venerdì 28 giugno 2013

Rivoluzione democratica: potere al Parlamento Europeo



Un’Europa “normale”, cioè finalmente democratica, al posto del Palazzo degli Orrori che ci sta torturando in base ad un piano eversivo, golpista: costringerci alla resa fino a svendere i nostri beni ai padroni della Terra dopo aver demolito gli Stati sovrani, la loro economia e il sistema dei diritti a garanzia dei cittadini. Tutto questo, grazie alla complicità di partiti-canaglia ridotti a “maggiordomi” dell’élite mondiale, quella dei “proprietari universali” che – come in un nuovo medioevo feudale – pretendono per sé tutto il potere, grazie al micidiale ricatto della finanza e al ferreo controllo su una moneta non più nostra. Per cancellare l’incubo c’è una sola via: il recupero politico della piena sovranità democratica. Punto numero uno: costruire una grande coalizione che pretenda un’Europa non più nemica. Un’Europa solidale, che lavori per il bene del 99% anziché per la sua rovina, a esclusivo beneficio – come avviene oggi – della super-casta planetaria, quella delle lobby onnipotenti che dettano, letteralmente, le direttive della nostra condanna. La Commissione Europea? Va semplicemente abolita. Gli europei meritano un governo democratico, emanato dal loro Parlamento regolarmente eletto.

E’ l’idea-forza del “Manifesto per l’Europa” redatto da “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Tra i firmatari, economisti e intellettuali di varia provenienza, dall’italo-danese Bruno Amoroso al console italiano in Francia, Agostino Chiesa Alciator, passando per liberi pensatori come Piero Pagliani e Pierluigi Fagan. Documento presentato in anteprima il 17 giugno a Bruxelles di fronte a gruppi, associazioni e partiti europei provenienti da Italia, Germania, Danimarca, Spagna, Grecia, ma anche Russia, Bulgaria, Estonia e Lettonia. Il piano: collegare risorse nazionali, mobilitare forze, puntare a una convergenza europea su una piattaforma democratica comune, in vista delle elezioni del 2014. Da tutti i paesi membri deve salire, per la prima volta nella storia, la voce di chi pretende che cambino innanzitutto le regole, perché l’attuale Unione Europea sembra costruita appositamente per produrre crisi, recessione, povertà e disperazione. 
   
Esplicito il linguaggio del documento: «Un club planetario a vocazione totalitaria sta distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia, la nostra libertà». Futuro in pericolo: «Gradualmente, senza che ce ne rendessimo conto, siamo stati consegnati nelle mani di un’oligarchia senza patria e senz’anima, il cui unico collante è il delirio di onnipotenza derivante dal possesso del denaro infinito che essa crea». Sul banco degli imputati, i veri dominatori: i proprietari finali delle azioni di banche, fondi e corporation internazionali, «persone che nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma che determinano le nostre vite». Sostenuti da Parlamenti formalmente eletti ma in realtà nominati dall’alto, questi oligarchi «hanno consegnato il potere politico ed economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture prive di ogni legittimazione democratica». Sono le impalcature di un nuovo ordine mondiale in via di costruzione: «Si tratta di un’ipotesi eversiva e autoritaria che i pochissimi, e già smisuratamente ricchi, vogliono imporre a moltitudini ormai impoverite».

Un disegno aberrante, fondato sull’illusione della crescita infinita e destinato a produrre caos e guerre, poiché rifiuta di constatare la fine dell’era dell’abbondanza. Gli oligarchi, consapevoli del crescere della protesta popolare, si preparano a reprimerla: «Sanno della precarietà dell’inganno con cui hanno usurpato il potere, sanno che le loro presunte leggi economiche e monetarie sono una truffa globale. E sanno che il denaro virtuale mediante il quale ci dominano è destinato e finire in cenere». Per questo destabilizzano quel che resta delle nostre istituzioni democratiche e introducono nuove norme-capestro, «mentre si apprestano ad allungare le mani sulle ricchezze materiali ancora disponibili: territori, acqua, cibo, fabbriche, risparmi, storia, monumenti, “risorse umane”: se non li fermiamo le compreranno, a prezzi stracciati, privatizzandole con l’immensa massa di denaro virtuale, trasformato in debito, che stanno creando dal nulla a ritmi vertiginosi».

Alla fine resteranno intere popolazioni – cioè tutti noi – ridotte in miseria, ignoranza e schiavitù, senza più beni né diritti, e quindi senza futuro. La Grecia? E’ l’esempio pratico di una strategia già in atto. L’unica possibile salvezza economica è necessariamente di stampo keynesiano: esattamente l’opposto dei diktat della Troika. In sostanza: rimettere gli Stati nelle condizioni fare spesa pubblica e investire per i cittadini, dando respiro all’economia. Con che soldi? Anche con l’euro, trasformando la Bce in “prestatore di ultima istanza”, a patto però che Francoforte diventi un soggetto pubblico, di esclusiva proprietà delle singole banche centrali dei paesi europei, completamente nazionalizzate. Oppure, piano B: ripristinare le valute nazionali, come la lira, mantenendo l’euro – eventualmente – come divisa unitaria per gli scambi internazionali. Serve una rivoluzione finanziaria fondata sulla trasparenza: fine della speculazione, messa al bando dei titoli tossici e delle agenzie di rating, separazione tra banche d’affari e banche di raccolta, con divieto – per queste ultime – di mettere in pericolo, mediante operazioni a rischio, i capitali destinati al sostegno dell’economia reale.

