TOGHE AZZURRE
Berlusconi accusa i pm rossi, ma al suo fianco ci sono magistrati di peso che si dedicano a salvarlo dai guai
Toghe rosse? No, azzurre. Vent’anni di bombardamenti della propaganda
berlusconiana su fantomatici complotti dei giudici al servizio dei
comunisti (o viceversa) rischiano di far dimenticare il ruolo e
l’importanza dei magistrati che sono invece scesi in campo con il centrodestra.
Con le ultime elezioni la pattuglia dei giudici diventati parlamentari
si è dimezzata: tra Camera e Senato, l’associazione Openpolis ne ha
contati nove (cinque del Pd, tre del Pdl, uno di Scelta Civica), contro i
diciassette della precedente legislatura. Eppure prima e dopo la
campagna elettorale si è parlato moltissimo di loro. Non di tutti, però,
solo di alcuni: da Piero Grasso, l’ex procuratore antimafia eletto
presidente del Senato con il Pd, ad Antonio Ingroia, il pm di Palermo
che dopo la bocciatura politica ora si oppone al trasferimento alla
procura di Aosta.
Ma anche il partito di Berlusconi non ha mai smesso di candidare e
continua tutt’oggi a portare in parlamento toghe di grande esperienza
come l’ex ministro Francesco Nitto Palma e l’ex sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo.
Rieletti al Senato, hanno già sfornato disegni di legge assai
contestati, soprattutto dai magistrati rimasti nei tribunali. Caliendo [nella foto in alto mentre partecipa da magistrato contro i magistrati davanti al Tribunale di Milano]
si è messo in luce come teorico della riforma che punta a dimezzare le
pene per il concorso esterno in associazione mafiosa: una leggina
ribattezzata dai critici “salva-Dell’Utri” (e per ora accantonata) per
il suo sicuro effetto di evitare la galera al manager fondatore di Forza
Italia, ricondannato in appello a sette anni proprio per quel reato.
Nel frattempo Nitto Palma, numero uno del Pdl in Campania, si è fatto
notare prima per la scelta di visitare in carcere l’ex sottosegretario
Nicola Cosentino, arrestato per camorra, e poi per una raffica di
progetti di legge (al momento nove, ma di altri sette è cofirmatario)
che hanno fatto rumore: dal rilancio del condono per l’abusivismo
edilizio, ai nuovi illeciti disciplinari a geometria variabile per
colpire i pm ritenuti politicizzati.
Il bello è che nessuno ha mai accusato loro, i due ex magistrati berlusconiani, di aver fatto politica con indagini e processi,
nonostante la delicatezza dei tanti fascicoli trattati. Caliendo,
napoletano d’origine, è stato per più di trent’anni giudice e sostituto
procuratore generale aMilano e poi in Cassazione, diventando anche
capocorrente al Csm: un magistrato ascoltatissimo dal centrodestra
(grazie ai buoni rapporti con ex dc come Giuseppe Gargani) ancor prima
di entrare in parlamento nel 2008. Mentre Nitto Palma è stato uno dei pm
di punta della procura di Roma, prima di diventare amico di Cesare Previti (l’ex ministro oggi pregiudicato) e sbarcare in parlamento nel 2001, segnalandosi subito per un tentativo di resuscitare l’immunità parlamentare totale. Oggi è il presidente della commissione giustizia del Senato.
Nel lustro 2008-2013, tra i magistrati in aspettativa perché eletti,
il Pd ne schierava 9, il Pdl 7 e i centristi uno. Oggi alla Camera,
stando alle autocertificazioni dei diretti interessati, resistono tre
giudici, equamente divisi: Donatella Ferrante del Pd, Stefano Dambruoso
di Scelta Civica, Ignazio Abrignani del Pdl. A ben
guardare, però, quest’ultimo non è un magistrato, ma un avvocato
civilista siciliano, fedele all’ex ministro Scajola, che faceva anche il
giudice tributario. Al Senato invece il Pd batte il Pdl per quattro a
due, con l’ex pm Felice Casson, Anna Finocchiaro, Doris Lo Moro e Piero
Grasso, che peraltro si è dimesso dalla magistratura appena candidato.
Le due toghe azzurre in compenso pesano molto: Caliendo e Nitto Palma
sono tra i pochissimi in grado di influenzare la linea di Berlusconi sulla giustizia, tema tornato urgente dopo la condanna anche in appello per le maxifrodi fiscali sui diritti tv di Mediaset.
