Un’Europa
“normale”, cioè finalmente democratica, al posto del Palazzo degli
Orrori che ci sta torturando in base ad un piano eversivo, golpista:
costringerci alla resa fino a svendere i nostri beni ai padroni della
Terra dopo aver demolito gli Stati sovrani, la loro economia e il sistema dei diritti
a garanzia dei cittadini. Tutto questo, grazie alla complicità di
partiti-canaglia ridotti a “maggiordomi” dell’élite mondiale, quella dei
“proprietari universali” che – come in un nuovo medioevo feudale –
pretendono per sé tutto il potere, grazie al micidiale ricatto della finanza
e al ferreo controllo su una moneta non più nostra. Per cancellare
l’incubo c’è una sola via: il recupero politico della piena sovranità
democratica. Punto numero uno: costruire una grande coalizione che
pretenda un’Europa non più nemica. Un’Europa
solidale, che lavori per il bene del 99% anziché per la sua rovina, a
esclusivo beneficio – come avviene oggi – della super-casta planetaria,
quella delle lobby onnipotenti che dettano, letteralmente, le direttive
della nostra condanna. La Commissione Europea? Va semplicemente abolita.
Gli europei meritano un governo democratico, emanato dal
loro Parlamento regolarmente eletto.
E’ l’idea-forza del “Manifesto per l’Europa” redatto da “Alternativa”, laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Tra i firmatari, economisti e intellettuali
di varia provenienza, dall’italo-danese Bruno Amoroso al console
italiano in Francia, Agostino Chiesa Alciator, passando per liberi
pensatori come Piero Pagliani e Pierluigi Fagan. Documento presentato in
anteprima il 17 giugno a Bruxelles di fronte a gruppi, associazioni e
partiti europei provenienti da Italia, Germania, Danimarca, Spagna,
Grecia, ma anche Russia, Bulgaria, Estonia e Lettonia. Il piano:
collegare risorse nazionali, mobilitare forze, puntare a una convergenza
europea su una piattaforma democratica comune, in vista delle elezioni
del 2014. Da tutti i paesi membri deve salire, per la prima volta nella
storia, la voce di chi pretende che cambino innanzitutto le regole,
perché l’attuale Unione Europea sembra costruita appositamente per
produrre crisi, recessione, povertà e disperazione.
Esplicito il linguaggio del documento: «Un club planetario a vocazione totalitaria sta distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia,
la nostra libertà». Futuro in pericolo: «Gradualmente, senza che ce ne
rendessimo conto, siamo stati consegnati nelle mani di un’oligarchia
senza patria e senz’anima, il cui unico collante è il delirio di
onnipotenza derivante dal possesso del denaro infinito che essa crea».
Sul banco degli imputati, i veri dominatori: i proprietari finali delle
azioni di banche, fondi e corporation internazionali, «persone che
nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma che determinano le
nostre vite». Sostenuti da Parlamenti formalmente eletti ma in realtà
nominati dall’alto, questi oligarchi «hanno consegnato il potere
politico ed economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture
prive di ogni legittimazione democratica». Sono le impalcature di un
nuovo ordine mondiale in via di costruzione: «Si tratta di un’ipotesi
eversiva e autoritaria che i pochissimi, e già smisuratamente ricchi, vogliono imporre a moltitudini ormai impoverite».
Un disegno aberrante, fondato sull’illusione della crescita infinita e
destinato a produrre caos e guerre, poiché rifiuta di constatare la
fine dell’era dell’abbondanza. Gli oligarchi, consapevoli del crescere
della protesta popolare, si preparano a reprimerla: «Sanno della
precarietà dell’inganno con cui hanno usurpato il potere, sanno che le
loro presunte leggi economiche e monetarie sono una truffa globale. E
sanno che il denaro virtuale mediante il quale ci dominano è destinato e
finire in cenere». Per questo destabilizzano quel che resta delle
nostre istituzioni democratiche e introducono nuove norme-capestro,
«mentre si apprestano ad allungare le mani sulle ricchezze materiali
ancora disponibili: territori, acqua, cibo, fabbriche, risparmi, storia,
monumenti, “risorse umane”: se non li fermiamo le compreranno, a prezzi
stracciati, privatizzandole con l’immensa massa di denaro virtuale,
trasformato in debito, che stanno creando dal nulla a ritmi
vertiginosi».
