sabato 8 giugno 2013

OGNUNO HA LE SUE TOGHE ... MA LA GIUSTIZIA?

TOGHE AZZURRE 

Berlusconi accusa i pm rossi, ma al suo fianco ci sono magistrati di peso che si dedicano a salvarlo dai guai




Toghe rosse? No, azzurre. Vent’anni di bombardamenti della propaganda berlusconiana su fantomatici complotti dei giudici al servizio dei comunisti (o viceversa) rischiano di far dimenticare il ruolo e l’importanza dei magistrati che sono invece scesi in campo con il centrodestra. Con le ultime elezioni la pattuglia dei giudici diventati parlamentari si è dimezzata: tra Camera e Senato, l’associazione Openpolis ne ha contati nove (cinque del Pd, tre del Pdl, uno di Scelta Civica), contro i diciassette della precedente legislatura. Eppure prima e dopo la campagna elettorale si è parlato moltissimo di loro. Non di tutti, però, solo di alcuni: da Piero Grasso, l’ex procuratore antimafia eletto presidente del Senato con il Pd, ad Antonio Ingroia, il pm di Palermo che dopo la bocciatura politica ora si oppone al trasferimento alla procura di Aosta.


Ma anche il partito di Berlusconi non ha mai smesso di candidare e continua tutt’oggi a portare in parlamento toghe di grande esperienza come l’ex ministro Francesco Nitto Palma e l’ex sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo. Rieletti al Senato, hanno già sfornato disegni di legge assai contestati, soprattutto dai magistrati rimasti nei tribunali. Caliendo [nella foto in alto mentre partecipa da magistrato contro i magistrati davanti al Tribunale di Milano] si è messo in luce come teorico della riforma che punta a dimezzare le pene per il concorso esterno in associazione mafiosa: una leggina ribattezzata dai critici “salva-Dell’Utri” (e per ora accantonata) per il suo sicuro effetto di evitare la galera al manager fondatore di Forza Italia, ricondannato in appello a sette anni proprio per quel reato. Nel frattempo Nitto Palma, numero uno del Pdl in Campania, si è fatto notare prima per la scelta di visitare in carcere l’ex sottosegretario Nicola Cosentino, arrestato per camorra, e poi per una raffica di progetti di legge (al momento nove, ma di altri sette è cofirmatario) che hanno fatto rumore: dal rilancio del condono per l’abusivismo edilizio, ai nuovi illeciti disciplinari a geometria variabile per colpire i pm ritenuti politicizzati. 

Il bello è che nessuno ha mai accusato loro, i due ex magistrati berlusconiani, di aver fatto politica con indagini e processi, nonostante la delicatezza dei tanti fascicoli trattati. Caliendo, napoletano d’origine, è stato per più di trent’anni giudice e sostituto procuratore generale aMilano e poi in Cassazione, diventando anche capocorrente al Csm: un magistrato ascoltatissimo dal centrodestra (grazie ai buoni rapporti con ex dc come Giuseppe Gargani) ancor prima di entrare in parlamento nel 2008. Mentre Nitto Palma è stato uno dei pm di punta della procura di Roma, prima di diventare amico di Cesare Previti (l’ex ministro oggi pregiudicato) e sbarcare in parlamento nel 2001, segnalandosi subito per un tentativo di resuscitare l’immunità parlamentare totale. Oggi è il presidente della commissione giustizia del Senato.

Nel lustro 2008-2013, tra i magistrati in aspettativa perché eletti, il Pd ne schierava 9, il Pdl 7 e i centristi uno. Oggi alla Camera, stando alle autocertificazioni dei diretti interessati, resistono tre giudici, equamente divisi: Donatella Ferrante del Pd, Stefano Dambruoso di Scelta Civica, Ignazio Abrignani del Pdl. A ben guardare, però, quest’ultimo non è un magistrato, ma un avvocato civilista siciliano, fedele all’ex ministro Scajola, che faceva anche il giudice tributario. Al Senato invece il Pd batte il Pdl per quattro a due, con l’ex pm Felice Casson, Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Piero Grasso, che peraltro si è dimesso dalla magistratura appena candidato. Le due toghe azzurre in compenso pesano molto: Caliendo e Nitto Palma sono tra i pochissimi in grado di influenzare la linea di Berlusconi sulla giustizia, tema tornato urgente dopo la condanna anche in appello per le maxifrodi fiscali sui diritti tv di Mediaset.