In sintesi, riassume il documento di “Alternativa” nella sua parte economico-finanziaria, si tratta di abbandonare immediatamente l’opzione della triplice deregulation – borsistica, valutaria e doganale – adottata nei vigenti trattati europei in ossequio al liberismo più ottuso ed estremo. Più moneta circolante, grazie a banche nazionalizzate: e lo spettro dell’inflazione? E’ possibile neutralizzarlo «con svalutazioni che accompagnino il differenziale d’inflazione residuo, per esempio tra Stati Uniti e Unione Europea». Quanto alla prevedibile speculazione borsistico-valutaria, può essere bloccata da adeguati vincoli, mentre «le esportazioni di capitali e le delocalizzazioni contrarie all’interesse nazionale possono essere contenute all’interno della Ue dai vincoli valutario-doganali: si potrà così finalmente fondare la ricostituzione del sistema produttivo europeo sulla base della sua domanda interna, in regime di pareggio tendenziale dell’export-import».

Capitolo fondamentale, la domanda interna – quella che oggi è crollata, producendo lo sfacelo che stiamo vivendo. Non si scappa: per riattivarla servono possenti investimenti pubblici. Dove trovare i soldi? Tassando i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, ma soprattutto finanziando la spesa pubblica con bond collocati presso le future banche pubbliche: «Perfino l’attuale Trattato di Lisbona consente alla Bce di prestare allo 0,50%, esattamente come li presta a tutte le banche private dell’Eurozona (è così che fanno regolarmente i tedeschi), o “alla giapponese”, ossia forzosamente e al medesimo tasso, presso le banche private che operano nei vari territori nazionali, quale prezzo della licenza bancaria». Ciò che pesa, del debito pubblico, non è il suo valore assoluto e neppure il suo rapporto con il Pil, ma solo l’ammontare degli interessi annui netti, elevati e protratti nel tempo. «L’assurdo consiste oggi nel collocarli sui mercati finanziari, notoriamente speculativi: è la trappola dello spread».

In Italia, «basterebbe riportare in mano pubblica la Cassa Depositi e Prestiti, o creare un polo bancario pubblico in grado di ricevere il denaro al tasso praticato dalla Bce per le banche private». Così, «si otterrebbe un risparmio secco di 80 miliardi di euro», sui 90 miliardi  di soli interessi «che vengono ogni anno regalati alla speculazione». Problema: «E’ chiaro che abbandonare le tradizionali ricette liberiste in favore di queste ricette anti-liberiste vuol dire fare l’interesse della stragrande maggioranza della popolazione». Banche pubbliche, denaro a basso costo: se queste misure venissero adottate dai 17 paesi membri dell’Unione Europea, si dovrà regolare al loro interno il pareggio tendenziale dell’import-export, che oggi registra uno sbilancio di circa 150 miliardi l’anno, verso la Germania, da parte dei Piigs. Anche la Francia, conti alla mano, dovrebbe trovare conveniente associarsi ai paesi del Mediterraneo nella grande vertenza europea da cui può nascere la salvezza comune.

A monte, ovviamente, si impongono scelte drastiche preliminari: stracciare il Trattato di Maastricht, archiviare il Trattato di Lisbona, rifiutare in blocco il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio. Maastricht e Lisbona «costituiscono le basi dell’aggressione finanziaria contro i popoli europei». L’Europa ha di fronte un bivio drammatico: il suo suicidio a orologeria, o una vera e propria rivoluzione. L’Europa di domani «deve avere un governo democratico e una banca centrale che realizzi la politica di un tale governo, e non viceversa». Gli Stati che decideranno di far parte di questa nuova Europa «non dovranno essere considerati come degli stakeholder di minoranza di un’impresa, ma dovranno essere Stati sovrani che delegano parte della loro sovranità soltanto ed esclusivamente a un livello superiore di governo, che sia altrettanto democratico di quelli che sarà chiamato a coordinare». L’adesione a questa nuova Europa non potrà che essere decisa dai popoli: «Ad essi, e solo ad essi, spetterà – via referendum – la decisione finale dell’adesione».

“Alternativa” delinea le tappe di un processo costituente, organizzato dalle attuali istituzioni europee «ma con la partecipazione, in ogni fase, delle società civili, delle popolazioni e dei Parlamenti nazionali». Nella nuova “Europa 2.0” sarà il Parlamento Europeo, «unica istituzione attualmente espressione delle istanze dal basso», a svolgere un ruolo decisivo a partire dalla sua nuova legislatura, prevista per il 2014. Tra un anno, gli elettori europei dovranno assolutamente avere la possibilità di votare un programma comune, per riaprire il futuro. Prima richiesta: una Assemblea Costituente Europea, formata da tutte le componenti: autorità di Bruxelles, rappresentanti del 27 Parlamenti nazionali, capi di Stato e di governo, Parlamento Europeo e Forum Sociale composto da associazioni, gruppi, comitati, partiti, sindacati, enti di autogoverno e di governo delle istituzioni dei livelli sottostanti della società civile e politica.

Missione del Forum, la trasparenza. Ovvero: valutare il procedere dei lavori e diffondere informazioni per portare il lavoro costituente al centro dell’attenzione del dibattito pubblico europeo. Operazione perestrojka, per riformare l’Unione Europea e farne finalmente un soggetto pubblico pienamente legittimo, con un governo democratico emanato dal Parlamento Europeo, diretta espressione della volontà dei cittadini. Solo un sogno? Forse non più. Il laboratorio di “Alternativa” si è messo in moto, a livello europeo, per provare a tessere una trama capace di costringere la politica a dare le risposte che tutti attendono. Una sfida che ha di fronte ostacoli smisurati e nemici potentissimi. Ma proprio la drammaticità della crisi potrebbe bruciare i tempi: se l’epoca dei “maggiordomi” sta davvero finendo, l’Europa dei cittadini potrebbe decidersi a pretendere di essere governata da istituzioni degne, indipendenti e democratiche.
(Fonte)
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