Alla fine resteranno intere popolazioni – cioè tutti noi – ridotte in miseria, ignoranza e schiavitù, senza più beni né diritti,
e quindi senza futuro. La Grecia? E’ l’esempio pratico di una strategia
già in atto. L’unica possibile salvezza economica è necessariamente di
stampo keynesiano: esattamente l’opposto dei diktat della Troika. In
sostanza: rimettere gli Stati nelle condizioni fare spesa pubblica e
investire per i cittadini, dando respiro all’economia.
Con che soldi? Anche con l’euro, trasformando la Bce in “prestatore di
ultima istanza”, a patto però che Francoforte diventi un soggetto
pubblico, di esclusiva proprietà delle singole banche centrali dei paesi
europei, completamente nazionalizzate. Oppure, piano B: ripristinare le
valute nazionali, come la lira, mantenendo l’euro – eventualmente –
come divisa unitaria per gli scambi internazionali. Serve una
rivoluzione finanziaria fondata sulla trasparenza: fine della
speculazione, messa al bando dei titoli tossici e delle agenzie di
rating, separazione tra banche d’affari e banche di raccolta, con
divieto – per queste ultime – di mettere in pericolo, mediante operazioni a rischio, i capitali destinati al sostegno dell’economia reale.
In sintesi, riassume il documento di “Alternativa” nella sua parte
economico-finanziaria, si tratta di abbandonare immediatamente l’opzione
della triplice deregulation – borsistica, valutaria e doganale –
adottata nei vigenti trattati europei in ossequio al liberismo più
ottuso ed estremo. Più moneta circolante, grazie a banche
nazionalizzate: e lo spettro dell’inflazione? E’ possibile
neutralizzarlo «con svalutazioni che accompagnino il differenziale
d’inflazione residuo, per esempio tra Stati Uniti e Unione Europea».
Quanto alla prevedibile speculazione borsistico-valutaria, può essere
bloccata da adeguati vincoli, mentre «le esportazioni di capitali e le
delocalizzazioni contrarie all’interesse nazionale possono essere
contenute all’interno della Ue dai vincoli valutario-doganali: si potrà
così finalmente fondare la ricostituzione del sistema produttivo europeo
sulla base della sua domanda interna, in regime di pareggio tendenziale
dell’export-import».
Capitolo fondamentale, la domanda interna – quella che oggi è
crollata, producendo lo sfacelo che stiamo vivendo. Non si scappa: per
riattivarla servono possenti investimenti pubblici. Dove trovare i
soldi? Tassando i grandi patrimoni e le rendite finanziarie, ma
soprattutto finanziando la spesa pubblica con bond collocati presso le
future banche pubbliche: «Perfino l’attuale Trattato di Lisbona consente
alla Bce di prestare allo 0,50%, esattamente come li presta a tutte le
banche private dell’Eurozona (è così che fanno regolarmente i tedeschi),
o “alla giapponese”, ossia forzosamente e al medesimo tasso, presso le
banche private che operano nei vari territori nazionali, quale prezzo
della licenza bancaria». Ciò che pesa, del debito pubblico, non è il suo
valore assoluto e neppure il suo rapporto con il Pil, ma solo
l’ammontare degli interessi annui netti, elevati e protratti nel tempo. «L’assurdo consiste oggi nel collocarli sui mercati finanziari, notoriamente speculativi: è la trappola dello spread».
