Ora sappiamo esattamente cosa uccide le api: l’estinzione delle
colonie di api in tutto il mondo non è un grande mistero come vorrebbero
farci credere le aziende chimiche. Gli scienziati conoscono il
problema: sanno che le api da miele stanno morendo per via dei pesticidi
in agricoltura, della siccità, della distruzione del loro habitat
naturale, del riscaldamento. I biologi, spiega Rex Weyler di
“Greenpeace”, hanno trovato tracce di 150 diversi pesticidi chimici nel
polline delle api, un cocktail mortale secondo Eric Mussen, apicoltore
della University of California. Le aziende chimiche Bayer, Syngenta,
Basf, Dow, DuPont e Monsanto hanno scrollato le spalle, come se il
“mistero” fosse troppo complesso per essere decifrato. E comunque, «non
hanno messo in atto alcun cambiamento in merito alle politiche sui
pesticidi: dopotutto, la vendita di veleni a coltivatori in tutto il
mondo è vantaggiosa». Come se non bastasse, l’habitat delle api
selvatiche si riduce di anno in anno a causa dell’attività
agroindustriale che distrugge praterie e foreste per lasciar spazio alle
monocolture, contaminate dai veleni.
«Per fermare il processo di estinzione delle api, dobbiamo rivedere
il nostro sistema agricolo malato e distruttivo», scrive Weyler in un
intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, che indaga sulla scomparsa delle api. L’Apis mellifera, nativa d’Europa,
Africa e Asia occidentale, sta letteralmente scomparendo, insieme
all’ape mellifera orientale. Fenomeno tutt’altro che irrilevante: «Le
api mellifere, sia selvatiche che domestiche, sono responsabili dell’80%
dell’impollinazione del nostro pianeta», spiega lo specialista di
“Greenpeace”. «Una sola colonia di api può impollinare 300 milioni di
fiori ogni giorno». Un ruolo decisivo: se infatti i cereali sono
principalmente impollinati dal vento, i cibi più salutari – frutta, noci
e verdura – sono impollinati proprio dalle api, responsabili della
sopravvivenza di qualcosa come «settanta delle 100 specie di colture
alimentari dell’uomo, che corrispondono al 90% del nutrimento mondiale».
Tonio Borg, commissario europeo per la salute e le politiche dei
consumatori, ha calcolato che le api «contribuiscono all’agricoltura
europea per una cifra pari a 22 miliardi di euro (30 miliardi di
dollari)». Nel mondo si stima che il valore dell’impollinazione connessa
alla produzione di cibo per l’uomo, da parte delle api, superi i 265
miliardi di euro, 350 miliardi di dollari. «L’estinzione delle api è una
sfida come il riscaldamento globale, l’acidificazione degli oceani e la
guerra nucleare», avverte Weyler. «L’uomo difficilmente sopravvivrebbe ad un’estinzione totale delle api». Negli Usa,
primo paese in cui le api hanno iniziato a scarseggiare, le perdite
invernali raggiungono il 30-50% o peggio. Nel 2006 David Hackenberg, un
apicoltore con 42 anni di esperienza, ha rilevato perdite del 90% tra i
suoi 3.000 alveari. Lo stesso Dipartimento statunitense dell’agricoltura
dimostra la scomparsa delle api: si è passati dai 6 milioni di alveari
del 1947 ad appena 2,4 milioni di alveari nel 2008, una riduzione del
60%. «Il numero delle colonie di api operaie per ettaro fornisce una
visione critica sulla salute delle colture». Negli Stati Uniti, tra le
coltivazioni che richiedono impollinazione da api, il numero di colonie è
diminuito del 90% rispetto al 1962: «Le api non fanno in tempo a sostituire le perdite invernali e subiscono la perdita del loro habitat naturale».
In Europa,
Asia e Sud America il numero di perdite annuale è inferiore a quello
degli Stati Unti, ma la tendenza è simile con una risposta più incisiva.
La Rapobank sostiene che in Europa
le perdite annuali raggiungono il 30-35% e che il numero di colonie per
ettaro è diminuito del 25%. Uno studio scientifico delle autorità
europee per la sicurezza alimentare mostra che tre dei pesticidi più
largamente utilizzati – Clothiniadina, Imidacloprid e Thiametoxam, a
base di nicotina – costituiscono un rischio elevato per le api. Un
report scientifico di “Greenpeace” identifica sette principali pesticidi
mortali per le api, inclusi i tre colpevoli a base di nicotina, oltre a
Clorpyriphos, Cypermethrin, Deltamethrin e Fipronil. I tre
“neonecotinoidi” agiscono sul sistema nervoso dell’insetto e si
accumulano nelle singole api e in intere colonie, anche nel miele che
usano per sfamare le larve appena nate. Le api che non muoiono
immediatamente subiscono effetti sistemici sub-letali, difetti dello
sviluppo, debolezza e perdita dell’orientamento. «La scomparsa lascia
scampo a poche api e quelle che sopravvivono sono deboli e devono
lavorare di più per produrre miele in un habitat consumato. E’ questo –
sottolinea Weyler – l’incubo che sta portando alla scomparsa delle
colonie d’api».
