Boom di sfrattati, azzerato il fondo di sostegno per gli affitti. E
così, dopo gli immigrati, ora è il ceto medio impoverito che
partecipa ai blitz nelle case vuote per evitare di finire a dormire per
strada
Altre 67.790 famiglie italiane rischiano di finire in strada. Il
ministero dell’Interno ha diffuso i dati sugli sfratti del 2012 che
raccontano con la cinica freddezza dei numeri il dramma dell'onda lunga
della crisi che sta colpendo duramente chi non ha mai avuto soldi per
comprare una casa e ora non ha nemmeno più i mezzi per pagarne
l’affitto.
E’ il volto degli sfrattati, il volto più buio di dodici mesi da
paura, tra tasse sulla casa schizzate alle stelle e indici di
disoccupazione troppo elevati per non denunciare un malessere profondo.
È un esercito di persone, sempre più numeroso ovunque, da Milano a
Palermo. Nel 2012 sono stati emessi 67.790 nuovi provvedimenti, il
6,18% in più del 2011. Per la prima volta hanno superato la soglia dei
60mila gli sfratti per morosità, quelli dovuti alla incapacità di pagare
da parte dell’inquilino, sono a quota 60.244 e rappresentano l’88,86%
delle nuove sentenze emesse. E questo è ancora nulla perché ancora si
devono far sentire gli effetti dell’azzeramento del finanziamento del
fondo sociale per gli affitti, cancellato per il 2013 con un colpo di
mano a sorpresa lo scorso dicembre. A rischio ci sono altre 300 mila
famiglie che vanno ad aggiungersi alle centinaia di migliaia di persone
che hanno ricevuto un ordine di lasciare la loro casa negli anni scorsi.
Sono le cifre di un dramma che dilaga e travolge anche chi
pensava di potercela fare. Basta una spesa imprevista, un intoppo
finanziario qualsiasi, per finire nel girone degli sfrattati. Da quel
momento in poi la strada diventa un faticoso cammino tra porte chiuse
perché è difficile trovare qualcuno in grado di dare una mano a chi è
finito in strada. Non ci riesce la politica, se non in pochi, limitati
casi: da tempo non esistono più Piani per la costruzione di case
popolari né a livello nazionale né a livello locale, e solo qualche
giorno fa un gruppo di senatori del Pd ha portato il problema
all’attenzione del nuovo governo chiedendo una nuova proroga sui
provvedimenti in corso, risorse e un Piano. Ci riescono sempre meno
anche le famiglie, il welfare super-garantito delle mamme e dei papà che
finora hanno tenuto in piedi l’Italia: i tagli alle pensioni e le tasse
sulle case hanno messo in ginocchio anche loro.
Alla fine, a chi non ha più nulla, resta un’ultima porta aperta,
quella degli sportelli dei Movimenti per il diritto alla casa. «Ormai si
rivolgono a noi anche i Municipi: quando c’è uno sfratto ce lo
segnalano e ci chiedono di andare a fare un picchetto per impedire che
le persone vengano mandate via», raccontano gli attivisti. A Roma sono
saliti quasi a 60 gli edifici pubblici e privati presi d’assalto. Gli
ultimi nove sono stati requisiti il 6 aprile con un blitz organizzato
dal Coordinamento cittadino di lotta per la casa, dai i Blocchi precari
metropolitani, Action e i Movimenti per il diritto all’abitare. Un’altra
decina di edifici erano stati occupati a dicembre. Circa tremila
famiglie salvate dalla strada dove molti già vivevano.
Ma se fino a due anni fa ad entrare negli immobili altrui erano
soprattutto immigrati senza permesso di soggiorno, rom e precari vicini
ai collettivi e ai movimenti di lotta, da qualche mese è diverso. Ad
occupare sono i nostri vicini di casa che non ce la fanno più, quelli
che abbiamo incontrato in strada per anni finché un giorno l’ufficiale
giudiziario è arrivato a mandarli via. Sono pensionate e pensionati,
badanti e baby sitter troppo spesso senza tutele e in balia di persone
senza scrupoli, che le buttano via come un giocattolo rotto se sono
incinte. Sono gli idraulici e i pittori sconfitti dalle tasse che hanno
svuotato le tasche di chi ancora si permetteva il lusso di fare piccoli o
grandi lavori di ristrutturazione in casa.
Molti di loro hanno fatto domanda per gli alloggi dell’edilizia
popolare e come unica risposta hanno ottenuto un triste silenzio. Dopo
mesi di nulla, e spesso di vita sotto i ponti, hanno capito di non avere
alternativa. Hanno iniziato a sfidare la legge e le regole della
società. Ma, se a farlo è una nonna di quasi 71 anni con 23 anni di
lavoro come portantina e di contributi alle spalle e nessun tipo di
pendenza con lo Stato, è la società ad avere un problema, non la nonna.
(Fonte)
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