In Italia, «basterebbe riportare in mano pubblica la Cassa Depositi e
Prestiti, o creare un polo bancario pubblico in grado di ricevere il
denaro al tasso praticato dalla Bce per le banche private». Così, «si
otterrebbe un risparmio secco di 80 miliardi di euro», sui 90 miliardi
di soli interessi «che vengono ogni anno regalati alla speculazione».
Problema: «E’ chiaro che abbandonare le tradizionali ricette liberiste
in favore di queste ricette anti-liberiste vuol dire fare l’interesse
della stragrande maggioranza della popolazione». Banche pubbliche,
denaro a basso costo: se queste misure venissero adottate dai 17 paesi
membri dell’Unione Europea, si dovrà regolare al loro interno il
pareggio tendenziale dell’import-export, che oggi registra uno sbilancio
di circa 150 miliardi l’anno, verso la Germania, da parte dei Piigs.
Anche la Francia, conti alla mano, dovrebbe trovare conveniente
associarsi ai paesi del Mediterraneo nella grande vertenza europea da
cui può nascere la salvezza comune.
A monte, ovviamente, si impongono scelte drastiche preliminari:
stracciare il Trattato di Maastricht, archiviare il Trattato di Lisbona,
rifiutare in blocco il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.
Maastricht e Lisbona «costituiscono le basi dell’aggressione finanziaria
contro i popoli europei». L’Europa ha di fronte un bivio drammatico: il suo suicidio a orologeria, o una vera e propria rivoluzione. L’Europa di domani «deve avere un governo democratico e una banca centrale che realizzi la politica di un tale governo, e non viceversa». Gli Stati che decideranno di far parte di questa nuova Europa «non dovranno essere considerati come degli stakeholder
di minoranza di un’impresa, ma dovranno essere Stati sovrani che
delegano parte della loro sovranità soltanto ed esclusivamente a un
livello superiore di governo, che sia altrettanto democratico di quelli
che sarà chiamato a coordinare». L’adesione a questa nuova Europa non potrà che essere decisa dai popoli: «Ad essi, e solo ad essi, spetterà – via referendum – la decisione finale dell’adesione».
“Alternativa” delinea le tappe di un processo costituente,
organizzato dalle attuali istituzioni europee «ma con la partecipazione,
in ogni fase, delle società civili, delle popolazioni e dei Parlamenti
nazionali». Nella nuova “Europa
2.0” sarà il Parlamento Europeo, «unica istituzione attualmente
espressione delle istanze dal basso», a svolgere un ruolo decisivo a
partire dalla sua nuova legislatura, prevista per il 2014. Tra un anno,
gli elettori europei dovranno assolutamente avere la possibilità di
votare un programma comune, per riaprire il futuro. Prima richiesta: una
Assemblea Costituente Europea, formata da tutte le componenti: autorità
di Bruxelles, rappresentanti del 27 Parlamenti nazionali, capi di Stato
e di governo, Parlamento Europeo e Forum Sociale composto da
associazioni, gruppi, comitati, partiti, sindacati, enti di autogoverno e
di governo delle istituzioni dei livelli sottostanti della società
civile e politica.
Missione del Forum, la trasparenza. Ovvero: valutare il procedere dei
lavori e diffondere informazioni per portare il lavoro costituente al
centro dell’attenzione del dibattito pubblico europeo. Operazione perestrojka,
per riformare l’Unione Europea e farne finalmente un soggetto pubblico
pienamente legittimo, con un governo democratico emanato dal Parlamento
Europeo, diretta espressione della volontà dei cittadini. Solo un sogno?
Forse non più. Il laboratorio di “Alternativa” si è messo in moto, a
livello europeo, per provare a tessere una trama capace di costringere
la politica
a dare le risposte che tutti attendono. Una sfida che ha di fronte
ostacoli smisurati e nemici potentissimi. Ma proprio la drammaticità
della crisi potrebbe bruciare i tempi: se l’epoca dei “maggiordomi” sta davvero finendo, l’Europa dei cittadini potrebbe decidersi a pretendere di essere governata da istituzioni degne, indipendenti e democratiche.
(Fonte)
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