione dei progetti per le bonifiche e
alla fase realizzativa, in un comma in cui si parla di “siti contaminati
con attività in esercizio” si espunge il passaggio in cui si fa
riferimento alla “cessazione delle attività” (non sia mai) e infine –
siccome la bonifica non si sa quando comincia, ma l’acciaio serve subito
– viene inventato pure un comma 13 bis: “Nei siti contaminati, in
attesa degli interventi di bonifica e di riparazione del danno
ambientale, possono essere effettuati tutti gli interventi di
manutenzione ordinaria e straordinaria, di infrastrutturazione
primaria e secondaria, nonché quelli richiesti dalla necessità di
adeguamento a norme di sicurezza e, più in generale, tutti gli altri
interventi di gestione degli impianti e del sito funzionali e utili
all’operatività degli impianti produttivi e allo sviluppo della
produzione”. Il neocommissario, già ad, Enrico Bondi non si può davvero
lamentare.
Queste, purtroppo, non sono le uniche semplificazioni di questo ddl che
– se approvate – finirebbero per indebolire la tutela dell’ambiente. Ad
esempio, c’è la sostanziale estromissione delle Soprintendenze sul
controllo dei beni sottoposti a vincolo paesistico: la concessione a
privati sarà stabilita dal ministero e anche per il rilascio del parere
sulle eventuali modifiche – che già il governo Berlusconi aveva reso
“non vincolante” – vengono dimezzati i tempi (da 90 a 45 giorni)
lasciando campo libero alle regioni. E ancora: la bozza estende la
cosiddetta Scia (segnalazione certificata di inizio attività) – una
procedura più snella della Dichiarazione di inizio attività – anche a
interventi di ristrutturazione edilizia abbastanza pesanti, compresi
quelli in cui si butta giù un immobile danneggiato per realizzarne uno
diverso. Oltre a tagliare sostanziosamente i tempi per le varie forme di
valutazione di impatto ambientale, infine, questa bozza di ddl provvede
pure a sottoporre le cosiddette “acque emunte” – all’ingrosso le falde
inquinate – al regime degli scarichi industriali anziché a quello più
rigido sui rifiuti.
“A QUEL che ho potuto vedere – dice Angelo Bonelli, leader dei Verdi
– si tratta della solita deregulation che legge ideologica-mente la
tutela ambientale come un freno allo sviluppo, un’impostazione che non
esiste più in nessun altro paese d’Europa. Diciamo così: in questo e nei
continui riferimenti alla ‘sostenibilità economica’, vedo la mano
dell’ex ministro Clini (oggi tornato direttore generale del ministero
dell’Ambiente, ndr)”.
(Fonte)
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