Preziosissimo, per il miliardario di Arcore, è anche il lavoro dei magistrati che entrano nei palazzi come tecnici. Tra i più in vista c’è il giudice romano in aspettativa Augusta Iannini, chiamata dal 2001 a dirigere il ministero della Giustizia e ora nominata vicepresidente dell’Autorità garante della privacy. Da sempre ostile ai pm milanesi, per replicare a una puntata di “Report” ha aperto un sito (augustaiannini.it) dove taccia di «maschilismo» chi la etichetta come «moglie di Bruno Vespa» e rivendica i suoi 35 anni di lavoro, portati benissimo, come «giudice imparziale». Qualità dimostrata, per altro, già ai tempi di Tangentopoli, quando chiese di astenersi sulla richiesta di arresto per Gianni Letta e Adriano Galliani, spiegando: «Siamo amici di famiglia». Ora, nel governissimo di Enrico Letta, brilla la stella di Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia e capocorrente di Magistratura Indipendente, capace di farsi eleggere al Csm da ben 553 magistrati benché chiacchierato (ma non indagato) per le intercettazioni di Calciopoli, del caso Santoro-Mills e della cosiddetta P3.

Con la nuova legislatura, intanto, il centrosinistra ha detto addio a ex magistrati del livello di Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore Silvia Della Monica o il giudice- scrittore Gianrico Carofiglio, senza contare gli ex pm che avevano lasciato la toga più di vent’anni fa, come Antonio Di Pietro o Luciano Violante. Ma anche il centrodestra ha rinunciato a ex magistrati di governo come Franco Frattini e Alfredo Mantovano, avvicinatisi a Monti e non ricandidati. Per non parlare di uomini di legge come Melchiorre Cirami, l’ex giudice di Agrigento entrato in Parlamento nel ’96 con l’Udc, passato nel ’98 al centrosinistra con l’Udeur e rieletto nel 2001 con il centrodestra dopo il patto Cuffaro-Berlusconi: portano ancora il suo nome la versione originale del “legittimo sospetto” (per fermare i processi, bastava chiederne il trasferimento) e il comma “super-513” (per annientare i verbali d’accusa, bastava far tacere il complice), subito dichiarato incostituzionale.

La fede nel Grande Sud del sottosegretario Gianfranco Miccichè (meno dell’1 per cento a Siracusa) ha tradito anche Roberto Centaro, altra toga azzurra in missione parlamentare dal 1996 al 2013: un presidente della commissione antimafia capace di polemizzare con tutte le procure, oltre che relatore della legge-bavaglio contro le intercettazioni. Incolmabile, poi, il vuoto lasciato da Alfonso Papa, ex pm di Napoli e Roma eletto nel 2008 con il Pdl: nel 2011 è diventato il primo parlamentare, dai tempi dell’esplosivista missino Massimo Abbatangelo, a entrare in carcere perdendo l’immunità. Tornato libero, Papa ha chiesto di riprendere il lavoro di magistrato, ma per ora resta imputato: in teoria dovrebbe preoccuparlo la condanna patteggiata dal suo coindagato, il piduista per sempre Luigi Bisignani, ma a suo favore gioca ancora il privilegio politico che gli ha garantito la distruzione delle prove più insidiose, le famigerate intercettazioni.

Il corteggiamento delle toghe ad Arcore, del resto, precede addirittura la nascita di Forza Italia. Correva l’anno 1993, quando Berlusconi riuscì a sfilare al pool Mani Pulite l’allora pm Tiziana Parenti: eletta dopo mille utilissime polemiche sulle tangenti rosse, ora fa l’avvocata ed è vicina al nuovo Psi. E dopo il trionfo di Forza Italia nel ’94 perfino Di Pietro e Piercamillo Davigo si videro offrire poltrone da ministri nel primo governo Berlusconi, che tre mesi dopo, al culmine delle indagini sulla Fininvest, varò il famoso decreto Biondi (niente carcere per le tangenti). Da allora Berlusconi gioca soprattutto in difesa: oggi il Pdl schiera 17 avvocati al Senato e 21 alla Camera. Ma su questo fronte il Pd post-giustizialista non teme i rivali-alleati: ha 9 legali tra i senatori e 37 tra i deputati. In totale nel nuovo parlamento, secondo i dati di Openpolis, si contano ben 105 avvocati, che a differenza dei magistrati possono continuare a fare processi (e incassare parcelle dai clienti) anche mentre hanno il potere di cambiare le leggi. 
(Fonte)
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