L’Imidacloprid e il Clothianidin sono prodotti e commercializzati
dalla Bayer, mentre la Thiamethoxam è fornita dalla Syngenta. Nel solo
2009 – rivela “Greenpeace” – questi tre veleni hanno raggiunto un giro
d’affari di 2 miliardi di euro sul mercato mondiale. Quasi il 100% del
mercato di pesticidi, piante e Ogm controllato da Syngenta, Bayer, Dow,
Monsanto e DuPont. «Nel 2012, un tribunale tedesco ha condannato
Syngenta per falsa testimonianza, per aver nascosto il report prodotto
dalla multinazionale stessa che spiegava come il granturco geneticamente
modificato avesse causato la morte del bestiame». Negli Usa, l’azienda ha sborsato 105 milioni di
dollari per una causa collettiva per aver inquinato l’acqua potabile di
oltre 50 milioni di cittadini con il suo pesticida Atrazine.
«Oggi – accusa Weyler – queste inquinanti aziende finanziano campagne
da milioni e milioni di euro per negare le loro responsabilità in
relazione alla scomparsa delle colonie d’api». Mentre la Commissione
Europea ha proibito l’utilizzo dei “neonicotinoidi” per due anni e un
divieto più lungo su altri pesticidi – intervallo che gli scienziati
utilizzeranno per favorire il recupero delle api sul lungo termine – gli
Stati Uniti tergiversano e intanto sostengono le aziende che producono e
commercializzano i veleni mortali. Lo stesso Obama ha appena firmato il
famigerato “Monsanto Protection Act“, scritto dai lobbisti della
multinazionale, grazie al quale le compagnie biotecnologiche ottengono
l’immunità nelle corti federali degli Stati Uniti per i danni causati
alle persone e all’ambiente dai loro interessi commerciali.
Eppure, sostiene Weyler, le soluzioni esistono: a salvare le api basterebbe il buonsenso. Lo dicono gli scienziati, l’Europa
e la stessa “Greenpeace”, nel rapporto “Bees in Decline”. Primo:
proibire i sette pesticidi più pericolosi. Poi: proteggere la salute
degli impollinatori preservando l’ambiente in cui vivono. E infine:
ripristinare l’agricoltura biologica, che si sta rivelando la nuova
tendenza verso il futuro
e si stima che porterà ad una stabilizzazione della produzione di
alimenti per l’uomo e alla protezione delle api e del loro habitat. Il
Bhutan è il primo paese al mondo ad avere una politica
agricola biologica al 100%. Il Messico ha proibito il granturco
geneticamente modificato per proteggere le specie native. Lo scorso
gennaio otto paesi europei hanno proibito le colture Ogm e l’Ungheria ha
bruciato più di mille acri di granturco contaminato da varietà
manipolate. In India, negli ultimi due
anni, Vandana Shiva ha avviato, con un gruppo di piccoli agricoltori,
una “resistenza biologica” contro l’agricoltura intensiva.
«L’agricoltura ecologica, o biologica, non è sicuramente una novità: è la tecnica agricola più utilizzata nella storia»,
ricorda Weyler. «Le colture biologiche resistono ai danni provocati
dagli insetti, evitando le grandi monocolture e preservando la
biodiversità». Inoltre, l’agricoltura “verde” ristabilisce i nutrimenti
del terreno con la concimazione, evitando l’erosione del suolo dovuta al
vento e al sole, senza ovviamente ricorrere all’impiego di pesticidi e
fertilizzanti chimici. «Ripopolando e rinforzando le colonie d’api –
dice “Greenpeace” – l’agricoltura biologica favorisce l’impollinazione,
che a sua volta propizia il rendimento agricolo». E’ semplice:
l’agricoltura “bio” sfrutta i servizi naturali dell’ecosistema, la
filtrazione dell’acqua, l’impollinazione, la produzione di ossigeno e il
controllo dei parassiti. «I coltivatori biologici hanno richiesto un
miglior sistema di ricerca e sostegno da parte delle industrie, dei
governi, dei coltivatori e del pubblico, per poter sviluppare tecniche
di coltura biologica, migliorare la produzione e mantenere sano
l’ecosistema». La “rivoluzione agricola” promuoverebbe diete
equilibrate nel mondo e supporterebbe le colture ad uso umano, evitando
l’utilizzo di terreni per i pascoli e i biocombustibili.
«La questione delle api – conclude Weyler – è un avvertimento da
parte dell’ecosistema». Gli oppositori delle grandi aziende si
aggrappano alla presunta libertà di consumo, puntando solo al profitto
di pochi, «ma l’accumulo di denaro non ci aiuterà contro l’estinzione,
non riporterà i terreni perduti, né curerà le colonie di api del mondo».
Secondo l’attivista di “Greenpeace”, «l’umanità subirà severe punizioni
se non rimedia ai propri errori: l’equilibrio dei sistemi che regolano
la Terra è delicato e potrebbe raggiungere il punto di non ritorno e
collassare». Le api, nel loro piccolo, lavorano per un tornaconto
modesto e marginale rispetto all’energia che bruciano per tenere in
piedi l’agricoltura mondiale. Rachel Carson, ricorda Weyler, aveva
predetto questi problemi mezzo secolo fa: la scomparsa delle colonie
d’api è pericolosa quanto il riscaldamento globale e la distruzione
delle foreste. Anche a noi saremo a rischio di estinzione: salvare le
api significa salvare il pianeta.
(Fonte)
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