Preziosissimo, per il miliardario di Arcore, è anche il lavoro dei magistrati che entrano nei palazzi come tecnici. Tra i più in vista c’è il giudice romano in aspettativa Augusta Iannini,
chiamata dal 2001 a dirigere il ministero della Giustizia e ora
nominata vicepresidente dell’Autorità garante della privacy. Da sempre
ostile ai pm milanesi, per replicare a una puntata di “Report” ha aperto
un sito (augustaiannini.it) dove taccia di «maschilismo» chi la
etichetta come «moglie di Bruno Vespa» e rivendica i suoi 35 anni di
lavoro, portati benissimo, come «giudice imparziale». Qualità
dimostrata, per altro, già ai tempi di Tangentopoli, quando chiese di
astenersi sulla richiesta di arresto per Gianni Letta e Adriano
Galliani, spiegando: «Siamo amici di famiglia». Ora, nel governissimo di
Enrico Letta, brilla la stella di Cosimo Ferri,
sottosegretario alla Giustizia e capocorrente di Magistratura
Indipendente, capace di farsi eleggere al Csm da ben 553 magistrati
benché chiacchierato (ma non indagato) per le intercettazioni di
Calciopoli, del caso Santoro-Mills e della cosiddetta P3.
Con la nuova legislatura, intanto, il centrosinistra ha detto addio a
ex magistrati del livello di Gerardo D’Ambrosio, l’ex procuratore
Silvia Della Monica o il giudice- scrittore Gianrico Carofiglio, senza
contare gli ex pm che avevano lasciato la toga più di vent’anni fa, come
Antonio Di Pietro o Luciano Violante. Ma anche il centrodestra ha
rinunciato a ex magistrati di governo come Franco Frattini e Alfredo
Mantovano, avvicinatisi a Monti e non ricandidati. Per non parlare di
uomini di legge come Melchiorre Cirami, l’ex giudice di Agrigento
entrato in Parlamento nel ’96 con l’Udc, passato nel ’98 al
centrosinistra con l’Udeur e rieletto nel 2001 con il centrodestra dopo
il patto Cuffaro-Berlusconi: portano ancora il suo nome la versione
originale del “legittimo sospetto” (per fermare i processi, bastava chiederne il trasferimento) e il comma “super-513” (per annientare i verbali d’accusa, bastava far tacere il complice), subito dichiarato incostituzionale.
La fede nel Grande Sud del sottosegretario Gianfranco Miccichè (meno dell’1 per cento a Siracusa) ha tradito anche Roberto Centaro,
altra toga azzurra in missione parlamentare dal 1996 al 2013: un
presidente della commissione antimafia capace di polemizzare con tutte
le procure, oltre che relatore della legge-bavaglio contro le
intercettazioni. Incolmabile, poi, il vuoto lasciato da Alfonso Papa,
ex pm di Napoli e Roma eletto nel 2008 con il Pdl: nel 2011 è diventato
il primo parlamentare, dai tempi dell’esplosivista missino Massimo
Abbatangelo, a entrare in carcere perdendo l’immunità. Tornato libero,
Papa ha chiesto di riprendere il lavoro di magistrato, ma per ora resta
imputato: in teoria dovrebbe preoccuparlo la condanna patteggiata dal
suo coindagato, il piduista per sempre Luigi Bisignani, ma a suo favore
gioca ancora il privilegio politico che gli ha garantito la distruzione
delle prove più insidiose, le famigerate intercettazioni.
Il corteggiamento delle toghe ad Arcore, del resto, precede
addirittura la nascita di Forza Italia. Correva l’anno 1993, quando
Berlusconi riuscì a sfilare al pool Mani Pulite l’allora pm Tiziana
Parenti: eletta dopo mille utilissime polemiche sulle tangenti rosse,
ora fa l’avvocata ed è vicina al nuovo Psi. E dopo il trionfo di Forza
Italia nel ’94 perfino Di Pietro e Piercamillo Davigo si videro offrire
poltrone da ministri nel primo governo Berlusconi, che tre mesi dopo, al
culmine delle indagini sulla Fininvest, varò il famoso decreto Biondi
(niente carcere per le tangenti). Da allora Berlusconi gioca soprattutto
in difesa: oggi il Pdl schiera 17 avvocati al Senato e 21 alla Camera.
Ma su questo fronte il Pd post-giustizialista non teme i rivali-alleati:
ha 9 legali tra i senatori e 37 tra i deputati. In totale nel nuovo
parlamento, secondo i dati di Openpolis, si contano ben 105 avvocati,
che a differenza dei magistrati possono continuare a fare processi (e
incassare parcelle dai clienti) anche mentre hanno il potere di cambiare
le leggi.
(Fonte)
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