Il Portogallo, scrive il Ft, ha applicato con zelo e
puntualità i dettami europei dell'austerity. Risultato: povertà e
disperazione.
Provate a sostituire il vocabolo "Portogallo" con "Italia": ne esce
un ritratto quasi perfetto. Tutti e due, in fondo, abbiamo ricevuto la
stessa doppia polpetta avvelenata dall'Europa: non solo
l'euro ma anche l'apertura del mercato nazionale (volenti o nolenti che
fossimo) alle merci orientali, dirette concorrenti a quelle prodotte
nelle manifatture che, fino a una quindicina di ani fa, costituivano il
vero pilastro dell'economia.
Stiamo parlando del dettagliato articolo che il Financial Times
ha dedicato, domenica, al Portogallo. Per leggerlo, se non si possiede
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Il Portogallo, scrive il Ft, ha applicato con zelo e puntualità i dettami europei dell'austerity,
ha fatto con diligenza tutti i compiti a casa prescritti da Bruxelles:
a noi non suona mica nuovo, no? Nel 2011 (principale e forse unica
differenza rispetto all'Italia) ha dovuto accettare il "salvataggio" offerto da Bce, Fmi e Ue sotto forma di prestito,
con la prospettiva, si disse allora, che la ripresa sarebbe iniziata
nel giugno 2013: cioè ora. Ma in Portogallo, scrive il Financial Times,
si vedono solo povertà e disperazione. Che novità.
Il Portogallo non ha in comune con l'Italia solo l'etichetta di Piigs europeo. Il Ft descrive il suo tessuto produttivo pre crisi come molto simile al nostro: floride piccole e piccolissime imprese (in Italia c'era anche altro, ma le "privatizzazioni"
hanno trasformato in inservibili spezzatini finanziari le produzioni
strategiche nazionali), abbondanza di calzaturifici, mobilifici,
tessiture...
Questo tessuto produttivo, dice il Ft, è stato smantellato
(come da noi) in seguito alla globalizzazione, quando l'Unione Europea
si è aperta ad Est ed al commercio con la Cina. In effetti è vero,
anche di questo l'Italia non ringrazierà mai abbastanza l'Europa...
(Fonte)
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